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l’ORGANIZZAZIONE TERRITORIAlE dEllE ImPRESE PROduTTIVE E lO SVIluPPO dEllA SIcIlIA

1. LedinamicHeimprendiToriaLiFinoagLianni novanTa

I percorsi dello sviluppo siciliano sono stati assai tortuosi, talvolta fluenti, spesso disseminati di ostacoli, ma soprattutto profondamente condizionati, come pochi altri, dalle politiche economiche pubbliche. Ripercorriamone le principali fasi.

Nell’Ottocento la Sicilia attraversa il periodo di massimo fulgore, le imprese protoindustriali che lavorano l’uva, il pesce, lo zolfo, il salgemma e il sale marino producono beni con margini di profitto elevati grazie al basso costo della manodopera, costretta a livelli di vita disumani. Que- ste attività, gestite da imprenditori non solo siciliani, sono disseminate lungo la costa, con prevalenza nelle città maggiori, ma mantengono uno stretto rapporto con le aree interne da cui traggono non poche risorse. La maggior parte delle aree interne resta comunque dominio delle attività estrattive e soprattutto delle colture estensive, in mano a pochi latifondi- sti che reggono le terre con modalità ancora feudali. Più vivace si dimo- stra invece l’agricoltura delle aree costiere, dove si diffondono la piccola e media proprietà borghese, l’enfiteusi e le colture intensive, che permet- tono l’introduzione di metodi protocapitalisti. L’Unità d’Italia, con l’e- sosa imposizione tributaria, le guerre doganali e la crisi del commercio mondiale, che penalizza i principali beni esportati dalla Sicilia, innescano

* Dipartimento di Economia e Metodi Quantitativi dell’Università degli Studi di Catania. Luigi Scrofani è coordinatore della sessione.

Pur essendo il frutto di una riflessione comune, il primo paragrafo è stato scritto da Clau- dio Novembre, il secondo congiuntamente da Vittorio Ruggiero e Luigi Scrofani.

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nell’isola anni di dura crisi che si ripercuoteranno anche sull’assetto urba- no. Le popolazioni delle aree interne, ridotte alla fame, si spostano verso le città costiere, che divengono le teste di ponte dell’emigrazione verso il continente americano. Questi movimenti demografici consolideranno la crescita di alcune città costiere, che vedranno rafforzare le attività pro- duttive e il loro ruolo politico ed economico, modificando a loro vantag- gio i rapporti istituzionali con il capoluogo palermitano.

Una nuova fase decisiva dello sviluppo economico e produttivo dell’I- sola si può collocare all’incirca verso la seconda metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, quando la convergenza di interessi nazionali e regionali determinerà la formazione in Sicilia di un blocco di forze che, rompendo le deboli resistenze locali, aprirà le porte dell’Isola a gruppi economici e fi- nanziari di rilevanza nazionale, pubblici e privati. Anticipato da un’ondata di investimenti in infrastrutture che in qualche modo ammoderneranno l’intelaiatura dei trasporti, degli acquedotti e della rete di distribuzione energetica. Il processo di industrializzazione che venne avviato in Sicilia in quegli anni privilegiò l’espansione dell’industria di grandi dimensioni, concentrata territorialmente nei poli di crescita. In tali poli si concentra- rono così stabilimenti di raffinazione del petrolio, della chimica e della petrolchimica, degli impianti termoelettrici, dell’estrazione dei sali mi- nerali di zolfo, di sodio e di potassio, oltre che dell’industria del cemento e di quella delle costruzioni. La maggior parte di queste grandi industrie era di natura esogena, concentrata nelle 11 aree di sviluppo industriale (aSi) e nei nuclei di industrializzazione, gestiti da Consorzi aSi. I nuclei e

le aree, sorti talvolta per le pressioni politiche e non per assecondare po- tenzialità locali, come emerge dal perenne commissariamento dei Consorzi aSi, dispersero gli investimenti e le infrastrutture, favorendo la crescita

di imprese prive di reciproche interrelazioni fondate su lavorazioni ap- partenenti a filiere differenti, in contrasto con i principi che presiedeva- no alla stessa politica dei poli industriali. Le rare iniziative delle piccole imprese locali si rivolsero verso il commercio e i subappalti nell’edilizia connessa alla speculazione delle aree edificabili. Questa politica indu- striale si inquadrava nell’ambito della contrattazione programmata che lo Stato incentivava con l’intervento straordinario nel Mezzogiorno ed era sostenuta da gran parte della classe politica siciliana, che si rifaceva irrealisticamente a modelli teorici di localizzazione industriale (Perroux). Nei fatti le grandi unità esterne, impiantate dalle multinazionali e dai maggiori gruppi privati e pubblici nazionali, quelle minori, espressione dell’iniziativa privata locale e regionale, e le unità produttive a capitale regionale rimasero quasi del tutto prive di interrelazioni, con livelli tec- nologici, comportamenti aziendali e strategie spesso in contrasto tra loro. Né queste concentrazioni industriali esplicarono un effetto moltiplicativo nei confronti delle attività economiche locali.

