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Dopo quanto appena detto, non sorprende sapere che il concetto stesso di autorialità, a causa delle implicazioni che comportava la natura del supporto sul quale il testo era soli- tamente vergato, viene meno, poiché la disposizione delle listarelle, l‘aggiunta di pericopi appartenenti a una diversa unità in un‘altra sezione, l‘aggiunta e la sottrazione di listarelle (come il caso del XZMC riportato sopra, dove alle listarelle 34-5 ritroviamo delle pericopi che presentano un buon grado di corrispondenza con una porzione del capitolo Tán gōng

xià del Lǐjì) ci fa comprendere come non solo non esistesse una versione fissa o ortodossa

del testo, ma ci spinge a dubitare se in molti casi, come ad esempio quello del XZMC/XQL possiamo davvero parlare del medesimo testo. Né i manoscritti sembrano preoccuparsi troppo della loro paternità o di ascrivere le loro idee a una particolare figura o maestro: sappiamo che alcuni ritrovamenti testuali del periodo degli Stati Combattenti hanno con- servato il titolo sul retro di una listarella che può rimandare a una figura della tradizione (ad esempio lo Zǐ Gāo o il Róng Chéng shì). Sebbene raramente gli studiosi attribuiscano i manoscritti in questione alle figure dal cui nome le opere prendono il titolo, è possibile congetturare che le persone che hanno redatto questi testi seguissero gli insegnamenti di tali personaggi (veri o fittizi che fossero).

Ma anche quando ci troviamo in presenza di opere recanti un titolo, questo non ci deve au- torizzare a pensare che tale opera sia il frutto di una trasmissione stabile e lineare: i testi del periodo degli Stati Combattenti sembrano essere caratterizzati da una profonda instabi- lità e sono soggetti anche a pesanti modifiche da parte degli autori da intendere con questa parola spesso, non solo la mano di chi ha scritto il testo,55 ma anche coloro che ne hanno assemblato le listarelle, contribuendo letteralmente alla sua composizione. Si tratta sia di un procedimento che può comportare tanto lo spostamento di blocchi testuali, quanto an- che l‘inserimento di pericopi in differenti blocchi, come se le pericopi di una data sezione di un testimone penetrassero in una differente unità di un altro testimone del testo. (Boltz, 2005)

Ciò dovrebbe porre la nostra attenzione sulla relativa stabilità dei testi manoscritti e se la stabilità di determinate strutture linguistico/argomentative possa essere un indizio piuttosto

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50 di stabilità. Il supporto sul quale i manoscritti erano generalmente vergati consentiva una trasmissione piuttosto fluida e per nulla affatto stabilita di un testo. Tuttavia, l‘analisi della fraseologia consente di appurare un ampio uso di varianti grafiche, cosa questa che consen- tirebbe di trarre conclusioni, per quanto provvisorie, sul grado di stabilità del testo. Poiché una variante grafica scrive, servendosi di una struttura grafemica dissimile, la stessa parola espressa da un determinato carattere, il che implica anche la stessa pronuncia, la presenza di frasi che hanno al loro interno lo stesso ordine dei costituenti ma grafie differenti, po- trebbe essere indice di una trasmissione instabile, per lo meno dal punto di vista ortografi- co, nonostante questo termine debba essere applicato con cautela, che può tradire persino elementi di una tradizione di trasmissione orale.

Il tema dell‘oralità è piuttosto delicato ed apre interrogativi entusiasmanti. La presenza di numerosi varianti grafiche all‘interno di due testimoni dello stesso testo spesso conduce al- la conclusione che la sua trasmissione sia stata, a causa della natura instabile del sistema di scrittura, orale e non scritta. Martin Kern (2005b, p. 173) ha tentato di distinguere tre situa- zioni che potrebbero essersi verificate come retroterra della trasmissione di un testo scritto. La prima prevedrebbe la copiatura di un testo scritto da un altro testimone; questa ipotesi è immediatamente scartata da Kern poiché l‘alto tasso di varianti grafiche presente nei testi, secondo lo studioso, non ammetterebbe una simile soluzione,56 poiché il copista in questo caso avrebbe cercato di riprodurre le grafie presenti sul testo in modo molto più fedele ri- spetto alle grafie che si trovano nel testo. Le differenze sarebbero, dunque così palesi che non si potrebbero interpretare come una lettura erronea da parte del copista o una copiatura sbagliata o affrettata.

