La spartizione tra Radelchi e Siconolfo fu attuata con la Divisio Ducatus, un
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testo composto da 28 capitoli pervenutici integralmente . La sanguinosa diatriba veniva risolta riconoscendo l'irreversibilità della scissione: le parti rinunciavano alla riunificazione del Principato e riconoscevano lo status quo che da ormai un decennio vedeva sulla scena due entità politiche indipendenti. Stipulando il trattato, i due rivali ponevano fine ad un conflitto lungo e devastante che aveva trasformato l'intero Meridione in un fronte
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infuocato. Un vero e proprio “civile bellum”, come lo definisce Erchemperto , che “aveva distrutto ricchezze e diviso famiglie” causando massicci esodi da una
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parte all'altra del territorio . “Sostenitori e guerrieri si erano uniti ai principi abbandonando famiglie e beni nei territori d'origine, molte terre erano state confiscate (…)
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la gente fuggiva dalle zone di guerra per riparare in luoghi più sicuri” . “Avvenivano frequentemente e senza eccezioni rapine ed osceni doppi giochi. Erano tutti infedeli ed inclini
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al male, come bestie erranti al pascolo senza pastore” .
Questa società, sconvolta dal caos ed umiliata dal flagello agareno, “deve redistribuire i suoi equilibri, separando il più possibile ciò che prima a tutti i livelli,
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compreso quello della proprietà fondiaria, era stato unito” . Lo farà con questo accordo, che riuscirà a garantire per più di due secoli una convivenza sostanzialmente pacifica tra i due Principati: non mancheranno momenti di tensione e di scontro, ma nulla che si possa paragonare al dramma della
336 , LXXXIV a). Totone risulta thesaurarius di Radelchi: B
ERTOLINI, pp. 878-880.
337 Per la qualificazione della Divisio in chiave di foedus internazionale, cfr. N OBILE MATTEI 2013. 338 E RCHEMPERTO, XVIII. 339 G ASPARRI 1994, p. 118. 340 D ELOGU 1994, p. 244. 341 E RCHEMPERTO, XVIII. 342 G ASPARRI 1994, p. 118. ERCHEMPERTO
Guerra civile. All'interno della Divisio possiamo evidenziare sei ambiti principali: l'accordo militare, la spartizione territoriale, la condizione dei civili, la regolamentazione degli interessi ecclesiastici, il regime dei beni palatini e le disposizioni di carattere criminale. Come nel Pactum Sichardi, il redattore non s'è curato di riorganizzare la materia secondo criteri di coerenza ed organicità. Lo stile normativo è meno puntiglioso rispetto a quello del Pactum e il contenuto stesso mostra un respiro meno ampio. Qui si tratta essenzialmente di ripristinare una forma di convivenza dopo un conflitto rovinoso, lì di lanciare Benevento nell'orbita dei commerci e dello sviluppo economico. Mentre il Capitolare di Sicardo inventa ex novo un regime giuridico per regolare una società in espansione, la Divisio mostra le rovine di quella grandeur. Le soluzioni adottate da Sicardo sono sperimentali perché devono fare i conti con Napoli, una realtà giuridica profondamente diversa e di stampo romanista; quelle concordate da Radelchi e Siconolfo si pongono invece come norme eccezionali che non escludono l'applicazione de residuo
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dell'Editto longobardo . Ciò è facilmente spiegato dal fatto che, nonostante la secessione territoriale, i due mondi restano entrambi coeredi di una tradizione giuridica unica. Ecco perché il legislatore si mostra meno dettagliato: oltre il contenuto dell'accordo c'è, infatti, un patrimonio normativo comune cui appellarsi. Ciononostante, anche il testo della Divisio mostra tanti aspetti interessanti che permettono d'indagare meglio l'orizzonte giuridico altomedievale. Per quanto attiene la spartizione territoriale, Salerno sembra ottenere la parte più ricca del Principato con le fertili pianure campane, le coste del Tirreno e dello Jonio e gli importanti comitati di Capua, Conza e Acerenza; a Benevento residuano il montuoso Samnium un'Apulia ancora parzialmente infestata dagli Infedeli.
