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SOGGETTIVITÀ E COLTIVAZIONE INTERIORE

Di tutte le questioni fino ad ora sollevate dall‘esegesi filosofica del XZMC, forse la più sfuggente e aperta rimane la definizione dei rapporti che intercorrono tra il cuore e le incli- nazioni naturali.

La reticenza del manoscritto, la sensazione che spesso dia per scontato molte nozioni o as- siomi non facilita certo il compito di dipanare i dubbi su alcuni dei passi più oscuri e ambi- gui, né apparentemente sembrano aiutarci gli altri manoscritti della tomba di Guōdiàn. Benché, tuttavia, ulteriori scoperte possano ancora essere in grado di ribaltare alcune delle interpretazioni che compongono il corpus dell‘esegesi filosofica del XZMC facendole ap- parire come provvisorie, nondimeno non dobbiamo sentirci autorizzati a negare alcuni fatti che fino ad ora non sono ancora stati smentiti.

Fatte queste premesse, ci sembra cosa migliore partire da quei dati ovvi e incontrovertibili. Il primo è naturalmente la distinzione della caratura morale di un essere umano data dal suo impiego delle facoltà mentali. Il passo che segue, sembra mostrare una certa familiarità con il pensiero di Confucio:

四海之内其性一也,其用心各異,教使然也

In ogni angolo del mondo la natura degli uomini non mostra alcuna differenza, dato che è l‘insegnamento a metterci nelle condizioni di impiegare, ognuno in modo diverso dall‘altro, le nostre facoltà mentali.

Paul Rakita Goldin (2000, p.114) sostiene che l‘uso del carattere xìng e del carattere yī 一 in questo passo, mostri una conformità con le concezioni di Xúnzǐ: quest‘ultimo riteneva che le inclinazioni naturali fossero 生之所以然 ―ciò grazie a cui i processi genrativi av- vengono per come sono‖, mentre per Mencio xìng si identificava con delle peculiarità in- trinseche degli essere umani, delle potenzialità che se sviluppate nel modo corretto e ap- propriato, sarebbero cresciute divenendo quelle istanze morali grazie alle quali elevarsi a uomini moralmente superiori.123

Abbiamo già detto che a nostro avviso il carattere yī oltre a indicare la conformità delle in- clinazioni naturali negli uomini, l‘assenza di differenze fin dalla nascita, sottolinea anche

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137 l‘identità dei processi operativi ai quali sottostano, descritti nelle listarelle successive 9-14, e che si dimostrano uguali in ciascun individuo.

Resta da capire che cosa il manoscritto intenda per yòng xīn 用心: fin dall‘inizio il cuore non si trova in una posizione favorevole allo sviluppo di alcuna istanza morale, anzi sem- bra esserne indifferente; di per sé non dispone un intento prefissato, né è possibile prescin- dere da qualsiasi forma di azione senza che sia entrato in contatto con la realtà circostante. Sappiamo che ciò che spinge gli uomini ad agire è zhì 志, l‘intento, ed è il manoscritto stesso a precisare la mancanza di autonomia delle altre parti del corpo. Ciò è messo in luce tanto da Mencio quanto da Xúnzǐ e non c‘è motivo di non ritenere che questa fosse una concezione dominante nel periodo in cui i manoscritti furono composti e copiati. Dal mo- mento che sembra che nel XZMC non vi sia accenno ad alcune istanze morali o potenziali- tà espresse nel cuore, fosse anche solo in forma germinale, dobbiamo ritenere che l‘espressione yòng xīn possa far riferimento alla manifestazione degli intenti dell‘uomo e al modo in cui essi possano essere diretti (dal che ne consegue l‘azione); ciò implica che la coerenza, la costanza e la stabilità delle intenzioni umane determina il modo in cui si im- piegano le proprie facoltà umane. Gli autori del manoscritto sembrerebbero spinti a cercare una soluzione che possa impedire l‘azione morale in quanto dettata soltanto dalle circo- stanze contingenti, alle quali le inclinazioni naturali non possono in alcun modo sottrarsi, e tale risposta sembrano trovarla nel cuore. In altre parole, sembrerebbe che nel manoscritto vi sia la preoccupazione di cercare qualcosa che vada al di là del contingente e che sia il punto di origine dal quale l‘azione morale prende corpo e ne sia contemporaneamente il motivo della sua messa in atto.

