• Non ci sono risultati.

4. O MBRE DI UN “ VIR NEQUISSIMUS ”

5.2 S CETTRO E PASTORALE

Andò decisamente a buon fine anche la sua frenetica ricerca di reliquie da

258

portare a Benevento . Una mania che ha lasciato perplessi gli studiosi moderni: “si gloriava delle spoglie altrui, come se si trattasse di un gran trionfo saccheggiar

259

le confinanti Chiese per arricchir le proprie” annoterà il Muratori .

254 D

I MURO 2009, pp. 92-93; cfr. AMAROTTA 1983.

255 D

I MURO 2009, p. 95.

256 D

I MURO 2009, pp. 96-97, 104-105, 127; data l'intensità degli scambi, l'autore ipotizza una vera e propria partnership commerciale tra Longobardi e Siciliani, contrapposta all'alleanza tra Napoletani ed Aghlabiti.

257 D

I MURO 2009, pp. 100-101.

258 Oltre a San Diodato, San Bartolomeo e Santa Trofimena furono traslate da Frigento

le spoglie di San Marciano e da Alife quelle di Santa Felicita coi figli. “Factum est ut Tyrreheni æquori insulas, Ausoniæque universa loca Sicardus principe circumiret, et quotquot corpora Sanctorum invenire posset, Beneventum cum debito honore defferet”: NICETA PAPHLAGONE, XLV.

259 M

Secondo uno studioso locale, l'intenzione reale consisteva nel “creare nel proprio Principato dei santuarii, che costituissero come tanti centri d'attrazione per le moltitudini credenti, non solo per attivare il commercio, ma anche perché, profondendovi esse preziosi donativi ex-voto, venivano a formare degl'ingenti tesori, dei quali poi i principi,

260

all'occorrenza, sacrilegamente si servivano” . Conclusioni, probabilmente,

261

eccessive .

Un occhio meno prevenuto può scorgere in questa passione per le reliquie, ereditata dal padre, almeno tre ragioni essenziali. Per prima cosa va considerato l'aspetto devozionale: considerata la vivace religiosità dell'epoca c'è poco da stupirsi se un principe, benché sanguinario, sia legato al culto dei santi. D'altra parte, più reliquie ci sono in una città, più quella sarà protetta da suoi nemici: e ciò rientra perfettamente nella mentalità guerriera dei Longobardi. Un secondo aspetto da considerare è quello propagandistico già colto nei comportamenti di Sicone: sottraendo alle altre città i resti dei propri patroni, il principe ostenta la sua leadership militare agli abitanti di Benevento, visibilmente compiaciuti. L'immagine del monarca si arricchisce, inoltre, di una componente mecenatistica: non bada a spese quando ordina la costruzione di chiese prestigiose dove le sacre spoglie saranno degnamente accolte. Non dimentichiamo che Sicone dispone un imponente ampliamento della Cattedrale, mentre Sicardo ordina la costruzione della Basilica di San Bartolomeo: le due chiese più importanti della città. Tutto questo crea consenso politico nelle classi umili, lì dove più radicato è un sentimento religioso semplice e facilmente strumentalizzabile. Ma c'è un terzo aspetto da evidenziare: il gran numero di reliquie raccolte da Sicone e Sicardo aumenta il prestigio della stessa Chiesa beneventana, proponendone il primato morale nei confronti di tutte le altre diocesi dell'Italia meridionale. Un primato che la Santa Sede si ostina a non riconoscere: forse per ragioni essenzialmente politiche, i vescovi della Langobardia Minor sono tutti direttamente suffraganei di Roma. Fare di Benevento una meta di pellegrinaggi incessanti significa trasformarla nella capitale spirituale, oltre che politica, del Mezzogiorno; lo stesso vescovo godrebbe di maggiore prestigio. E sarà proprio in virtù della straordinaria presenza del corpo dell'Apostolo che nel 969 papa Giovanni

262

XIII giustificherà la nascita della vasta metropolia beneventana .

260 I

AMALIO 1928, p. 168.

261 Spoliazioni ve ne furono, ma si trattava più che altro di prestiti coattivi

successivamente rimborsati: cfr. CITARELLA – WILLARD 1983, p. 79.

262 Sull’assetto delle istituzioni ecclesiastiche nel Mezzogiorno, cfr. F

ONSECA 1982; FONSECA 1996; VITOLO 1996; SPINELLI 1996; FONSECA 2016.