3. L'EPILOGO
Siconolfo regnò sul nuovo Principato di Salerno poco meno di un anno. Nel dicembre dell'849, infatti, una febbre improvvisa lo stroncò
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prematuramente . E così, dopo aver dimostrato una “indubbia abilità di
343 Questo meccanismo è esplicitamente previsto nel capitolo XX, ma va ritenuto
operante anche in tutti gli altri casi.
344 A
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guerriero e stratega” , non riuscì a godersi quel trono tanto ambito. L'impressione che se ne ricava dalle cronache è positiva: Siconolfo si mostra gagliardo, generoso ma soprattutto tenace.
Nei pochi mesi di governo che lo separavano dalla morte, il primo
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Principe di Salerno fu munifico coi suoi e si accattivò anche le simpatie degli Amalfitani. Essi “si dimostravano fedeli sudditi, sebbene non volessero tornare ad abitare
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come prima nella sua città” . Non mancò qualche attrito: Guaiferio, uno dei figli
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del Balbo che aveva dato avvio al conflitto, esiliato, si rifugiò a Napoli . Pochi istanti prima di morire, il Principe “ordinò che tutti i suoi ottimati fossero convocati”
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imponendo loro, come successore, il figlio Sicone ancora lattante . Si ribadiva così quel principio ereditario che era stato causa scatenante della Guerra civile. Non a caso, il capitolo II della Divisio riconosceva a Siconolfo l'arbitraria facoltà di scegliere il suo successore. Ed egli lo fece, nonostante
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suo figlio fosse giovanissimo e incapace di governare . La Storia ci dirà che anche nel nuovo Principato le antiche ambizioni aristocratiche e la stessa insofferenza popolare torneranno a far sentire la propria voce, rendendo complessa la definitiva affermazione di una monarchia pura.
Sicone fu infatti affidato a Pietro, suo padrino, che governò come rector in nome del bambino. Ma nell'853 Pietro, tradendo la parola data a Siconolfo, convinse Ludovico II a riconoscere l'associazione al trono salernitano di suo figlio Ademario. Contestualmente, Sicone fu mandato alla corte di Ludovico “per apprendere le astuzie di questo mondo”: un'usanza molto diffusa, che però celava le reali intenzioni del reggente. Dal febbraio 844 le carte ufficiali del Palazzo salernitano nominano principi Pietro, Ademario e Sicone, il quale era
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stato già esautorato di fatto . L'Imperatore “lo accolse liberalmente e Sicone si trattenne presso di lui per qualche anno. Quando ebbe raggiunta l'adolescenza, il suddetto Re lo ordinò, secondo il costume, cavaliere e lo rimandò con onore a Salerno”. Arrivato a Capua, “fu accolto con immensa simpatia da tutti” e in particolare dai figli di
345 B
ERTOLINI 1987, Dauferio il Muto.
346 “Festeggiava e spessissimo elargiva donazioni”: A
NONIMO SALERNITANO, XCI.
347 A
NONIMO SALERNITANO, LXXXVI.
348 A
NONIMO SALERNITANO, XCI-XCII.
349 A
NONIMO SALERNITANO, XCII; ma anche ERCHEMPERTO, XIX.
350 “Sicut per omnia fuimus genitori fideles, sic nimirum sumus demum illi eiusque proles”
assicurarono i dignitari, manifestando piena adesione al progetto dinastico del monarca: ANONIMO SALERNITANO, XCII.
351 A
Landolfo il Vecchio “perché era giovane, nel pieno degli anni, di occhi meravigliosi e molto aitante nel fisico”. Ma il suo ritorno non compiaceva tutti. “Quando ciò fu riferito ai due principi, padre e figlio, subito mandarono in quel posto dei loro sicari e, per
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mezzo di una bevanda avvelenata, fecero esalare lo spirito a Sicone” . Era il tramonto
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di una dinastia luminosa .
352 , XCIV.
353 Era l'anno 856, secondo i più; lo Schipa colloca invece l'evento nell'estate
precedente. La scandalosa vicenda, ad ogni modo, non resterà priva di conseguenze. Nello stesso 856 gli Amalfitani nominano un proprio duca indipendente, mentre nell'860 i Capuani si proclamano indipendenti. Non a caso, si tratta di due popolazioni particolarmente legate ai Siconi. Ademario sarà considerato come un tiranno dai sudditi.
CONSIDERAZIONI CRITICHE