In questa sezione, ci proponiamo di mostrare come il XZMC concepisca alcune istanze eti- che come rén non come già assodate ma come possibile sviluppo di alcune potenzialità in- site nell‘individuo e come il processo di coltivazione delle inclinazioni naturali sia inscin- dibile da quello delle facoltà mentali ed emotive. Ciò significa rispondere a una serie di quesiti sul significato della presenza di determinate potenzialità etiche negli esseri umani. In altre parole, che cosa significa che alcune istanze etiche siano già presenti nell‘essere umano? Significa forse che nel momento in cui ci accingiamo a parlare delle sue inclina- zioni naturali, diamo per scontato che esse ―contengano‖ qualcosa? La risposta è abbastan- za complessa e in questa sede cercheremo di proporre alcune ipotesi che tengano conto di come il XZMC abbia affrontato la questione del rapporto tra inclinazioni naturali e l‘amore e la sollecitudine verso il prossimo, tra inclinazioni naturali, il cuore e rén.

138 Per Mencio la caratteristica del cuore che lo pone al di sopra di tutti gli altri organi è quello di pensare: 公都子問曰:「鈞是人也,或為大人,或為小人,何也?」孟子曰:「從其大體為 大人,從其小體為小人。」曰:「鈞是人也,或從其大體,或從其小體,何也?」 曰:「耳目之官不思,而蔽於物。物交物,則引之而已矣。心之官則思;思則得之, 不思則不得也。此天之所與我者,先立乎其大者,則其小者不能奪也。此為大人而 已矣。」

Gōngdūzǐ domandò: ―Perché, pur essendo tutti uomini, alcuni divengono grandi e altri mediocri?‖ Mencio rispose: ―Grandi lo diventano coloro che privilegiano le parti del cor- po più importanti; quelli che privilegiano le parti meno importanti diventano uomini me- diocri‖ ―E allora come mai, pur essendo tutti uomini, coloro che privilegiano le parti del corpo più importanti, mentre quelli che privilegiano le parti meno importanti diventano uomini mediocri?‖ ―Gli organi della vista e dell‘udito non hanno facoltà di pensiero ma, passivamente, subiscono l‘influenza esercitata dalle cose. Interagendo fra loro, le cose at- tirano gli organi della vista e dell‘udito (proprio in quanto cose). Il cuore, invece, è in grado di pensare e grazie all‘attività del pensiero siamo in grado di comprendere la situa- zione. Se non riflette non ne siamo capaci. Questo è ciò che il Cielo ci ha dato. Se poniamo alla base innanzitutto ciò che è più importante, ciò che è meno importante non potrebbe avere la meglio. Questo è ciò che fa un uomo di valore.‖ (Mèngzǐ, Gàozǐ shàng)

E‘ grazie al pensiero che siamo in grado di accorgerci prima e di nutrire dopo (coadiuvati dalle azioni corrispondenti) le tendenze intrinseche al cuore stesso:

人之有是四端也,猶其有四體也。有是四端而自謂不能者,自賊者也;謂其君不能 者,賊其君者也。凡有四端於我者,知皆擴而充之矣,若火之始然、泉之始達。茍 能充之,足以保四海;茍不充之,不足以事父母。」

Gli uomini dispongono dei quattro germogli allo stesso modo in cui sono dotati dei quattro arti. Definirsi incapaci di far sviluppare questi quattro germogli malgrado li si possegga equivale a danneggiare gravemente se stessi. Se si sostiene che il proprio sovrano sia un incapace, ciò equivale a danneggiate gravemente il proprio sovrano. Tutti abbiamo i quat- tro germogli dentro di noi, se sapremo farli sviluppare, essi prospereranno come un fuoco che inizia a divampare o una sorgente che inizia a sgorgare. Essi bastano a proteggere la