La seconda ipotesi (Ibid., p. 179) vedrebbe la riproduzione del testo sotto dettatura: lo scri- ba avrebbe ricopiato il testo mentre un secondo uomo provvedeva man mano a dettarlo. Secondo Kern, tale ipotesi si accorderebbe meglio con le evidenze testuali a disposizione, poiché il copista non avrebbe prestato particolare attenzione all‘aspetto grafico dei caratteri bensì al contenuto: infatti, la verifica del testo copiato o riprodotto con la sorgente origina- le sarebbe potuto essere immediato a lavoro ultimato, ma tali correzioni, tuttavia non sono presenti nelle testimonianze in nostro possesso.

La terza ipotesi prevedrebbe una riscrittura del testo appreso a memoria, senza l‘ausilio del supporto scritto, situazione che, secondo Kern, si adatta anch‘essa bene alle evidenze gra- fiche.

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Occorre precisare che sebbene lo studio di Kern sia principalmente rivolto alla trasmissione dello Shījīng, le sue argo- mentazioni e le sue ipotesi si possono idealmente applicare alla trasmissione di un gran numero di manoscritti del periodo classico.

51 Kern ritiene che non vi siano elementi per poter propendere a favore della seconda o della terza ipotesi, ma congettura che, a causa dell‘enorme presenza di varianti ortografiche spesso composte da elementi fonetici senza alcuna mutua relazione grafica,57 per poter de- terminare quale parola associare al carattere, il lettore ipotetico avrebbe già dovuto cono- scere il testo (Ibid., p.180), conoscenza acquisita in precedenza attraverso un costante eser- cizio di memorizzazione e recitazione del testo, una pratica che si riscontra nel periodo de- gli Stati Combattenti. Scrive Kern:

By placing the Odes into such a context of early canonical teaching and transmission, the large number of textual variants in their manuscript quotations becomes less disturbing. Moreover, these variants – whether between two manuscripts or a manuscripts and a re- ceived anthology – are in their vast majority paronomastic […] Whatever the originally intended words behind such graphic variants may be, we can safely conclude that the re- ceived transmission of the Mao recension is astoundingly faithful in its representation of the original sound of the text. […] In sum, by the late fourth century B.C.E., the Odes were the most prestigious Chinese text, they had reached a high degree of canonization, and they were largely fixed in their wording. (Ibid., p. 181)

Le affermazioni di Kern a riguardo delle differenti tipologie di trasmissione testuale meri- tano qualche commento: benché allo stato attuale dei documenti, sia trasmessi, sia recen- temente ritrovati, sia del tutto impossibile ricostruire le circostanze dietro la trasmissione di un testo manoscritto, è necessario fare delle precisazioni a riguardo dell‘eventualità di una trasmissione orale. Kern è consapevole della possibilità di coesistenza di entrambe le tradi- zioni, ma al tempo stesso ammette che è impossibile ipotizzare una versione standard delle Odi nel periodo degli Stati Combattenti e questo non soltanto come conseguenza del pro- cesso di composizione dei testi della tradizione operato durante la dinastia Hàn. Questo as-