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L’innesto in alcune parti dell’Isola, ed in particolare nelle aree e nei nuclei industriali di Augusta-Priolo, Ragusa, Gela, Milazzo, Porto Em- pedocle e Termini Imerese, di grandi impianti, che costituivano l’aspetto ripetitivo dell’attività produttiva, senza il supporto delle capacità tecno- logiche che li avevano prodotti, accentuava la dipendenza dell’Isola dai centri decisionali esterni, senza produrre apprezzabili effetti innovativi di ricaduta sulle attività locali. Per contro, estremamente negativi si ri- velarono gli effetti sull’ambiente, in particolare nei poli petrolchimici, annoverati già negli anni Novanta tra le aree ad elevato rischio ambien- tale in Italia e quindi bisognosi di piani di disinquinamento. Dal punto di vista territoriale, inoltre, i nuovi processi di localizzazione industriale contribuivano all’accentuazione delle contrapposizioni tra aree inserite in circuiti innovativi extraregionali, ma avulse dal contesto locale, ed aree dai livelli tecnologici ed organizzativi incapaci di proiezioni ester- ne, con un’accentuazione degli squilibri tra le pianure costiere tirreniche ed ioniche, già investite da intensi processi di urbanizzazione, e le aree marginali interne, colpite da estesi fenomeni di abbandono.

Dopo gli shock petroliferi del 1974 e del 1979, la naturale conseguenza delle politiche nazionali, supinamente accettate e rilanciate dalla politi- ca regionale, fu il crollo delle spinte all’industrializzazione. Un crollo che fu aggravato dal ridimensionamento dell’intervento straordinario per il Mezzogiorno, imposto dall’appesantimento del bilancio statale, e dall’in- consistenza dell’attività imprenditoriale della Regione, dimostratasi una disastrosa esperienza. Il crollo degli investimenti industriali, gli scarsi progressi tecnologici e la crisi di un settore chiave come l’edilizia faranno da sfondo allo stato di depressione del settore industriale della Sicilia tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta. Ma proprio du- rante gli anni Ottanta emergevano nuovi modelli di sviluppo del Mezzo- giorno, modelli che trovavano i loro presupposti nel declino delle grandi concentrazioni urbane e produttive e nell’emergere di nuove realtà indu- striali nelle aree periferiche e che richiedevano strategie autocentrate, fondate sull’attivazione di tutti quei fattori economici, sociali, culturali, istituzionali ed ambientali che concorrono a definire i potenziali endoge- ni regionali. L’attuazione di queste maturazioni teoriche hanno prodot- to in Sicilia, come nel resto del Mezzogiorno, significative modificazioni negli strumenti di politica industriale (accordi di programma, contratti di programma, contratti di impresa, intese di programma), ad esempio il finanziamento regionale per la realizzazione di aree attrezzate, ha pro- dotto modesti risultati.

La definitiva chiusura della fallimentare stagione dell’intervento stra- ordinario, avvalorato dalle norme della legge 488 del 1992, apriva la strada alla programmazione negoziata e all’iniziativa locale. Nuove governance locali avrebbero dovuto sostituire la contraddittoria azione regionale, già

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indebolita dall’interventismo statale (una forma di sussidiarietà dall’alto verso il basso ante litteram?), dall’instabilità politica, dalle limitazioni alla spesa pubblica, dalla diffusione dello scandalo di «mani pulite» e, infine, ma non da ultimo, dalla recrudescenza del fenomeno mafioso (le stragi di mafia in cui persero la vita Falcone e Borsellino si verificarono nel 1992). In questo contesto, nel corso degli anni Ottanta, emergevano alcuni gruppi imprenditoriali locali (Rendo, Costanzo, Graci, Parasiliti e Finocchiaro, noti alle cronache giudiziarie come i «cavalieri del lavoro»), cresciuti nel campo dell’edilizia e degli appalti pubblici, che venivano estendendo la loro attività in settori collegati. Ma anche piccole e medie imprese loca- li che hanno guadagnato spazi passando da dimensioni e caratteristiche artigianali a realtà industriali, seppure piccole e piccolissime.