Per spiegare questo vivo interesse dei Siconi per le fortune della Chiesa locale bisogna partire dal presupposto che, a Benevento, Sacro Palazzo e Curia vescovile sono sin dalle origini strategicamente complementari. Nessun dissenso, nessuna opposizione. Da San Barbato in avanti, il vescovo non intende contrastare il potere temporale, ma corroborarlo. Tanta è la fedeltà alla Corona longobarda che il pastore beneventano osa persino contraddire la strategia filocarolingia del Papa. Attivo sul piano diplomatico, non viene però coinvolto direttamente sul piano politico: a differenza di quanto avviene nell'Impero, dove i suoi omologhi diventano influenti collaboratori del monarca, il presule beneventano si disinteressa alle questioni temporali.

Pur privo di un ruolo politico, il vescovo beneventano appare tuttavia sempre al fianco del Dei providentia Langobardorum gentis princeps nelle varie traslazioni. In quella di San Bartolomeo, accanto a Sicardo, troviamo Orso: attivissimo sulla scena culturale e sociale, gode di prestigio anche fuori i confini meridionali per la sua erudizione, il suo trattato di grammatica, la sua padronanza della lingua greca; a lui è attribuita la nascita, presso l'Episcopio, di una scuola dove si formano poeti e filosofi. Nonostante l’indiscutibile prestigio, il Prelato non si scaglia mai contro le discutibili azioni del Tiranno, prestandosi volentieri a celebrarne i successi in queste translationes che costituiscono il corrispondente religioso dei trionfi militari. Possiamo dire che, a Benevento, i due poteri si giovino l'uno dell'altro: la Chiesa usa il Palazzo per garantirsi uno spazio di autonomia da Roma, mentre il Palazzo usa la Chiesa per incensare le sue imprese e cementare il consenso. Non è dunque un caso se ancora nel sec. XVIII, nonostante l'incredulo disappunto di Stefano Borgia, a Benevento la liturgia di San Bartolomeo osanni “Sicardo,

263

pio e cristianissimo principe” .

A partire dall'epoca longobarda, d'altra parte, il vescovo di Benevento comincia ad arrogarsi, più o meno legittimamente, privilegi molto particolari, simili a quelli del pontefice. La specificità della Chiesa locale è esaltata dal Canto antico beneventano, diffuso su tutto il territorio del Principato. Molti di questi brani celebrano i santi protettori della città – tra cui anche quelli translati da Sicone e Sicardo – mentre sul rotolo dell'Exultet è raffigurato il principe di Benevento seguito da una preghiera per l'autorità. Se le istituzioni secolari ebbero una vocazione particolaristica, lo stesso vale anche per quelle religiose.

263 B

Tutto ciò dimostra come, nella concezione di Sicone e Sicardo, la religione giocasse un ruolo strategico; nondimeno ci sembra che, nel rispetto della costituzione tradizionale, il dualismo tra sfera temporale e spirituale rimase sostanzialmente stabile. Dal canto suo, il vescovo di Benevento non osò mai ingerire in questioni strettamente laiche, evitando d'indebolire la potestas laica con la sua auctoritas. Corona e pastorale, in quest'epoca, rimasero concetti ben distinti, sebbene l'odore d'incenso consolidasse non poco l'enorme potere dei

264

Siconi .

6. ILTIRANNICIDIO

La conquista di Amalfi, l'assalto a Sorrento, l'occupazione del Campo Pompejo erano indizi inequivocabili di una strategia: stringere in una morsa la città di Napoli, sottraendole pezzo a pezzo tutto l'entroterra. Preoccupati per quanto stava accadendo, i Partenopei inviarono il loro duca Andrea in Francia “supplicando il signore Lotario quantomeno di comandare a Sicardo di desistere da disegni

265

tanto malvagi” . Lotario, associato al trono dal padre Ludovico, in quando imperatore veniva adito per porre rimedio alle contese locali. Per la seconda volta i Napoletani, disperando del soccorso bizantino, preferirono coinvolgere Aquisgrana, la quale rispose inviando il fedele Contardo con un preciso messaggio per Sicardo: “ut, si nollet cessare persequi Parthenopensem populum, vesanum eius furorem ipse medicaretur”. Ma gli eventi stavano per

266

precipitare, e il messo non avrebbe fatto in tempo a parlare con lui .