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Giova ricordare che per poter definire un carattere variante grafica è necessario che esso abbia la medesima pronuncia della parola che il carattere di cui rappresenta la variante scrive. Una buona definizione di variante grafica è data in Qiú Xīguī (1988, p. 232): 异体字就是彼此音义相同而外形不同的字,严格地说,只有用法完全相同的字,也就是一字 的异体,才能称为异体字。但是一般所说的异体字往往包括只有部分用法相同的字。严格意义异体字可以称为 狭义异体字,部分用法相同的字可以称为部分异体字,二者合在一起就是广义异体字。 ―Varianti grafiche sono caratteri aventi entrambi identica pronuncia e significato e forma differente. Soltanto un carattere il cui impiego è com- pletamente identico (avente, cioè, una forma diversa) può essere chiamato variante grafica. Tuttavia, spesso le cosiddette varianti grafiche comprendono i caratteri che hanno parzialmente il medesimo impiego. In termini rigorosi, le varianti grafiche possono essere chiamate ―varianti grafiche in senso stretto‖ e quelle che hanno parzialmente il medesimo impie- go possono essere chiamate ―varianti parziali‖. Insieme sono dette varianti grafiche generali‖. A nostro avviso, la miglio- re definizione è data da Lǐ Pǔ (1995, p. 169): 我们这里所说的异体是严格意义上的异体,即代表代表同一个语素 (或词)的字,音义完全相同,而结构成份(字素)不同,或者结构成份虽然相同而结构部位、结构关系不同 ―Le varianti grafiche di cui trattiamo sono in senso stretto dei caratteri che rappresentano un morfema (o una parola) a- vente stessa pronuncia e significato ma i cui elementi strutturali (componenti grafiche) differiscono, ovvero anche se gli elementi strutturali sono identici, non lo sono la loro posizione e i loro rapporti all‘interno del carattere‖.

52 sunto, tuttavia, è in contrasto con le ragioni che hanno indotto Kern a scartare la prima ipo- tesi: è impossibile stabilire su quale tipo di testo si sia basato il presunto copista e quindi è impossibile accertarsi con quali varianti il copista sia entrato in contatto e quali abbia tra- scritto. L‘implicazione è che non si può allo stato attuale dei reperti e delle testimonianze in nostro possesso stabilire che tipo di testo (standardizzato o meno) il copista abbia con- trollato.

Kern continua:

There are also more particular reason for questioning the orthographic uniformity of early Odes quotations in received texts as being original. Due to their archaic diction, the Odes were perhaps more, not less, prone to be written in widely diverging ways than other texts endowed with a history of transmission. Yet, because their canonical status and thus rela- tively stable framework of learning, their actual written form have mattered less than that of contemporary prose. […] In sum, for the late pre-imperial and early imperial period, we witness the double phenomenon of a canonical text that is as stable in its wording as it is unstable in its writing. (Ibid., p. 182)

A nostro modo di vedere, è necessario circoscrivere ancora di più le affermazioni di Kern. Nella prima citazione che abbiamo riportato, Kern sostiene che anche se una qualche forma di tradizione scritta si fosse affiancata a quella orale, la prima non sarebbe stata riguardata come fonte principale per l‘apprendimento del testo e la sua pratica.

Questo è un punto su cui varrebbe la pena soffermarsi, almeno in via teorica, dal momento che non sappiamo l‘uso che si faceva di questi testi, salvo alcune circostanze particolari (Van Zoeren, 1991). Quando pensiamo alla tradizione scritta e orale, siamo soliti immagi- nare due mondi quasi separati, aventi soluzione di continuità, un quadro questo che ammet- te la compresenza di entrambe le tipologie di trasmissione, senza mai prospettarne la mute- vole interazione. Dal momento che l‘introduzione della scrittura compie delle sostanziali modifiche dei modi di produzione intellettuale e del pensiero e dal momento che la società cinese del quarto secolo avanti Cristo che produce una copia dello Shījīng è una società scritta e per nulla affatto orale,58 occorre domandarsi come la scrittura abbia modificato la trasmissione orale stessa. Sappiamo, grazie al possesso di numerose prove empiriche (Go-

58 Il che non implica che l‘alfabetizzazione fosse presente in ogni strato della società e che le persone facenti parte della comunità lo fossero allo stesso modo, poiché è necessario tenere presente che il concetto di alfabetizzazione deve essere pensato in vari livelli, alcuni dei quali possono seriamente pregiudicare la creazione di un testo scritti, ma, allo stesso tempo, rivelarsi estremamente utili per altri fini (come ad esempio quelli di natura contabile; si veda Petrucci (2004).

