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Opinioni sul Protocollo: tra opportunità e rischi

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA (pagine 52-55)

Il primo ad esprimere soddisfazione per la firma del Protocollo è stato Giuseppe Guzzetti, Presidente dell’Acri, il quale ammette: “Questo Protocollo è in continuità, nella sostanza, con scelte già effettuate da molte fondazioni, ma porta un’innovazione assoluta nel rapporto fra vigilante e vigilato, perché ha trovato nel dialogo e nel confronto costruttivo lo strumento ideale per favorire comportamenti e prassi sempre più virtuose, nell’interesse delle comunità e dell’intero Paese”68.

Il Presidente dell’Acri continua dicendo: “è un segnale di grande responsabilità e maturità da parte delle nostre fondazioni che dimostra la loro decisa volontà di fare un ulteriore passo avanti nel virtuoso percorso di dare maggiore efficacia e trasparenza alla loro attività, nel rispetto della propria autonomia e indipendenza”69, e ancora “rappresenta un salto culturale”70.

Tra gli altri, Mario Draghi non è mancato nell’affermare l’importanza delle fondazioni per le banche italiane. Le fondazioni infatti, ammette lo stesso Draghi nel 2009, “hanno accompagnato le banche nella fase più tempestosa della crisi finanziaria e nel rafforzamento patrimoniale”, e “le stanno accompagnando ora nella debole ripresa che si prospetta”, “il sistema bancario italiano (…) ha bisogno che le Fondazioni continuino ad accompagnare il rafforzamento

67 Acri, Ventesimo rapporto sulle fondazioni di origine bancaria, p. 258.

68 Come riportato in AA.VV., 2015 XXIII Congresso. Guzzetti: “Protocollo Acri/Mef grande senso di responsabilità”, Adepp e COM/MAL, 2015, Protocollo Acri-Mef, Guzzetti: profondamente soddisfatto, Azienda Giornalistica il Velino.

69 Così, il Presidente dell’Acri, Giuseppe Guzzetti, nel suo intervento di apertura del XXIII Congresso delle Fondazioni di Origine Bancaria e delle Casse di Risparmio.

70 AA.VV., 2015, Fondazioni, la sfida comincia adesso, Il Sole 24 Ore del 19 giugno 2015 che riporta quanto affermato dal presidente Giuseppe Guzzetti nella sua relazione al Congresso di Lucca del 18 giugno 2015.

patrimoniale e perseverino in quel ruolo, di azionista presente ma non intrusivo nella gestione, che è stato negli ultimi anni alla base del loro successo”71. Questa opinione è stata condivisa dal Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco che, nelle considerazioni finali del 2015, esprime un esplicito e favorevole plauso al Protocollo d’Intesa72.

Meno entusiasta dell’iniziativa è invece Beppe Ghisolfi, Presidente della Cassa di Risparmio di Fossano, nonché Vice Presidente di Abi, il quale ha palesato una grande preoccupazione dato il timore di “finire nell’orbita di gruppi bancari, essere fagocitati e quindi snaturare il ruolo peculiare, grazie alla relazione storica e profonda con il tessuto locale, a favore dello sviluppo socio-economico su un progetto condiviso”. I timori del Presidente Ghisolfi sono probabilmente alimentati da una delle disposizioni del Protocollo, ossia dall’obbligatoria diversificazione degli strumenti finanziari73. Il Direttore dell’Acri, pur comprendendo il timore manifestato da Ghisolfi, ricorda però che le fondazioni sono realtà distinte dalle banche e che, sicuramente si tratta di un passaggio delicato da gestire, ma la diversificazione è a tutela del patrimonio della fondazione, non contro (Seia C., 2015).

Recente è invece la preoccupazione del CEO di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, il quale ha criticato pubblicamente la necessità che la Compagnia di San Paolo debba scendere al fatidico limite del 33% nella banca dichiarando “è stupido che in una fase come questa le fondazioni debbano ridurre la quota nelle banche”74, e ancora “Avrei trovato ragionevole posporre il tempo in cui veniva richiesto di adempiere a tale obbligo”, “Non vorrei mai che tra qualche anno dovessimo trovarci alle prese con la messa a punto di un golden power nel settore bancario”, visto che “in Italia abbiamo una capacità di sottovalutare quanto possa essere strategico il mantenimento di noccioli duri italiani”. Secondo Messina, quella del 33% è “una regola che andava bene per Monte dei Paschi di Siena, ma forse bisognerebbe valutare anche che se questa banca è una delle più redditizie d’Europa e difficilmente le Fondazioni potranno trovare investimenti con ritorni maggiori, allora forse posporre il tempo in cui si chiedono questi interventi” sarebbe stato più “ragionevole” (Seminerio M., 2017).

