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L’opera incompiuta: i diritti sociali nei lavori della Costituente

II. Il servizio pubblico nella costituzione economica italiana

4. L’opera incompiuta: i diritti sociali nei lavori della Costituente

Dall’analisi dei lavori preparatori della Costituzione18 emerge come i padri costituenti fossero consapevoli di trovarsi dinanzi ad una «svolta storica», ovvero di vivere in un momento di passaggio tra «due mondi costituzionali: il vecchio ed il nuovo»19. Da un lato il costituzionalismo ottocentesco, di stampo liberale, le cui strutture economiche e sociali erano rimaste in piedi nonostante il crollo delle relative istituzioni politiche. Dall’altro lato, un costituzionalismo moderno, «adeguato allo spirito dei tempi», già radicato nella coscienza sociale, ma ancora privo di riscontro nella realtà economica e sociale italiana. Di qui, la consapevolezza di trovarsi davanti al difficile compito «di gettare le fondamenta d’un ordine nuovo, anche dal punto di vista sociale ed economico, e di farlo, anche se sappiamo che su queste fondamenta non ci sarà possibile elevare subito le mura della nuova casa»20.

Proprio la distanza esistente tra quanto proclamato nel testo costituzionale e la situazione reale del Paese fu al centro di un importante dibattito in sede di discussione generale del progetto di Carta fondamentale.

17 Cfr. S. CASSESE (a cura di), La nuova costituzione economica, cit., 15 ss.

18 Le considerazioni di questo paragrafo si basano principalmente sulla discussione generale del progetto di Costituzione (4-13 marzo 1947). Per un’analisi dei lavori delle commissioni e dell’Assemblea, con particolare riferimento alla parte della Costituzione dedicata ai rapporti economici, v. G. AMATO, Il mercato

nella Costituzione, in Quad. cost., n. 1/1992, 7 ss.; L. GIANNITI, Note sul dibattito alla Costituente sulla

“costituzione economica”, in Dir. pubbl., 2000.

19 Così l’On. Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione, nella seduta del 12 marzo 1947. 20 On. Saragat, seduta del 6 marzo 1947.

Da una parte alcuni costituenti, guidati da Calamandrei, ritenevano che inserire nella Costituzione delle norme volte a garantire, ad esempio, il diritto alla salute e all’istruzione gratuita – pur sapendo che ciò non sarebbe stato concretamente possibile per diversi decenni – avrebbe privato di credibilità, agli occhi dei cittadini, l’intero testo costituzionale. Essi, di conseguenza, proponevano di collocare queste disposizioni «in un preambolo, con una dichiarazione esplicita del loro carattere non attuale, ma preparatore del futuro; in modo che anche l'uomo semplice che leggerà, avverta che non si tratta di concessione di diritti attuali, che si tratta di propositi, di programmi e che bisogna tutti duramente lavorare per riuscire a far sì che questi programmi si trasformino in realtà»21. A queste eccezioni, sollevate da Calamandrei, veniva opposta la necessità di tracciare nella Costituzione la strada di rinnovamento economico e sociale lungo la quale il Parlamento repubblicano avrebbe dovuto muoversi22, per rendere realtà ciò che allora appariva come «l’ombra di un sogno»23. Si trattava, in altre parole, di plasmare lo «spirito della Costituzione»24, di fissare la «missione storica» del nascente Stato repubblicano25. Si riteneva fosse in gioco la legittimità sostanziale del nuovo ordinamento costituzionale, la quale risiedeva «nel fatto che la Repubblica affronti e risolva quei problemi di trasformazione economica e sociale che il popolo ritiene debbano essere risolti dal regime repubblicano e che sono maturi per una soluzione»26.

Questa diversità di vedute si basava, in ultima analisi, su una differente concezione del ruolo che la Costituzione avrebbe dovuto assumere rispetto al nascente Stato repubblicano.

A chi riteneva, infatti, che la Carta dovesse limitarsi a fissare in modo irreversibile le conquiste già realizzate, senza fare promesse che, in quel momento, lo Stato non era in grado di mantenere, si contrapponevano coloro che invece sostenevano che la

21 On. Calamandrei, nella prima seduta della discussione generale al progetto di Costituzione, 4 marzo 1947.

22 On. Togliatti, seduta dell’11 marzo 1947. 23 On. Lucifero, seduta del 4 marzo 1947. 24 On. Lucifero, seduta del 4 marzo 1947. 25 On. Fanfani, seduta del 22 marzo 1947. 26 On. Togliatti, seduta dell’11 marzo 1947.

Costituzione dovesse contenere un programma rivolto al legislatore futuro, nel quale fossero indicati i fini che questo avrebbe dovuto perseguire.

Al centro di questo contrasto teleologico generale si collocavano, in particolare, le disposizioni riguardanti i diritti sociali27.