53 ody, 1972, 1987, 2002; Vansina,1965; Finnegan, 1970, 1977) che tali tipi di tecnologie dell‘intelletto non si escludono a vicenda, né implicano l‘abbandono di una per l‘altra: la gente ha continuato a raccontare storie narrate dai propri genitori e nonni pur potendo leg- gere e scrivere; analogamente, l‘invenzione della stampa non ha impedito agli esseri umani di continuare a utilizzare carta e penna.

Tuttavia, laddove la scrittura penetra in una società, si verificano dei fenomeni interessanti che è opportuno analizzare: tutte le culture che si basano sulla scrittura considerano impor- tantissima la memorizzazione di un testo, e anche in determinate circostanze (ad esempio, per imparare a scrivere) la sua copiatura, sia per il suo valore sacrale, canonico, rituale sia per la sua riproduzione (Goody, 2002, p. 29). Di conseguenza, la memorizzazione parola per parola, che nelle culture orali ha scarsa importanza e che raramente è riscontrata, divie- ne un requisito indispensabile: dal momento che la scrittura è in grado di fissare il discorso e di riprenderlo, è possibile immagazzinare un testo senza la necessità di modificarlo sia nella fase di apprendimento che in quella performativa, al punto che ―gli elementi che fa- cilitano l‘apprendimento (per esempio la forma metrica e la costruzione basata su formule) possono occupare uno spazio maggiore nelle prime produzioni scritte che in quelle orali.‖ (Ibid.) L‘introduzione della scrittura consente dunque la memorizzazione parola per parola poiché si introduce un elemento assente nelle tradizioni orali: un testo scritto che funge da riferimento e da sorgente con la quale confrontarsi e correggere eventuali errori e conse- guentemente, nonché la stessa idea astratta di fedeltà al testo.

Ciò porta a implicazioni interessanti, che per quanto a prima vista estreme non devono af- fatto indurci a ritenere che siano fenomeni tutt‘altro che marginale come la sopravvivenza delle cosiddette ―lingue morte‖: nelle culture orali, non c‘è spazio per la sopravvivenza di un idioma di parecchie generazioni anteriore, cosa che non avviene per quelle scritte dove assistiamo alla creazione di un sistema che possa trascrivere le fasi linguistiche anteriori permette la conservazione e la trasmissione di lingue che altrimenti si sarebbero estinte o della cui evoluzione noi non avremmo il benché minimo indizio.

E‘ dunque difficile, se non addirittura impossibile, immaginare la trasmissione di un testo come il Jiǔ Gào 酒誥, o di un‘altra parte dello Shàng shū (che presenta una fase linguistica assai più arcaica rispetto al periodo classico) in forma puramente orale, specie tenendo conto delle citazioni presenti nello Zīyī o nel Chéng zhī wén zhī: nessuno nel quarto secolo avanti cristo avrebbe potuto parlare o pensare come si parlava o pensava quattro secoli prima: si può soltanto scrivere in quella maniera.

54 Ci sembra dunque doveroso precisare che è necessario distinguere una tradizione puramen- te orale di trasmissione di un testo (non certamente il caso delle opere della tradizione degli Stati Combattenti) da una che ha incontrato la tecnologia della scrittura. E‘ ben difficile che una trasmissione esclusivamente orale, prolungatasi per secoli, mantenga un livello di fedeltà a una versione scritta che apparirà successivamente quasi dopo mezzo millennio: un testo puramente orale può non essere più lo stesso o trasformarsi radicalmente anche dopo un paio di generazioni.

