Tiān mìng zhī wèi xìng 天明之謂. Questa famosa citazione è rimbalzata spesso in molta
della produzione scientifica sul XZMC e numerose voci, spesso autorevoli (basti pensare a Lǐ Xuéqín) hanno cercato di legare filosoficamente il manoscritto di Guōdiàn al Zhōng
yōng e, come conseguenza, all‘opera perduta recante il nome di Zǐ Sī.
Gli studiosi sono soliti dividere il Zhōng yōng in due sezioni: la prima comprendente i pa- ragrafi 2-20 (la prima metà) e la seconda comprendente il primo paragrafo e la seconda
130 metà del ventesimo (Páng Pǔ, 2002, p. 94). Abbiamo accennato nel capitolo precedente ad alcune differenze di contenuto che non sembrano consentire una discendenza o sviluppo delle idee del XZMC sul pensiero del Zhōng yōng. Il nome stesso dell‘opera è carico di si- gnificati che sono stati discussi per secoli nella storia del pensiero cinese: secondo Zhèng
Xuán: 以其記中和之為用也。庸,用也。孔子之孫子思伋作之,以照明聖祖之德也
―Afferma l‘impiego della centralità e dell‘armonia. Yōng significa utilizzare. Il Zhōng yōng è stato composto da Zǐ Sī, Kǒng Jí, nipote di Confucio, per illustrare le virtù eccelse dei saggi antenati‖ (Lǐjì, Zhèngyì, p. 1987); Zhū Xī (Sìshū zhāngjù jízhù, p. 17) riporta un bre- ve commento di Chéng Hào il quale spiega: 不偏之謂中,不易之謂庸 ―Zhōng si defini- sce come imparzialità; yōng si definisce come immutabile‖.121
Nel Zhōng yōng il carattere zhōng è sicuramente legato al concetto di imparzialità, ma è ben lungi dal significare un‘assenza di posizione: piuttosto si tratta di di una visione com- pleta della realtà che tenga in conto di ogni suo aspetto e che sia nella formulazione di ogni giudizio, si nell‘azione non ne trascuri nemmeno una più piccola parte. Fondamentale per comprendere il concetto di zhōng è quello di chéng 誠:
反諸身不誠,不順乎親矣;誠身有道:不明乎善,不誠乎身矣。誠者,天之道也; 誠之者,人之道也。誠者不勉而中,不思而得,從容中道,聖人也。誠之者,擇善 而固執之者也。博學之,審問之,慎思之,明辨之,篤行之。
Se esaminando la propria persona non si trova perfezione e completezza morale, non si potrà adempiere ai doveri verso i propri genitori; condurre la propria persona vero la perfezione e la completezza morale segue un preciso corso: se la bontà non è distinta chia- ramente tale perfezione non si potrà conseguire. La perfezione e la completezza morale è espressione del dào del Cielo; condurre la propria persona verso questa completezza il
dào dell‘uomo. La completezza e perfezione morale è aderire alla realtà in perfetto equili-
brio senza alcuna coercizione, conseguire i risultati delle proprie azioni senza dover riflet- tere, seguendo in modo del tutto naturale la dottrina della centralità assoluta. Coloro che portano la propria persona verso la perfezione e la completezza morale scelgono il bene e vi si aggrappano saldamente, studiano a fondo e interrogano ogni minimo dettaglio di ciò che apprendono, riflettono con estrema accuratezza e praticano assiduamente ciò che stu- diano. (Lǐjì, Zhōng yōng)
121
Mentre Xúnzǐ definirà la malvagità come piān xiǎn ér bù zhèng 偏險而不正 ―ciò che è parziale, lascivo e che manca di qualsiasi senso di equilibrio e misura‖ (Xìng‘è).
131 Il concetto di chéng deve essere compreso in relazione ad un altro carattere, quello di
chéng 成. Quest‘ultimo significa ―completo‖, un significato che acquisisce il carattere chéng poiché esso richiama la capacità di giungere a perfezione completando il percorso di
cescita morale, il dào (Goldin, 1999, pp. 19-20). In altre parole, chéng significa giungere a completamento mantenendosi piena attività conforme al dào. Non si tratta solo di un mo- mento che si realizza una volta sola, ma dura lingo tutto l‘arco di esistenza del saggio che con la sua capacità di pervenire a questo stato di perfezione riesce a condirvi anche le per- sone e la realtà intorno a lui (Ames e Hall, 2001).
