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L’organizzazione sociale dell’uomo primitivo Dopo aver studiato l’aspetto fisico e il genere di vita,

Nel documento Il progetto Olimpiadi della Matematica (pagine 59-62)

Lucrezio descrive lo stato sociale: fra i primi uomini non vi era alcun legame durevole, ognuno viveva per proprio conto del proprio bottino. È il desiderio sessuale (V, 962-965) il primo istinto che mette in relazione gli individui: pur caratterizzandosi come essenziale per la sopravvivenza della specie, secondo la dottrina epicurea si tratta di un bisogno naturale ma non necessario. Come gli animali, anche i primi uomini si accoppiano all’a- perto nella natura: tale aspetto è un elemento positivo dell’età dell’oro e un motivo pastorale, come in Tibull. II, 3, 69: «Allora a chi spirava Amore, a tutti / Venere in una valle ombrosa / con dolcezza offriva il piacere». L’uomo è l’unico animale descritto che subisce una

variazione delle caratteristiche fisiche e della propria indole: mentre gli altri compaiono sulla Terra completi dei loro caratteri distintivi, gli esseri umani necessitano di acquisire quelli che garantiscono la sopravvivenza. Come spiegato ai versi 1015 e 1018 si tratta di un pro- cesso sia fisico che psicologico. Benché tale sviluppo comporti a livello fisico una perdita di forza e velocità (V, 966-967), in realtà costituisce un perfezionamento, anziché semplice degenerazione. Gli uomini, grazie al calore del fuoco, pur diventando meno resistenti al freddo, modificano la loro indole violenta, grazie alle carezze dei bambini (V, 1017-1018). Iniziano, così, a per- cepire l’importanza che riveste la cooperazione, per poi creare patti di amicizia sul modello epicureo che con- sente la formazione delle prime società di villaggio. Il lato più interessante è l’importanza riconosciuta al sen- timento: il poeta, infatti, può essere visto come l’unico tra gli scrittori antichi ad aver messo in risalto il ruolo dell’amore come fattore dell’evoluzione umana, eccetto Ovidio (Ars. Am. II, 477) in una chiara eco lucreziana. Prima di passare a tracciare gli ulteriori sviluppi dell’or- ganizzazione sociale, Lucrezio tratta il problema dell’o- rigine del linguaggio (V, 1028-1090), condotto secondo una linea di pensiero coincidente con l’esposizione del Maestro, contrapponendosi alla tesi dell’origine conven- zionale delle parole. Epicuro distingue due fasi: nella prima, la natura è maestra, la quale a sua volta è stata costretta dalla necessità, mentre nella seconda inter- viene il ragionamento, che perfeziona i ritrovati della 2. H. Usener, Epicurea, a cura di I. Ramelli, Bompiani, Milano 2007, p. 181. 3. «Onde evitare i colpi sferzanti dei venti e delle piogge» (la traduzione dei

passi dal De rerum natura è di U. Dotti).

La vita di Epicuro è avvolta nel mistero. Secondo le tesi più accreditate sarebbe nato intorno al 94 a.c. ad Ercolano e morto a Roma nel 50 a.c.

natura stessa e aggiunge nuove scoperte. Come per il linguaggio, anche per tutte le scoperte successive, se- condo la dottrina epicurea, non è previsto l’intervento di alcun νομοθέτης, umano o divino, poiché sono l’espe- rienza e la necessità a favorire il progresso della civiltà. Il fuoco è la scoperta che riveste un ruolo cruciale nel cambiamento sia fisico che psicologico dell’uomo: è im- portante per il poeta fornire una spiegazione razionale e anti-teologica, poiché anche la versione mitica lo ha privilegiato come chiave del progresso: Esiodo, in Op. 50-51, afferma che Giove «[…] nascose il fuoco; ma, an- cora, il valoroso figlio di Iapeto / lo rubò per gli uomini a Zeus prudente»4. Nel Protagora è donato agli uomini per consentire loro di sopravvivere, perché sono deboli e nudi. Lucrezio, invece, inverte l’argomento: essi diven- tano più deboli come risultato della scoperta del fuoco. Esso originariamente scese dal cielo, ma non in qualità di dono da parte di una divinità, bensì per un processo totalmente meccanico: Fulmen detulit in terram morta- libus ignem (1092)5.

Strettamente collegato al tema del fuoco, è quello della cottura, una delle tappe cruciali che conducono alla ci- vilizzazione: nessun intervento divino, bensì sol docuit (V, 1103), creando una relazione tra la luce e la cono- scenza6.

In ogni tappa essenziale del processo di civilizzazione è la natura che insegna, inizialmente fornendo il modello che, poi, verrà perfezionato dall’uomo, attraverso l’ap- plicazione della ragione. Così è anche per la lavorazione dei metalli, per lo sviluppo delle arti manuali e dell’a- gricoltura. Già Democrito7 spiega l’origine della τέχνη come imitazione delle opere degli animali: la ragnatela del ragno insegna all’uomo l’arte della tessitura, la ron- dine l’architettura e il cigno il canto.

Tra i metalli, inizialmente l’oro è in disuso, ma presto diviene in grado di incantare i primi uomini, portando alla volontà di soddisfare quelli che Epicuro definisce «desideri non naturali e non necessari». Questi sono ca- ratterizzati dalla mancanza di limiti, motivo per cui Epi- curo li respinge e li condanna. L’ambizione, il potere e la ricchezza conducono alla volontà di possederne sempre in maggior quantità: non è mai possibile, dunque, soddi- sfarli interamente.