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popolazione del mondo intero se portati a pieno sviluppo, ma in caso contrario non saran- no sufficienti nemmeno a servire i propri genitori. (Mèngzǐ, Gōngsūn Chǒu shàng)

La capacità del cuore di riflettere trova la sua fondamentale realizzazionie nella consapevo- lezza del soggetto della presenza di istanze morali già dentro di sé e del fatto che egli non è costretto a ricercarle altrove. Poiché il compito dell‘uomo è quello di trovare un modo per poter divenire un essere umano moralmente superiore, senza per questo danneggiare la propria vita o le proprie tendenze naturali, egli deve trovare le radici della moralità dentro se stesso, postulate da Mancio attraverso l‘espressione sì duān, che abbiamo appena incon- trato. Notiamo come il carattere sī 思 non solo indica l‘attività del pensiero, ma anche la presa di coscienza del soggetto sulle sue reali potenzialità (仁義禮智,非由外鑠於我也, 吾固有之也,弗思耳矣, ―L‘amore e la premura verso il prossimo, il senso di ciò che è giusto e appropriato, l‘agire in conformità alle tradizionali norme rituali e la capacità di di- stinguere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato non si sono fuse in noi dall‘esterno; le ab- biamo già dentro di noi, ma non ne siamo consapevoli.‖ Mèngzǐ, Gàozǐ shàng), come illu- stra l‘episodio di Mencio alla corte del re Xuān di Qí. Il fatto che il cuore distingua ciò che è giusto da ciò che è sbagliato (shì fēi zhī xīn 是非之心) è fondamentale per poter agire in conformità di ciò che giusto e appropriato (yì). Il cuore può farlo perché, come gli organi sono attratti solo da ben determinati stimoli (ad esempio le orecchie reagiscono ai suoni e ai rumori, non alla vista di qualcosa), così il cuore ha una tendenza innata a essere attratto e a sentirsi appagato dal senso di giustizia e qundi a ricercarlo.

Se i principi in base ai quali è possibile giudicare ciò che è giusto e appropriato, nel XZMC, devono essere tratti dai testi della tradizione e da altre manifestazioni culturali (體其義而 節度之), ciò implica che la morale non è completamente ravvisabile nelle potenzialità u- mane. Tali principi non sono il risultato di un processo di crescita delle inclinazioni natura- li che fanno in modo che il cuore possa sviluppare il senso di ciò che è giusto, bensì si trat- ta di un elemento esterno che agisce sulle inclinazioni naturali e che deve essere interioriz- zato (rù).124

124 A riprova delle conseguenze che l‘interiorizzazione di principi di ciò che è giusto e appropriato hanno sull‘individuo basti solo citare la frase wéi è bù rén wéi jìn yì 唯惡不仁為近義 e che si basa su un tratto caratteristico degli uomini, quello di provare avversione o gradimento. Guō Qíyǒng sostiene che la frase hào‘è xìng yě non si riferisce tanto alla ca- pacità di provare amore o avversione in generale, bensì che tali sentimenti si limitano esclusivamente ad amare e odiare gli uomini, ad amare rén, le manifestazioni di amore e premura verso il prossimo, e odiare ciò che non lo è. Si veda Guō Qíyǒng (1999, p. 25). Lo studioso trascura, tuttavia, come il manoscritto non specifichi affatto che cosa si intenda con la proposizione hào‘è xìng yě e inoltre sembra non considerare che subito dopo il manoscritto prosegue con suǒ hào suǒ'è

140 Queste idee non sembrano essere peculiari soltanto al XZMC, bensì anche ad altri testi di Guōdiàn, fra cui lo Yǔcóng yī:

仁生於人,義生於道。或生於内,或生於外

La benevolenza è generata dagli esseri umani, la moralità proviene dal Dào. L‘uno nasce dentro di noi, l‘altro fuori di noi. (Yǔcóng yī, 22-3)125