Riportando la spiegazione data da Chéng Hào, il fatto che egli definisca il concetto di
zhōng come ―imparziale‖ ci spinge a chiederci in base a quali criteri il concetto di equili-
brio perfetto debba essere inteso. Xúnzǐ, un pensatore molto distante dall‘autore del Zhōng
yōng alla domanda 曷謂中?曰:禮樂是也 ―Che cosa si intende per imparzialità? Si in-
tende conformità e adesione alle tradizionali norme rituali e alla musica‖ (Xúnzǐ, Rúxiào). Sono i riti che permettono al soggetto di mantenere una posizione assolutamente equilibra- ta (sia in società che nel mondo naturale) poiché provvedono a costituirsi come fondamen- to e nutrimento culturale che arricchisce la sua persona in quanto porta le sue tendenze in- trinseche a completa maturazione; ma tali tendenze, la natura dell‘uomo (xìng) non è qual- cosa che egli può modellare a piacimento imprimendogli qualsiasi direzione esso voglia (si pensi a Gàozǐ), bensì qualcosa donato dal Cielo sul quale l‘uomo può modellarsi fino a quasi operare una sorta di identificazione che può estendersi anche agli esseri spirituali: 子 曰「鬼神之為德其盛矣乎!視之而弗見,聽之而弗聞,體物而不可遺。使天下之人 齊明盛服以承祭祀,洋洋乎如其在上,如其在左右」 ―Il Maestro disse: ‗Immensa è la potenza degli esseri spirituali! Se si cerca di scrutarli non si giunge a vederli, se si cerca di ascoltarli non li si potrà udire, eppure sono alla base della nascita di tutti i fenomeni al pun- to che nessuno può fare a meno di essi. Grazie a essi le persone sono capaci di purificarsi e indossare gli abiti più rifiniti per officiare ai sacrifici in loro onore. Essi sono estesi ovun- que, come se fossero al di sopra e intorno a noi.‖ (Lǐjì, Zhōng yōng)
Come possiamo notare, non basta una frase come xìng zì mìng chū per stabilire con certez- za o con buona probabilità la comunanza di idee (se non addirittura una linea genealogica) tra il XZMC e il Zhōng yōng: se osserviamo con attenzione il mansocritto, possiamo notare come la concezione della natura umana differisca notevolmente da quella tratteggiata nel capitolo del Lǐjì; in entrambi essa è qualcosa donata dal Cielo (mìng zì tiān jiàng), ma nel manoscritto di Guōdiàn il Cielo non sembra rivestire alcun modello etico al quale attenersi.
132 Di fatto, tanto nella listarella 3 quanto nella porzione delle listarelle 9-14 il verbo impiega- to per indicare la manifestazione delle inclinazioni naturali è chū: 性自命出;凡性者【…】 或出之;出性者勢也. Se shì indica un insieme di fattori in grado responsabili della bontà o della malvagità delle inclinazioni naturali ciò indica, come abbiamo spiegato all‘inizio, che siamo di fronte a un concetto sul quale spesso l‘uomo non ha la possibilità di interveni- re. Mencio ricorre a shì per spiegare tutti quei comportamenti che spingono un fenomeno a comportarsi in modo contrario alla sua natura, ma per il XZMC il fatto che l‘uomo manife- sti bontà e malvagità in totale accordo con le circostanze contingenti è parte della sua natu- ra.