Sulla scorta delle considerazioni sopra menzionate, infatti, alcuni costituenti, conformemente all’ideologia liberale, ritenevano che la Costituzione dovesse limitarsi a sancire i diritti effettivi, ovvero quelli che era possibile mantenere fin da subito. In altre parole, secondo l’opinione dei liberali si sarebbe dovuto prima «stabilire i mezzi adeguati, e poi affermare un diritto»28.

Prevalse tuttavia l’impostazione delle forze politiche “progressive”, che proponevano di inserire direttamente nella Costituzione le norme di carattere programmatico riguardanti i diritti sociali, proprio al fine di guidare e limitare l’azione futura del legislatore29.

Su questo punto vi era una convergenza di fondo tra democristiani, socialisti e comunisti: essi ritenevano infatti che l’introduzione dei diritti sociali, accanto ai tradizionali diritti di libertà, fosse l’elemento caratterizzante la nuova Costituzione, ciò che la rendeva moderna e coerente con il processo di transizione del Paese verso quella “rivoluzione promessa” che il nuovo ordinamento repubblicano avrebbe dovuto realizzare.

I diritti sociali, invero, erano considerati dall’orientamento maggioritario la parte più viva e dinamica della Carta, al punto che, senza di essi, questa avrebbe perso «ogni sua

27 Sul ruolo che la proclamazione costituzionale dei diritti sociali ha avuto rispetto all’evoluzione della forma di Stato nel corso del Novecento, v. A. GIORGIS, La costituzionalizzazione dei diritti all’uguaglianza sostanziale, Napoli, 1999, 1 ss.

28 On. Rubilli, seduta del 6 marzo 1947.

29 Cfr. l’intervento dell’On. Calamandrei del 4 marzo 1947, in cui viene riportato un dialogo dello stesso con Togliatti, riguardo all’utilità o inutilità di inserire disposizioni programmatiche in Costituzione: «Togliatti mi disse che noi preparatori della Costituzione, dobbiamo fare «come quei che va di notte, — che porta il lume dietro e a sé non giova, — ma dopo sé fa le persone dotte». Non dobbiamo curarci della attuazione immediata di queste pseudo norme giuridiche contenute in questo progetto: dobbiamo pensare ai posteri, ai nipoti, e consacrare quei principî che saranno oggi soltanto velleità e desideri, ma che tra venti, trenta, cinquanta anni diventeranno leggi. Dobbiamo così illuminare la strada a quelli che verranno».

ragione storica, ogni sua giustificazione sociale»; sarebbe stata, in altre parole, «una cosa morta»30.

Se su questo aspetto vi era un sostanziale accordo tra le principali forze politiche, esse invece avevano opinioni diverse circa quali garanzie dovessero essere apprestate per rendere effettivi i diritti sociali. La questione, in altre parole, era come assicurare che i diritti sanciti dalla Costituzione fossero attuati concretamente. Si trattava, come venne osservato, di «un problema di vita o di morte della democrazia politica»31, di credibilità delle istituzioni democratiche.

Da una parte, Saragat riteneva che l’attuazione effettiva di questi diritti dovesse essere affidata, oltre che ad istituti formali, «al senso di civismo del popolo italiano ed all'azione dei partiti»32. Dall’altra parte, Togliatti giudicava insufficienti tali garanzie33, ritenendo al contrario che la Costituzione dovesse, se non scrivere i mezzi concreti per realizzare tali diritti (come era avvenuto nella costituzione sovietica), quantomeno indicare «il metodo generale che deve essere seguito dal nuovo Stato democratico repubblicano per riuscire a garantire questi nuovi diritti». Più precisamente, egli osservò che, mentre quando in passato si era trattato di rendere effettivi diritti di natura politica, la garanzia era stata trovata in una organizzazione dello Stato che limitasse l'arbitrio dei governanti, la garanzia di una effettiva traduzione in pratica dei diritti sociali avrebbe richiesto invece

30 On. Saragat, seduta del 6 marzo 1947. 31 On. Saragat, seduta del 6 marzo 1947. 32 On. Saragat, seduta del 6 marzo 1947.

33 Togliatti, infatti, nella seduta dell’11 marzo 1947, afferma: «Infine, avendo chiesto e chiedendo che venga inserita in modo preciso nel testo costituzionale l'affermazione del diritto al lavoro, del diritto al riposo, del diritto alla assicurazione sociale e all'assistenza e così via, dobbiamo dare una chiara risposta alla grave questione, che molti hanno sollevato, delle garanzie per l'attuazione e la realizzazione di questi diritti. L'onorevole Saragat, trovatosi di fronte a questa questione, ha risposto che la garanzia di questi diritti sta nel senso sociale e nel senso di civismo degli italiani. No, questo non basta! Mi auguro che il senso sociale degli italiani sia sempre ricco, ricchissimo, e permetta di risolvere bene e a tempo e nell'interesse delle classi lavoratrici tutte le questioni di organizzazione economica e sociale che si presenteranno nel futuro. Ma questo augurio è poca cosa, anzi, è cosa nettamente insufficiente. Occorre qualche cosa di più e di diverso; occorre cioè che, se anche non siamo in grado di scrivere quello che è scritto nella Costituzione staliniana, cioè i mezzi concreti con cui si garantiscono il lavoro, il riposo, le assicurazioni, l'istruzione di tutti i lavoratori, indichiamo però il metodo generale che deve essere seguito dal nuovo Stato democratico repubblicano per riuscire a garantire questi nuovi diritti».

un particolare indirizzo dell’attività economica del Paese. In quest’ottica, dunque, egli proponeva di introdurre la possibilità per lo Stato di coordinare e dirigere le attività produttive, mediante dei piani economici, nonché di nazionalizzare «quelle imprese che per il loro carattere di servizio pubblico oppure monopolistico debbono essere sottratte alla iniziativa privata»34.