Se la naturale predisposizione al senso di giustizia è assente nell‘uomo, se l‘azione umana non è dettata da precisi standard, qualità o disposizioni, è necessario guardare altrove e cercare altre fonti che possano legittimare l‘agire individuale e all‘interno della comunità. Abbiamo visto che il XZMC indirizza il suo lettore verso i testi depositari della tradizione culturale dell‘antichità e verso le sue forme più elevate come i riti e la musica, tuttavia non possiamo fare a meno di notare che, pur non accordando alle inclinazioni naturali alcun ruolo nella presenza (o assenza) del senso morale, nondimeno nell‘uomo sono presenti al- cune istanze le quali, pur non giungendo alla completezza dell‘ideale etico, ne caratterizza- no la sua unicità. Una di queste è senza dubbio l‘amore e la premura verso il prossimo, rén:

仁,性之方也

L‘amore e la premura verso il prossimo sono la direzione su cui si orientano le inclinazio- ni naturali. (XZMC, 39)

愛類七,唯性愛為近仁

Sette sono le categorie di amore ma soltanto quello scaturito dalle inclinazioni naturali si avvicina di più all‘amore e alla premura nei confronti del prossimo. (XZMC, 40)

Xúnzǐ e Mencio concordano nel definire buono un essere umano la cui natura o è in grado di convergere verso la moralità, oppure può essere affiancata da una seconda natura frutto di un processo consapevole teso all‘acculturazione e all‘abbellimento delle proprie inclina- zioni – a seconda se parliamo di Mencio o Xúnzǐ. Nel primo caso, Mencio, il fatto che le nostre tendenze si orientino spontaneamente verso la moralità implica che l‘ideale etico è

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Il primo riferimento che viene alla mente è quello contenuto in Liù dé (26), secondo il quale: 仁,内也。義外也 ―La benevolenza si esplica negli ambiti interni, la rettitudine a quelli esterni‖. La listarella, però, presenta un uso dei termini

nèi e wài diverso da quello Gàozǐ poiché subito dopo prosegue: 内位父子夫也,外位君臣婦也 ―le posizioni all‘interno

della famiglia sono quelle pertinenti al padre, al figlio e al marito; quelle esterne alla famiglia sono quelle pertinenti al sovrano, al ministro e alla moglie‖. Si veda Introduzione.

141 parte stesso delle nostre inclinazioni naturali e che può germogliare se adeguatamente col- tivato e sostenuto. Nel secondo, accanto a delle inclinazioni naturali neutrali e del tutto pri- ve di moralità o di attitudini verso essa tendenti, sviluppiamo una natura acquisita, prodotto della cultura e dell‘attività consapevole dei re saggi per aggiogare e disciplinare le inclina- zioni naturali stesse. Questa attività ci consente di conoscere yì che, di conseguenza, si tro- va al di fuori della natura; ma una volta giunti alla trasformazione desiderata per fare di sé un vero essere umano, possiamo dire di essere diventati buoni; non solo, ma il nostro desi- derio di divenire esseri umani – un processo che è riassunto nel valore di saper operare del- le distinzioni, compito questo richiesto da yì – è spinto dal nostro desiderio di divenire buoni, in quanto la natura originaria dell‘uomo ne è completamente priva di bontà.

Anche il XZMC si conforma nell‘associare l‘azione guidata dal senso di ciò che è giusto e appropriato e conforme ai suoi principi alla bontà, al dào, ma si riserva di considerare de- terminate qualità care ai rú, come rén, già inste nell‘uomo e al tempo stesso demanda allo studio il compito di fornire i principi morali ineccepibili che conducono l‘uomo verso il cammino che lo porterà a divenire un essere umano degno di tale nome.

Oltre a un‘equivalenza già nota, l‘equiparazione di ài (amore, sollecitudine) a rén, di cui si trovano abbondanti tracce nella letteratura pre-Hàn al punto che uno dei due caratteri spes- so è usato per spiegare l‘altro, vogliamo riflettere su altri aspetti più impliciti insiti nelle frasi trattanti rén.