Dal momento che shì fa scaturire le inclinazioni naturali e mìng altrettanto, non è azzardato ipotizzare che quest‘ultimo copra buona parte degli aspetti semantici di shì. I pensatori del- la Cina antica, ricorrono a mìng per racchiudere tutto un complesso di cause e fattori al di là della volontà e del controllo umano, che spesso è causa di eventi negativi: 顏淵死。子 曰:「噫!天喪予!天喪予!」 ―Quando Yán Yuān morì il Maestro esclamo: ‗Ah! Il Cielo mi distrugge! Il Cielo mi distrugge!‘‖ (Lǔnyú, Xiān jìn) o comunque inevitabili. An- che un pensatore come Mencio riconosce questo aspetto quando discute con Wàn Zhāng la questione della liceità dell‘abdicazione: 舜、禹、益相去久遠,其子之賢不肖皆天也, 非人之所能為也。莫之為而為者,天也;莫之致而至者,命也 ―E‘ passato tantissimo tempo da quando Shùn, Yǔ e Yì sono morti. Che i loro figli siano o meno persone merite- voli è una faccenda sulla quale l‘uomo non può intervenire. Ciò che si compie senza che nessuno possa intervenire dipende dal Cielo. Ciò che si realizza ugualmente senza che gli uomini ne siano responsabili è ciò che è necessario che si compia.‖ (Mèngzǐ, Wàn Zhāng
shàng). Questo passo si rivela interessante poiché ci mette ulteriormente nelle condizioni
di capire la concezione del mandato celeste nel XZMC e, di riflesso, delle inclinazioni na- turali. Mencio pone in risalto le capacità di compiere qualcosa per sottolineare le potenzia- lità umane mentre e attraverso néng wéi indica delle azioni che l‘uomo è in grado di com- piere volontariamente e che possono influenzare l‘andamento di un dato evento. Mencio riprende subito dopo il concetto ponendo il Cielo come responsabile di tutto ciò che accade senza che gli uomini possano aver margine per qualsiasi azione che possa contribuire al ri- sultato finale.
Questa dimensione descrittiva del Cielo solitamente si accompagna a una normativa (Shun, 1999, pp. 15-20), che implica un risvolto morale che per Mencio diviene la suprema autori- tà al quale l‘uomo, partendo dalle sue istanze etiche, arriva a conoscere e a identificarsi: 盡
133 其心者,知其性也。知其性,則知天矣。存其心,養其性,所以事天 ―Solo chi com- prende totalmente e realizza in tutta la sua portata il proprio cuore, può comprende la sua natura e una volta compresa la sua natura potrà comprendere il Cielo, poiché così si serve il Cielo: preservando il proprio cuore e coltivando la propria natura.‖ (Mèngzǐ, Jìn xīn
shàng, 1) Cielo e uomo, in quanto risultato del processo di auto coltivazione delle propria
natura e del cuore, mantengono un legame indissolubile.
Non dovrebbe sorprendere, quindi come nel XZMC il carattere tiān sia menzionato solo due volte e solo nel passo che abbiamo citato e di cui ci si è serviti per dare al manoscritto un titolo; il Cielo non è presente nemmeno come forza o autorità morale, né sembra esserci un legame tra esso il processo di perfezionamento morale e spirituale dell‘uomo, così come il Cielo non è presentato (benché non sia possibile dirlo con certezza) come fonte e model- lo di ordine così come lo è nel Xúnzǐ che usa la stessa espressione di Mencio, zhī tiān, per indicare i processi che permettono all‘uomo di conoscere se stesso e padroneggiare tutte le sue potenzialità concessegli dal Cielo per poter mettere in pratica i principi morali fondati su ritualità e giustizia: egli parla di tiān guān 天官, tiān jūn 天君, tiān yǎng 天養, tiān qíng 天情, tiān gōng 天功.122
Sembra dunque mancare nel XZMC un modello di costanza e di normazione: mìng sembra puntare nel manoscritto a xìng sia a livello di manifestazioni sia a livello di sviluppo e crescita fisica.