Su una posizione intermedia si assestò infine la Democrazia Cristiana, la quale proponeva un’integrazione reciproca tra l’attività dello Stato organizzata come servizio pubblico e l’iniziativa privata. Se da un lato, infatti, i democristiani riconoscevano che «servizio pubblico non equivale a monopolio», ben potendosi ammettere la coesistenza dell’iniziativa privata con quella pubblica, dall’altro lato, tuttavia, essi ritenevano che allo Stato non dovesse attribuirsi soltanto una funzione suppletiva rispetto all’attività privata. Lo Stato, cioè, non doveva entrare in gioco solo laddove l’iniziativa privata non potesse giungere, ma doveva intervenire per garantire una «completa ed organica soddisfazione dell'interesse collettivo». In altre parole, come affermato da Aldo Moro a proposito dell’educazione, l’attività dei poteri pubblici «non supplisce, ma integra l'iniziativa privata, così come l’iniziativa privata integra quella pubblica». Le due dimensioni, dunque, dovevano convergere verso il medesimo risultato, fondendosi armonicamente per l’assolvimento di quella “missione storica” assegnata dalla Costituzione all’ordinamento repubblicano35.

In definitiva, alla luce del quadro storico delineato all’inizio del presente paragrafo e della lettura dei lavori dell’Assemblea, si comprendono le ragioni storiche della svolta impressa dai costituenti alla forma di Stato, nonché la portata epocale di tale scelta.

L’abbandono della forma di Stato propria dell’epoca liberale, in favore di una nuova concezione dello Stato, comportò infatti il superamento della distinzione tra fini essenziali e fini eventuali ed elevò il pieno sviluppo della persona e dei suoi diritti ad obiettivo ultimo dell’azione dei pubblici poteri36. In quest’ottica, l’inserimento in Costituzione dei diritti sociali costituì l’elemento caratterizzante del nuovo corso, nonché il cuore pulsante del nascente ordinamento.

34 On. Togliatti, seduta dell’11 marzo 1947.

35 Relazione dell’On. Moro in I Sottocommissione in merito ai Principi dei rapporti sociali e culturali. 36 Cfr. in questo senso la Relazione dell’On. La Pira in I Sottocommissione in merito ai Principi relativi ai rapporti civili.

La nuova concezione dello Stato trovò una consacrazione all’art. 2 della Costituzione, dove venne sancito il principio per cui lo Stato è al servizio della persona, della quale assicura il pieno sviluppo attraverso una trama di diritti e di doveri, che avvince tutti i soggetti dell’ordinamento in un vincolo inderogabile di solidarietà economica, politica e sociale. Ma, ancor di più, il nuovo ruolo dello Stato in ambito economico e sociale fu inciso nell’art. 3, c. 2, con l’investitura della Repubblica del compito di attivarsi per rimuovere gli ostacoli che impediscono di garantire a tutti un’esistenza realmente libera e dignitosa.

Se questi articoli costituivano le fondamenta del nuovo edificio costituzionale, le due colonne portanti avrebbero dovuto essere formate da un lato dall’indicazione dei diritti attribuiti ai cittadini e, dall’altro, dalla predisposizione degli strumenti necessari per rendere effettivi i diritti medesimi.

A questo proposito, tuttavia, perpetuando la metafora architettonica, si può dire che i costituenti abbiano lasciato l’opera incompiuta.

La distanza tra i diritti formalmente riconosciuti dalla Costituzione e la situazione reale della società italiana del dopoguerra, infatti, era tale da non consentire di completare il disegno immaginato dai costituenti, prevedendo direttamente in Costituzione, accanto alla proclamazione dei diritti sociali, garanzie idonee ad assicurarne l’effettività.

Inoltre, la maggior parte dei costituenti, pur aderendo alla nuova concezione dello Stato, riteneva che le prestazioni inerenti i diritti sociali non fossero immediatamente esigibili dai cittadini, e che le disposizioni costituzionali che le prevedevano avessero natura meramente programmatica.

Per l’attuazione concreta dei nuovi diritti, dunque, si sarebbe dovuto attendere l’intervento del legislatore, a cui sarebbe spettato il compito di rendere effettive quelle prestazioni che i costituenti avevano potuto soltanto promettere.

5. La garanzia effettiva dei diritti sociali tra norme programmatiche ed efficacia