Un altro problema è che fino ad ora non disponiamo di alcun manoscritto del periodo degli Stati Combattenti che possa testimoniare quale fosse lo stato testuale delle Odi. Sebbene questa raccolta non rientri nel piano di questo studio, è opportuno segnalare come la pre- senza di citazioni all‘interno dei manoscritti di Guōdiàn e Shànghǎi non implica necessa- riamente che il testo fosse trasmesso esclusivamente per via orale. Un testo può anche es- sere memorizzato partendo da una fonte scritta e successivamente citato a memoria quando la situazione lo richiede, come nel caso delle Odi. Kern nota giustamente: ―Did any of the nobles mentioned in the Zuozhuan, when prompted for an Odes recitation, excuses himself for a moment to rush through his piles of bamboo strips? Did Confucius need to look things up in order to be left neither with ‗nothing to use in speech‘ nor ‗standing with the face straight to the wall‘?‖ (Kern, Ibid., p. 183), ma non sembra prendere in considerazione come anche il testo da recitare possa essere stato appreso da un supporto scritto e non sem- plicemente appreso udendo un maestro recitarlo a sua volta, riaffermando in questo modo la commistione fra tradizione e trasmissione scritta e orale di un testo. Di fatto, nelle cultu- re orali, il momento della recitazione di un testo è un processo creativo, ma anonimo, an- che se nella mente degli esecutori non vi è la consapevolezza dell‘innovazione e l‘assenza della scrittura non permette di registrarne e certificarne l‘origine. La ricerca empirica (Go- ody, 1987) ha inoltre dimostrato che la memorizzazione parola per parola di un lungo testo (e le Odi rientrano in questo campo sebbene comparativamente più brevi rispetto all‘epica omerica o al Mahābhārata) non ha luogo nelle culture orali e che il loro apprendimento è un processo che avviene in un contesto legato da una relazione maestro/discepolo. Avendo in mente questi elementi, prendiamo in esame un passo dei Lúnyǔ che ci sembra essere un esempio piuttosto tipico dell‘apprendimento di un testo in una cultura scritta:

陳亢問於伯魚曰:「子亦有異聞乎?」對曰:「未也。嘗獨立,鯉趨而過庭。曰: 『學《詩》乎?』對曰:『未也。』『不學《詩》,無以言。』鯉退而學《詩》

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Chén Kàng domandò a Bó Yú: ―Hai appreso qualcosa di diverso da noi?‖ Bó Yú rispose: ―No, una volta quando mio padre era solo, stavo attraversando la sala a passo svelto, quando egli mi ha chiesto: ‗Hai studiato le Odi?‘ e io ho risposto di no. ‗Se non si studia- no le Odi non avrai nulla da dire‘. Allora mi sono ritirato a studiare le Odi.‖ (Lúnyǔ, Jìshì)

La frase che qui ci interessa è Lǐ tuī ér xué Shī 鯉退而學 《詩》 ―Allora mi sono ritirato a studiare le Odi.‖ Il punto non è tanto il modo in cui il figlio di Confucio ha studiato le Odi (problema, tuttavia, complesso e interessantissimo, ma per ora ben lungi dall‘essere chiaro) ma l‘ambito in cui avviene lo studio. La trasmissione puramente orale non avviene quasi mai in un contesto di isolamento, tipico della lettura (senza scrittura non è possibile legge- re). Anche se con tutta probabilità le Odi erano imparate a memoria e recitate a menadito, nonché studiate con la presenza accanto di una figura autorevole come un maestro, nondi- meno i dubbi su quale fosse la fonte da cui le Odi fossero apprese rimangono ancora intatti. Bisogna segnalare che le situazioni di totale oralità guardano con estremo sospetto lo stu- dio in solitario e prediligono una situazione di comunità. La situazione del figlio di Confu- cio è ripresa sempre nel medesimo passo dove si descrive suo padre domandargli se avesse studiato i Riti. All‘ennesima risposta negativa e di fronte al rimprovero del padre, Bó Yú si ritira a studiare. Anche se non sappiamo come avvenisse tale apprendimento, nel testo non sono menzionate situazioni di studio collettivo per ciò che riguarda l‘apprendimento dei te- sti.59

La questione dello studio dei riti è anch‘essa importante: il carattere lǐ 禮 può indicare tan- to le tradizionali norme rituali quanto dei testi che descrivono tali cerimonie o ne spieghino il significato e i valori ad esse sottese; siccome l‘enorme apparato di cerimonie era ormai divenuto altamente complesso e sofisticato, erano stati redatti testi che ne descrivevano sia