Il capitolo Miùchèn dello Huáinánzǐ offre al riguardo degli spunti estremamente interes- santi che riscontriamo in un altro manoscritto, sebbene non apertamente ascritti al concetto di mìng e, soprattutto, non applicati alle manifestazioni di bontà a malvagità, il Qióng dá yǐ
shǐ:
性者,所受於天也。命,所遭於時也
Natura è ciò che riceviamo dal Cielo. Circostanze contingenti sono ciò in cui ci si imbatte in un dato momento. (Huáinánzǐ, Miùchèn)
122皆知其所以成,莫知其無形,夫是之謂天功。唯聖人為不求知天。天職既立,天功既成,形具而神生,好惡
喜怒哀樂臧焉,夫是之謂天情。耳目鼻口形能各有接而不相能也,夫是之謂天官。心居中虛,以治五官,夫是 之謂天君。財非其類以養其類,夫是之謂天養 ―Tutti noi ci rendiamo conto di ciò grazie a cui le cose sono giunte a completamento e tuttavia nessuno si accorge che è senza forma. Ciò si definisce come operato del Cielo. Soltanto il sag- gio arriva a comprendere il Cielo senza ricercarne appositamente la conoscenza. Quando l‘operato del Cielo giunge a compimento, le forme fisiche sono complete e lo spirito prende vita. Gradimento, avversione, piacere, rabbia, dolore e gioia sono in esso conservati. Ciò è detto essenza celeste. Le orecchie, gli occhi, il naso, la bocca e il corpo sono in grado di entrare in contatto con gli stimoli ad essi pertinenti senza che possa avvenire alcuno scambio tra le varie facoltà. Ciòsi definiscono come facoltà celesti. Il cuore risiede nella parte centrale del corpo e domina tutti gli altri organi; per questo lo si definisce sovrano celeste. Impiegare delle risorse che non appartengono alla propria specie per approtare ad essa nutri- mento si definisce nutrimento celeste.‖ (Xúnzǐ, Tiānlùn)
134 Se il cielo concorre a contribuire alla dimensione spirituale dell‘uomo lo fa soltanto in qua- lità di garante della genuinità dell‘azione umana (XZMC, 34, 50) ma non come custode di un ordine razionale che può essere conosciuto, sebbene per Xúnzǐ la capacità dell‘uomo di elevarsi e riscattarsi dalla sua condizione dipenda interamente da lui, e non è un caso che il manoscritto non menzioni neppure una volta il sintagma tiān dào, ma si concentri esclusi- vamente su rén dào sottolineando come come il concetto di mìng acquisti qui solo un ca- rattere di necessità e che il contenuto del mandato celeste sia totalmente svincolato da ogni valore morale. Manca, dunque, nell‘uomo una qualsiasi connotazione che possa garantirgli un legame spirituale con il Cielo e con il mondo del divino, a differenza di altri manoscritti come Wǔ xíng, dove i concetti di rén dào e tiān dào sono entrambi presenti, ma ugualmen- te distinti: il primo segna un agire morale improntato su dei principi morali che non sono stati interiorizzati nel cuore (xíng) e che quindi non sono il frutto di un elaborato processo di auto coltivazione che scava all‘interno di tutte le possibilità delle emozioni umane: nel manoscritto, la condotta virtuosa (dé zhī xíng) vede il suo inizio in yōu, un‘emozione soli- tamente tradotta con ―agitazione, apprensione‖ e che diviene di volta in volta strumento di consapevolezza e crescita interiore. Dal momento che il manoscritto Wǔ xíng si concentra sui processi dietro la formazione delle virtù nonché sulle vere motivazioni che possano spingere l‘uomo ad agire secondo i modelli di condotta virtuosa (Csikszentmihaly, 2004, p. 82), a tale condotta l‘ambito di tiān dào.
Confrontiamo ora il XZMC: anche questo manoscritto parla di potenza morale (si veda il capitolo successivo), ma l‘azione da essa scaturita non appartiene al dào del Cielo ma a quello dell‘uomo: ciò accade perché dal momento che egli deve comprendere e interioriz- zare dei principi che sono al di fuori di lui e prodotti da un azione estranea alla sua natura (e quindi estranea a ciò che il Cielo concede) non può interamente affidarsi ad essa, sebbe- ne vi siano dei momenti l‘auto coltivazione comincia partire da alcune risposte delle incli- nazioni naturali. Si ha un‘inversione di tendenza e la condotta virtuosa non è più definita come tiān dào, bensì rén dào (due volte: XZMC, 14; 43). Ciò non significa che l‘uomo ha completamente reciso il suo rapporto con il cielo, poiché, come vedremo nel prossimo ca- pitolo, l‘azione deve avere come inizio la capacità dell‘uomo di rispondere spontaneamente alla realtà (qíng), un punto di partenza che riafferma il legame dell‘uomo con il cielo, tut- tavia si ha l‘impressione che il XZMC allontanti la dimensione umana da quella celeste in modo molto più deciso rispetto ad altri manoscritti rinvenuti nella stessa tomba.
Il luogo nel quale la forza morale dell‘uomo si sviluppa è zhōng 中, ma con questo termine il manoscritto non intende la percezione e l‘attenersi a un ideale di assoluto equilibrio, ben-
135 sì a una precisa parte del corpo che designa l‘interiorità. Jiào, suǒyǐ shēng dé yú zhōng yě, segue una serie di frasi fra le quali tǐ qí yì e lǐ qí qíng, entrambe designanti dei processi di interiorizzazione e la preposizione yú designa il luogo in cui tale forza morale si sviluppa.
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ETICA