Gli anni Novanta sono stati segnati dal progressivo dispiegamen- to degli strumenti della programmazione negoziata, diretti a creare l’in- dispensabile consenso sociale intorno a progetti economici di sviluppo territoriale, ai quali facevano da contraltare il ridimensionamento degli investimenti delle unità produttive extraregionali, la mancanza di inizia- tive da parte delle partecipazioni pubbliche e degli enti economici regio- nali e le difficoltà di alcuni dei maggiori gruppi imprenditoriali endogeni, colpiti dal crollo dei consumi, dell’edilizia e degli appalti pubblici. Nono- stante fosse stato messo a dura prova dalla fine del sostegno economico- finanziario statale, il sistema produttivo siciliano ricevette proficui stimoli dall’avvio di diversi patti territoriali (50 in tutta la regione), contratti di programma e contratti d’area (in tutto 3) e dalle risorse costituite dai fon- di strutturali dell’Unione Europea (I fase 1994-1999). Queste due novi- tà, che si avvalevano di innovative strumentazioni tecniche e di ingenti finanziamenti, alimentate dall’impetuosa ventata d’aria nuova, genera- ta dall’elezione diretta del sindaco (la riforma avvenne prima in Sicilia e poi nel resto d’Italia), hanno permesso alla società e al tessuto economi- co dell’Isola di vivere una stagione di grandi cambiamenti. Cambiamenti che, tuttavia, come si è visto nel decennio successivo, sono stati effimeri, in quanto non hanno determinato quelle trasformazioni strutturali neces- sarie all’avvio di una stabile modalità endogena di sviluppo territoriale. Il flusso di risorse europee dei Fondi Strutturali, spesso mal gestite e mal impiegate, ha così svolto più un ruolo di ammortizzatore sociale, sostitu- tivo delle vecchie politiche nazionali, piuttosto che quello di leva capace di innescare processi di sviluppo reali e autonomi sul territorio regionale.

Alla legge nazionale 371/1991, che metteva a disposizione dei distretti industriali cospicue risorse finanziarie, nessun distretto siciliano ha po- tuto accedere perché privo dei requisiti dimensionali necessari. Pur tut- tavia gli strumenti della programmazione negoziata (definiti dalla legge n.662/1996) e quelli della progettazione integrata (27 i piT attivati) con-

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nano-micro-elettronica a Catania, il tessile a Brolo, a Bronte e nell’En- nese, la plastica a Regalbuto, la pietra lavorata a Comiso e a Belpasso, la vitivinicoltura nel Trapanese, le serre nel Ragusano). Purtroppo que- sti sistemi produttivi locali sono stati falcidiati dalla crisi dei primi anni del XXI secolo, innanzitutto perché la loro sfera operativa era troppo ri- stretta, esplicandosi quasi esclusivamente ad una scala locale. Ma ad ag- gravare la loro debolezza ha contribuito l’inconsistenza del sostegno delle istituzioni regionali, che non hanno saputo gestire in un programma, che non fosse meramente cartaceo, lo sviluppo coordinato delle centinaia di iniziative, fiorite sotto l’ombrello della programmazione negoziata, pol- verizzando gli ingenti finanziamenti disponibili. La Regione inoltre non si è dimostrata in grado, in termini di efficienza e di efficacia, di creare un moderno sistema di infrastrutture e di servizi a supporto delle impre- se e di sostenere un vero e proprio partenariato pubblico-privato e tra le stesse imprese. Infine, emblematica delle profonde disfunzioni delle at- tività programmatiche della Regione era la prevalenza degli strumenti della programmazione negoziata sulle previsioni degli strumenti urbani- stici vigenti, ammettendo la possibilità da parte dei primi di modificare questi ultimi anche se ad un livello superiore.

Queste riflessioni avvalorano l’idea che la Regione abbia accettato senza una seria valutazione i modelli elaborati all’esterno e senza alcuna preoccupazione di promuovere reali processi di sviluppo locali, pur di in- tercettare risorse finanziarie. Privilegiando in tal modo le realizzazioni fisiche all’incentivazione di reti relazionali tra le comunità locali e le im- prese, che avrebbe comportato un maggiore impegno e più elevate capacità organizzative. In altre parole si è verificata una sorta di deterritorializ- zazione dei processi di sviluppo nello spazio siciliano che nasconde la me- ra applicazione di modalità maturate altrove con successo, prescindendo dalle reali caratteristiche dei luoghi, della società e delle imprese. Del re- sto non si può ignorare che la stessa Commissione dell’Unione Europea, dopo aver accumulato un ricco patrimonio di best practice delle modalità dello sviluppo locale, ha perorato programmi di sviluppo e politiche di convergenza e di coesione per le città e le regioni, che spesso prescindeva- no dalla reale esistenza di governance locali, di reti di attori, di forme spe- cifiche di partenariato e di risorse potenziali che sono stati accettati dai protagonisti locali pur di accaparrarsi fondi e finanziamenti.