Nel frattempo, le condotte di quel Principe “viscido, irrequieto e sfacciato,

267

gonfio per arroganza d'animo” continuavano a far discutere . Si era infatti diffusa

264 Rispetto all’esperienza visigota e franca, l’ordinamento longobardo sembra ispirato

ad una più ferma distinzione fra ambiti. Le successive evoluzioni portarono, talvolta, a commistioni tra potere laico e potere ecclesiastico. E così a Capua troviamo un Landolfo vescovo-conte (863-879), mentre a Benevento il principe Adelchi (853-878) promulga le sue leggi dopo aver consultato, oltre ai maggiorenti, il vescovo Aione, suo fratello. A Salerno, Ademario sarà criticato per aver imposto suo figlio come vescovo: secondo l’Anonimo fu un tentativo spudorato di sottomettere il clero. È però già un'epoca posteriore alla Guerra civile, laddove il prestigio delle istituzioni pubbliche s'indebolì non poco e tanti cardini della costituzione tradizionale, ivi compresa la distinzione netta tra spada e pastorale, vennero inevitabilmente meno. Per ulteriori approfondimenti sul rapporto tra i due poteri, cfr. PALMIERI 1996.

la diceria che suo fratello Siconolfo stesse tramando alle sue spalle per sottrargli lo scettro. Erchemperto nega la fondatezza di tale complotto e riconduce la maldicenza allo stesso Roffredo, desideroso di sbarazzarsi di questo personaggio troppo scomodo. È probabile che Siconolfo, uomo assennato, fosse sinceramente preoccupato per la deriva tirannica del fratello e cercasse di contenere la nefasta influenza del ministro. Tuttavia, come il monarca ebbe sentore di queste voci, “ordinò che fosse preso e lo fece chierico contro la sua volontà (…) infine lo mandò in catene a Taranto e comandò che fosse rinchiuso in un

268

rigoroso carcere” . Questa volta, la folle ira del Tiranno si era ritorta contro la sua stessa famiglia.

Accadde che Sicardo si spostò per una battuta di caccia “in predio

269

Abellanensi” . Qui compì il suo ultimo crimine, quello che gli risulterà fatale. Si racconta di un “vir nobilissimus” che, passando, vide per caso la principessa nell'atto di lavarsi i piedi. Costei, per vendicare la sua pudicizia violata, avrebbe chiesto al marito di umiliare pubblicamente la moglie di quell'uomo. Le tagliarono le vesti fino al polpaccio e poi, facendola girare per

270

l'accampamento, la esposero al pubblico ludibrio . Un'umiliazione così bruciante – e così gratuita – non poteva essere certo tollerata, specie da un aristocratico. Radunati “non pochi che condividevano la sua intenzione”, tra i quali suo fratello e lo stesso Nanningone, l'arimanno ricordò di essere per

265 G

IOVANNI DIACONO, LVII.

266 “Contardus cum Neapolim pervenisset, audiens Sichardum peremptum a suis concivibus”:

GIOVANNI DIACONO, LVII.

267 E

RCHEMPERTO, X.

268 A

NONIMO SALERNITANO, LXXV.

269 A

NONIMO SALERNITANO, LXXVI: si tratta di Avella, cittadina posta tra Napoli ed Avellino; a dire il vero, l'edizone Westerbergh – alla quale facciamo riferimento per questo lavoro – riporta “predio Labellanensi”, e cioè il territorio di Lavello in Lucania. Tuttavia, considerando l'edizione Pertz – che legge nel manoscritto “Abellanensi” – e tenendo presente che anche la Storia di Santa Trofimena parla di Avella, questa soluzione sembra preferibile. D'altra parte in questo periodo il Principe è impegnato far pressione su Napoli: non avrebbe alcun senso spostarsi fino in Basilicata per una battuta di caccia!

270 Anche se il cronista non lo specifica, nell'oltraggiare la donna Sicardo ricorre

arbitrariamente uso di un'antica consuetudine germanica attestata in TACITO, XIX. In base ad essa, “il marito (…) scaccia di casa la donna adultera che (…) denudato il corpo (…) vien fatta passare attraverso tutte le strade del villaggio”. Triplice l'abuso del Principe: applica una pena privata che non ha potere di irrogare; condanna un’innocente e lo fa, peraltro, al solo scopo di umiliare il marito.

definzione un uomo libero e decise di farsi giustizia del Tiranno. “Allora quelli si avvicinarono alla tenda del Principe e, sguainate le spade, con non poche ferite, lo

271

uccisero” .

271 A detta dell'Anonimo, a sferrare il colpo di grazia sarebbe stato proprio

Nanningone. Il nome dei due fratelli che organizzarono il tirannicidio non è riportato da questo autore, ma Erchemperto fa riferimento ai figli di un tale Adelferio ed è ragionevole identificarli. Adalgisa verrà condotta “con ignominia” dai suoi parenti, secondo quanto stabilito per le vedove da ROTARI CLXXXII. Roffredo era già morto da poco di cause naturali. Cfr. ANONIMO SALERNITANO, LXXVI ed ERCHEMPERTO, XIII.

SIC TRANSIT GLORIA MUNDI