Il Presidente dell’Acri Giuseppe Guzzetti, invece, continua a ribadire che il Protocollo deve essere rispettato e che non vi è necessità di revisione di esso poiché contiene già parametri tenenti conto delle condizioni di mercato”75.

Opinioni sono maturate anche nel mondo accademico. Vella (2016), tra tutti, si sbilancia definendo il Protocollo “un vero e proprio segno di discontinuità”. Egli spiega infatti che mentre

71 Draghi M. (2009), “Intervento”, Acri – Giornata Mondiale del risparmio, Roma, 29 ottobre 2009, p.14. 72 Banca d’Italia (2015), Considerazioni finali del Governatore, Roma p. 13.

73 Si veda intervista a Giorgio Righetti, Direttore dell’Acri (documento 8). 74 AA.VV., 2017, Fondazioni, protocollo Acri-Mef non va rivisto, Milano Finanza.

75 Espressione riportata nei seguenti articoli: (i) AA.VV., 2017, Banche: Guzzetti, protocollo Mef-Acri su Fondazioni va bene, Milano Finanza; (ii) AA.VV., 2017, Fondazioni, protocollo Acri-Mef non va rivisto, Milano Finanza; (iii) Fonte G., 2017, Fondazioni, Guzzetti: protocollo

in passato lo sguardo sulla governance era dominato dalla loro natura bancaria ed i legami con l’ente conferitario erano marcati, ora il Protocollo conduce alla via della “forte valorizzazione del ruolo non profit delle fondazioni” e della loro definitiva “liberazione” dalla banca (p. 617). L’insieme dei criteri previsti dal Protocollo possono, in qualche modo, rappresentare un “manuale del buon governo” che, con le dovute modulazioni in ragione di caratteristiche, dimensione e operatività, qualsiasi soggetto non profit dovrebbe rispettare. Per Vella infatti vi è la possibilità di riverberare gli effetti positivi e virtuosi sull’intero Terzo settore. Ciò però è condizionato dall’effettiva realizzazione della buona prassi perché se è vero che il Protocollo rappresenta una opportunità, esso – conseguentemente – comporta anche dei rischi. Il raggiungimento degli obiettivi del Protocollo dipenderà dalla reale ed effettiva capacità di recepire correttamente gli standard generali, evitando di svalutarne o annacquarne la portata (Vella 2016). Se da una parte infatti il Protocollo rappresenta “l’esplicito e importante riconoscimento del ruolo delle forme di autorganizzazione e autoregolamentazione”, dall’altra rappresenta anche “una (…) importante sfida di effettiva coerenza con i parametri generali e individuati dal protocollo, pena il recupero di spazio di interventi di vigilanza decisamente più intrusivi e limitanti l’autonomia statutaria”.

Secondo Pinza (in Sala G., Meruzzi G. 2016) il Protocollo era necessario per “dare dignità normativa alle fondazioni con un intervento legislativo generale che, tenendo conto della diversità di ciascuna, imponesse peraltro a tutte uno schema base che rompesse i meccanismi di cooptazione, raccordasse gli organi della fondazione alle realtà esterne, pubbliche, associative, culturali, assistenziali, stabilisse la necessità di definire settori principali di intervento, allentasse i rapporti fondazione-banca, individuasse un’Autorità di vigilanza” (p. 19 - 20).

Come afferma anche Clarich (in Vella 2016) il Protocollo rappresenta “la manifestazione di una innovativa tecnica regolamentare” all’interno della quale si realizza tra il soggetto controllore e i controllati un accordo volto a identificare standard di carattere generale e linee guida che dovranno poi essere recepiti e specificati nelle discipline statutarie in un’ottica del tutto nuova di leale collaborazione. Un modello quindi cooperativo meno top-down e infrequente nella nostra tradizione istituzionale.

Il Protocollo, secondo Meruzzi (in Sala G., Meruzzi G., 2016), adottando un criterio di “adeguatezza organizzativa” (p. 132), rappresenta un vincolo all’autonomia privata dell’ente, funzionale però al più efficiente ed efficace perseguimento degli obiettivi della corretta amministrazione. Non solo, ma “l’intera disciplina introdotta dal Protocollo può quindi essere intesa, a ben vedere, come una compiuta enucleazione delle regole di corretta amministrazione delle fondazioni di origine bancaria” (p. 143), trattandosi di regole che non solo individuano i

criteri operativi che devono essere eseguiti nell’attività gestoria dell’ente, ma che ancor prima configurano, a monte, gli assetti organizzativi che devono essere predisposti affinché sia garantito il perseguimento degli obiettivi della corretta amministrazione e della sua sana a prudente gestione.

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA (pagine 52-55)