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L A SPEDIZIONE CONTRO I SARACEN

4. O MBRE DI UN “ VIR NEQUISSIMUS ”

4.2 L A SPEDIZIONE CONTRO I SARACEN

Tra le piaghe che Dio decise di infliggere ai Longobardi, quella più temuta: un'invasione musulmana. “Per idem tempus Agarenum gens, cum iam Siculorum provintiam aliquantos annos pervasam, iam fretum conabantur transire Italiam occupandam”. Siamo, secondo il Di Meo, nell'837. Grazie allo loro flotta, i Saraceni riuscirono facilmente ad occupare Brindisi, possedimento

227 , LXIX. La notizia è anche in E

RCHEMPERTO, XII. La pena inflitta non è casuale: “i traditori e i disertori sono impiccati agli alberi” già presso gli antichi Germani: TACITO, XII.

228 E

RCHEMPERTO, XII. Sulla rilevanza del giuramento nell’Alto Medioevo, cfr. PRODI

1992, pp. 63-86.

longobardo. Davanti all’affronto Sicardo non poteva restare inerte: decise così di radunare un cospicuo contingente di guerrieri, sbandierando questa volta un movente ideologico ben più nobile della solita rivalità coi Bizantini. “Orsù, miei fedeli, siate valorosi in battaglia e fracassate le teste all'abominevole razza degli Agareni; e ciò avvenga a gloria della Vergine Madre di Dio!”. Insomma, una vera e propria crociata destinata ad infiammare gli animi e a riabilitare la sua immagine agli occhi del popolo. Tuttavia, nonostante gli audaci propositi, Sicardo portò i suoi fino al campo di battaglia ma poi “lasciatili là, se ne rientrò con pochi a Benevento”.

Implicita la polemica del cronista nei confronti del Principe, che da sommo capo dell'exercitus avrebbe dovuto condurre la spedizione in prima persona. I Longobardi benché “coraggiosi furono annientati per difetto di strategia e per imprevidenza, quando invece con un comune piano d'azione ed una salutare concordia sarebbero stati in grado” di vincere. Dopo questa inaspettata rotta, Sicardo raccolse nuove truppe ma “le orde degli Agareni, saputolo, incendiarono la città in cui

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si erano accampati e se ne tornarono in Sicilia” . Ancora un segno della degenerazione della monarchia in tirannia: un principe indolente manda i suoi uomini a morire, disattendendo ai suoi doveri nei confronti dell'esercito che dovrebbe guidare e del popolo che dovrebbe difendere.

5. ... ELUCIDIUN “VIRCHRISTIANISSIMUS”

Il grande sogno di Sicardo, lanciare il Principato nell'orbita degli scambi mediterranei, si era parzialmente avverato grazie alla vittoria su Napoli e a quel Pactum che rendeva i rapporti più semplici. Ma era ancora troppo poco. I Barbari cominciarono quindi “a prendere in considerazione la possibilità di immettersi direttamente nei flussi commerciali veicolati attraverso le vie del mare, rompendo di fatto il fronte egemonico dei ducati costieri (…) Doveva farsi sempre più presente alla coscienza dei Longobardi (…) di come le città rivali sulla costa prosperassero in sostanza

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grazie a quanto essi producevano” . Un territorio vasto come quello beneventano si trovava in un'assurda condizione di dipendenza nonostante avesse tutte le caratteristiche geografiche per imporsi sui mari. In un contesto di crescita economica che durava da circa quattro decenni, c'era bisogno di avviare una

229 , LXXII.

230 D

I MURO 2009, p. 84. ANONIMO SALERNITANO

“gestione diretta di parte della commercializzazione dei prodotti longobardi (…) proponendosi nella rete di controllo delle vie tirreniche”: ciò avrebbe segnato l’ascesa di

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Benevento come potenza mediterranea . Tuttavia il Principato scontava un grave handicap: la mancanza di un'autentica tradizione marinara, di un ceto di mercanti avvezzi alle grandi traversate. Bisognava cominciare dal porto tirrenico più importante che la Longobardia possedeva, e cioè Salerno: una città che Arechi e Grimoaldo III avevano favorito, ma che gli immediati successori avevano un po' trascurato. Sicardo tornò ad investire con convinzione su quello scalo, da dove sperava di poter smerciare i suoi prodotti senza passare per l'intermediazione partenopea.

Ma per plasmare la mentalità salernitana allo spirito mercantile, il Principe pensò di promuovere un avvicinamento con la confinante Amalfi, all'epoca in vistosa crescita e già oggetto delle sue attenzioni nel capitolo LIV del Pactum Sichardi. Essa era soggetta al Ducato partenopeo, ma disponeva di istituzioni dotate di un certo margine d'autonomia. Sicardo intravide la possibilità d'insinuarsi nella politica amalfitana sfruttando un certo dualismo con Napoli. Intendeva evitare una guerra di annessione che avrebbe significato violare apertamente il Trattato, preferendo piuttosto convincere gli Amalfitani a separarsi spontaneamente dal Ducato. D'altra parte il tessuto sociale di quel centro costiero era quanto mai composito, comprendendo

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anche una piccola comunità longobarda : si poteva far leva proprio su quest'ultima per accattivarsi le simpatie degli altri. Come Sicone era riuscito a crearsi un partito dentro le mura di Napoli, così Sicardo riuscì ad ingraziarsi una buona fetta dell'aristocrazia amalfitana, sedotta da prospettive

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lusinghiere in caso d'annessione . Si aprì una vera e propria crisi politica che vide contrapporsi i filonapoletani ai filobeneventani. Il clima divenne così teso che questi ultimi, ad un certo punto, decisero di abbandonare spontaneamente la città natale e trasferirsi a Salerno, dove il Principe era ben disposto ad accoglierli per dare impulso allo sviluppo del porto.