Cominciamo, però, con l‘aspetto delle definizioni date dalle opere classiche: oltre al con- cetto di ài, anche il carattere qīn 親, l‘amore per i propri genitori e parenti, è sovente im- piegato come esempio di una condotta definibile come rén:

樊遲問「仁」。子曰:「愛人」問「知」。子曰:「知人」樊遲未達。

Fán Chí domandò cosa fosse la benevolenza. Il Maestro disse: ―Amare gli uomini.‖ Allora Fán Chí chiese cosa fosse la sapienza e il Maestro rispose: ―Conoscere gli uomini.‖ Fán Chí non comprese. (Lúnyǔ, Yán Yuān)

仁者愛人,義者循理

Coloro che mettono in pratica i principi di benevolenza, amano il prossimo. Coloro che agiscono in virtù del senso di ciò che è giusto si conformano all‘ordirne e alla correttezza.

(Xúnzǐ, Dà lüè)

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La premura verso il prossimo è amore e in quanto tale si manifesta come cura e premura amorevole verso i propri genitori. (Xúnzǐ, Yì Bīng)

仁,體愛也

La manifestazione della premura verso il prossimo significa amare ciascuno individual- mente. (Mòzǐ, Jīng shàng)126

愛人利物之謂仁

Amare gli altri e recare beneficio a tutti gli altri aspetti della realtà è detto benevolenza.

(Zhuāngzǐ, Tiāndì)

凡仁者以愛利為務

Tutti coloro che si premurano verso il prossimo sono solitamente mossi dall‘amore.

(Shāngjūnshū, Kāi sài)

上下相親,謂之仁

Definiamo benevolenza la premura vicendevole, come quella fra genitori e figli, tra supe- riori e inferiori. (Lǐjì, Āi gōng wèn)

Infine lo Shuōwén riporta la seguente definizione: rén, qīn yě 仁,親也, ―La benevolenza è l‘amore e la premura che si riserva ai propri genitori.‖

Nel Zhōng yòng è scritto:

仁者,人也。親親為大

La benevolenza è un tratto peculiare degli esseri umani 127 e trova massima espressione

nella premura verso i membri del proprio clan e della propria famiglia.

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La traduzione è basata sul lavoro di Graham (1978). 127

La frase rén zhě, rén yě 仁者,人也 ammette più di una traduzione: oltre alle varie possibilità offerte dalla frase no- minale, questa proposizione può essere intesa come ―il carattere ‗benevolenza‘ deriva dal carattere ‗uomo‘‖, sottolinean- do lo strettissimo legame non solo filosofico e morale, ma anche linguistico. E‘ così che Placks (2003) intende il senso della frase e la traduce: ―Now, the term ‗human kindness‘ is derived from the word ‗human‘, and its greatest expression is in the treatment of one‘s kin with the proper degree of affection.‖ Poiché, tuttavia, nel periodo degli Stati Combattenti, le occorrenze di rén sono costituite da un carattere composto da shēn 身 nella parte superiore e xīn 心 in quella inferiore, preferiamo adottare una traduzione più letterale, specie tenendo conto della frase successiva 義者,宜也,尊賢為大, ―La rettitudine è il principio di ciò che è giusto e adeguato e trova massima espressione nell‘onorare le persone capaci e meritevoli‖. A proposito del carattere qīn, menzioniamo uno studio di Lǐ Chénglǜ (2002, pp. 86-95), che distingue i signi- ficati delle espressioni ài qīn 愛親 e qīn qīn 親親. La distinzione, tuttavia, non sembra essere sempre netta, (e lo stesso Lǐ Chénglǜ lo riconosce: si veda p. 87) sembrerebbe che qīn qīn si riferisca sia alle relazioni privilegiate con i membri del

143 In Mencio rén è equiparato ad ài, la cui base si fonda sempre nell‘amore verso i propri ge- nitori:

親親,仁也

La benevolenza verso il prossimo è premura amorevole verso i membri del proprio clan e dei propri genitori (Mèngzǐ, Gàozǐ xià)

孟子曰:「君子之於物也,愛之而弗仁;於民也,仁之而弗親。親親而仁民,仁民 而愛物。」.

Mencio disse: ―L‘uomo esemplare nei confronti degli altri esseri è premuroso, ma non mo- stra benevolenza; verso il popolo, è benevolo, ma non manifesta l‘affetto che riserva esclu- sivamente ai genitori. Egli ama rispettosamente i suoi genitori, si comporta benevolmente