La religio

Secondo la dottrina epicurea, oltre alla sete di potere e di ricchezza, la condizione di ἀταραξία è minacciata an- che dalla religio, la paura degli dei che sconfina nella superstizione. Nella trattazione di Lucrezio, due sono state le possibili cause dell’origine degli dei: da un lato, le visioni di immagini di esseri superiori, formate da atomi di natura sottilissima (V, 1169-1182), dall’altro lo stupore e la paura di fronte ai fenomeni celesti, come le eclissi, le stagioni, i tuoni e i fulmini (V, 1183-1193). L’attribuzione agli dei dell’origine del sistema celeste è presentato come un perfugium, cioè come un’invenzio- ne dovuta alla paura e all’ignoranza. Lucrezio rifiuta, inoltre, l’idea che le divinità dispensino premi o puni- zioni al genere umano. Secondo la dottrina epicurea, in- fatti: «L’essere beato e immortale non ha né procura agli altri affanni; così non è soggetto né all’ira né alla be- nevolenza. Queste cose infatti sono proprie dell’essere debole» (Massime Capitali 1). Secondo Furley8, la spie- gazione del poeta riguardo il sorgere della religio, coe- rentemente con la già vista teoria epicurea del processo di apprendimento, consiste nel mostrare che è la natura stessa a suggerire all’immaginazione umana sia la cor- retta che l’errata idea degli dei e della religiosità: solo la dottrina di Epicuro permettere di discernere, attraverso l’uso della ragione, quale sia giusta e quale sbagliata. Se, dunque, «Ignorare le cause tormenta la mente dubbiosa, / che non sa se del mondo ci sia stata un’origine prima e, pertanto, anche un termine certo» (V, 1211-1212), la fi- losofia epicurea «enables one to observe the sky without forming empious beliefs»9.

4. Trad. di C. Cassanmagnago.

5. «Fu il fulmine a portare sulla terra il fuoco ai mortali».

6. C.R. Beye, Lucretius and Progress, «The Classical Journal», LVIII, 4,

1963, p. 161.

7. DK68 B154 citato da Campbell, Lucretius on Creation and Evolution.

Acommentary on De Rerum Natura Book Five, lines 772-1104, Oxford Uni-

versity Press, Oxford 2003, p. 208.

8. D.J. Furley, Lucretius the Epicurean: On the History of Man, in M.R.

Gale, Oxford readings in classical studies: Lucretius, Oxford University Press, New York 2007, p. 176.

9. Ibi, p. 176.

Anche Pompei è indicata dai commentatori come possibile luogo di origine di Epicuro

P

ErcorSi

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idattici

In tutta la lunga descrizione della storia della civiltà, finora, Lucrezio non ha ancora trattato quello che, se- condo la filosofia epicurea, costituisce il τέλος (telos) di tutti gli sforzi morali: il piacere. Epicuro non intende identificare la felicità con un piacere risultato di volgare godimento, bensì invita a ricercare quello che è il vero piacere, risultato dell’αὐτάρκεια. Ciò che è degno di at- tenzione è l’insistenza a livello lessicale, evidenziata da Furley10, dei termini che conducono alla sfera semantica del piacere: iuvare (1381), dulcis (1384), otia dia (1387), ecc.11 per poi designare la vera voluptas (1433). Ancor più significativo è il fatto che nella sezione precedente (V, 925-1378) non c’è occorrenza di queste parole, ec- cetto dulcis e laetus (989, 1367, 1372, 1377). Il discor- so sul piacere conferito dalla musica serve al poeta per introdurre il commento morale sul percorso intrapreso dalla civiltà: come per la musica con il trascorrere del tempo, gli uomini sono giunti a perfezionare il suono, senza che però ne abbiano ricavato un maggiore pia- cere, così, anche per tutti i ritrovati del progresso (V, 1409-1411). Benché, infatti, essi cambino nel corso della storia, non conducono a un maggior piacere: una volta, infatti, ghiande (1416) e letti di foglie (1417) costituivano la gioia degli uomini, poi sono stati soppiantati da cibi

e vesti più lussuose. Lucrezio aggiunge, inoltre, che la 10. Ibi, p. 178. 11. Cfr. D.J. Furley, Lucretius, cit., p. 178 per l’elenco completo.

colpa dell’uomo moderno è maggiore rispetto a quella degli antichi, perché le cose per cui si tortura sono de- sideri non necessari alla soddisfazione dei bisogni pri- mari (V,1426-1428): «Nudi quali erano e privi di pelli, il freddo crucciava, / quei figli della terra; ma come può nuocere a noi l’esser privi / di vesti di porpora […]?» La vera voluptas, dunque, ha un limite, la cui ignoranza ha significato la fine della pace, sia all’interno dell’animo umano, minacciando così il conseguimento del Sommo Bene, sia nei rapporti con gli altri uomini, dando ori- gine a rivalità. Lucrezio, così, sintetizza tale concetto con questi versi che, secondo Furley, costituivano, nella mente del poeta, la vera conclusione del quinto libro:

Così il genere umano non fa che affannarsi inutilmente / e sempre, tra vane preoccupazioni, a condurre la vita, / e questo perché non sa porre un confine al possesso / e neppure sa fin dove il piacere si accresce. Un’ignoranza che, gradualmente, ci ha sospinto in alto mare / ed ha, della guerra le grandi tem- peste, sommosso dal fondo (V, 1430-1435).

Alice Locatelli Università degli Studi di Bergamo

Il successo del De rerum natura ha dato origine a innumerevoli rappresentazioni artistiche. Qui, Alma Venus, opera pittorica di Elisa Bertaglia (Rovigo 1983)

Interrogare i testi

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