231 D

I MURO 2009, p. 85. Cfr. DI MURO 2010, p. 55.

232 U

GHELLI (a cura di) 1659, Chronicon amalphitanum, VII, c. 184-186.

233 Cfr. F

ORCELLINI 1945, pp. 9-10. Le vicende di quegli anni ci sono raccontate da tre fonti più o meno coeve: un Chronicon amalphitanum edito dall'Ughelli, un altro Chronicon amalphitanum pubblicato dal Muratori ed infine l'Historia inventionis, et translationis Sanctæ Trophimenis Virginis et Martyris Minorensis Civitiatis Patronæ riportata dai Bollandisti. Quest'ultima, datata tra la fine del IX sec. e l'inizio del X, rappresenta senz'altro la testimonianza più antica dei fatti ed è ampiamente ripresa dall'Anonimo Salernitano, che si limita a tagliarne gli aspetti agiografici.

“Temporibus itaque eximii Principis Beneventani, Sichardi nomine, cui pene tota Ausonia obtemperabat (…) dum sui regni gubernacula præfatus Princeps moderatissime gubernaret, et Primi civitatis ejus consilio et fortitudine summa pollerent, quidam Amalphitanorum majores natu, inique ferentes natale solum, hujus se dominatui sponte

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propria subdidere” . Davvero sbalorditivo questo racconto, frutto di

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quell'ambiente amalfitano favorevole ai Longobardi . È questo buongoverno che spinge molti di loro ad una sorta di “secessione” per cui, con non poco astio, decidono di insediarsi a Salerno. “Avendo ricevuto infiniti doni, con lettere segrete e lusinghe invitavano continuamente i loro parenti ed affini” rimasti ad Amalfi “a lasciare le loro case e ad affrettarsi a procurarsi anch'essi gli stessi

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benefici” . Benefici che, si capisce, erano privilegi commerciali concessi per convincerli a trasferirsi e coltivare lì i propri affari. Nonostante i suggerimenti dei fuoriusciti, la popolazione costiera rimaneva salda nel difendere le sue

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istituzioni . E sebbene il Principe dissimulasse le sue reali intenzioni confermando di non voler rompere la pace, gli Amalfitani cominciarono a temere un'invasione longobarda e per questo misero al sicuro il corpo di Santa Trofimena trasportandolo da Minori al capoluogo. Avevano avuto notizia, infatti, di un evento straordinario: Sicardo era riuscito a portare nella Capitale le reliquie dell'Apostolo Bartolomeo, e temevano che la stessa sorte potesse toccare alla loro patrona.

L'arrivo di quel Santo così prestigioso a Benevento è legato ad una missione esplorativa che Sicardo aveva organizzato presso Lipari. Nell'aprile 838 i Saraceni avevano occupato l'isola e, violato il tempio dell'Apostolo, ne avevano disperso le ossa per tutta la spiaggia. Il Principe temeva che di lì un'improvvisa invasione islamica si sarebbe riversata sulle coste del

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continente. “Fidei compassione permotus” , il “Beneventanæ urbis regulus, ferventi

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erga Sanctum fide excitatus” spedì alcune navi per captare informazioni e vedere se fosse possibile soccorrere gli abitanti. Ma quando arrivarono, Lipari era ormai distrutta e gli Infedeli scappati. Un monaco però era riuscito a raccogliere le sacre spoglie, che vennero portate sul continente dove

234 Historia inventionis, et translationis Sanctæ Trophimenis, XIII.

235 Sulla Historia di Santa Trofimena, cfr. AA. VV. 2000, Febronia e Trofimena: agiografia

latina nel Mediterraneo altomedievale.

236 Historia inventionis, et translationis Sanctæ Trophimenis, XIII. 237 M

URATORI (a cura di) 1740, Chronicon amalphitanum, III.

238 M

ARTINO, p. 339.

239 N

sarebbero state più al sicuro. Sicardo, che si era appostato con l'esercito presso il Campo Pompejo pronto ad affrontare uno sbarco nemico, appena seppe dell'arrivo a Salerno di un tesoro così prezioso vi si precipitò immediatamente. Aveva intuito che valore avesse quel corpo e se ne compiacque, ben sapendo che pochissimi monarchi potevano vantare una

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reliquia tanto importante . Le spoglie rimasero in quella città dalla fine di aprile fino al 25 ottobre, quando vennero finalmente traslate a Benevento con

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grande solennità e tripudio della popolazione . Quel Santo, da allora, è il Patrono della Città di Benevento. Sembra che, alla spedizione verso Lipari, avessero partecipato anche alcuni Amalfitani al soldo dei Longobardi,

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probabilmente dei fuoriusciti .