2. LamodeLLizzazionedeLLoSviLuppoeLaTerziarizzazionepubbLica

La Regione Siciliana ha abbracciato in toto la «modellizzazione dello sviluppo» anche negli anni Duemila, quando si è profusa nel «cre- are» dei distretti produttivi anziché implementare l’organizzazione

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distrettuale delle potenzialità produttive esistenti. Si è seguita infatti una via normativa alla creazione dei distretti invece di favorire un au- tonomo e naturale processo di integrazione tra produzioni e servizi, at- traverso il miglioramento del contesto ambientale e infrastrutturale e l’offerta qualificata di servizi alle imprese. La Regione Siciliana con la legge regionale 17 del 2004 e con il successivo decreto assessorile 152 del 2005 dell’Assessorato regionale alla Cooperazione (modificato dal decre- to 179/2008) ha stabilito i criteri di individuazione (50 imprese e alme- no 150 in un’area ad alta densità imprenditoriale e con specializzazioni produttive riconosciute) e le procedure di riconoscimento dei distretti produttivi nonché le modalità di attuazione degli interventi previsti dal patto di sviluppo del distretto, inglobando nella definizione di distretto produttivo settori come l’artigianato, l’agricoltura e il turismo.

Il distretto produttivo è definito come «cluster di imprese carat- terizzato dalla compresenza di agglomerati di imprese che svolgono attività simili secondo una logica di filiera, verticale o orizzontale, ed anche di un insieme di attori istituzionali aventi competenze ed ope- ranti nell’attività di sostegno all’economia locale». Il successivo decreto 546 del 2007 ha riconosciuto 23 distretti produttivi ammessi a finanzia- mento, distretti riconducibili a quattro settori: 9 industriali, 8 agricoli, 4 artigiani e 2 ittici.

L’individuazione dei distretti siciliani suscita non poche perplessità: innanzitutto molti distretti non hanno una precisa delimitazione terri- toriale, altri poi (come quelli della ceramica, del vino, della nautica da diporto e della pesca) hanno duplicati giustificati soltanto dal tentativo di coprire l’intero territorio regionale. Sono presenti all’interno dei di- stretti pochissime medie e grandi imprese (l’unica grande impresa è ST

Microelectronics, nel distretto tecnologico di Catania) in grado di svol- gere un ruolo aggregante e, inoltre, la dimensione media delle aziende dei distretti dell’Isola (per lo più impiegate in settori a bassa tecnologia) è di poco superiore a quella di una microimpresa (Tab. 1).

Non basta dunque aver decretato con legge regionale la nascita di un distretto perché quello sia in grado di affrontare le insidie del mer- cato, al contrario sembra che si perpetui la triste pratica di finanziare imprenditori assistiti che non sono nelle condizioni di competere auto- nomamente. Così come appare ingiustificato individuare dei distretti, per i quali è essenziale la dimensione produttiva delle imprese e la reale capacità competitiva, soltanto in base alla prossimità territoriale e pre- scindendo dalle pre-condizioni di base, tra le quali: un sistema sponta- neo di interrelazioni tra imprese scaturito da un’evoluzione positiva di tradizioni artigianali locali e di competenze imprenditoriali territoria- li; un atteggiamento orientato all’investimento individuale e collettivo finalizzato alla creazione di nuovi prodotti da immettere sul mercato;

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una divisione del lavoro collegata alla specializzazione di ogni singola impresa in una fase differente del processo produttivo; la circolazione delle informazioni; la presenza di reti efficienti che siano in grado di con- nettere le imprese distrettuali con i mercati esterni al proprio sistema. Non è un caso quindi se il comparto manifatturiero è arretrato sensibilmente in Sicilia, sopravanzato dall’industria edile e dalle altre attività economiche, tra cui quelle commerciali. Queste ultime, infatti,

Distretti produttivi Tipologia

Arancia Rossa (CT) Agricoltura

Ceramiche Siciliane (ME) Artigianato industriale – Ceramica Ceramica di Caltagirone (CT) Artigianato industriale – Ceramica Pesca industriale COSVAP (TP) Pesca

Unico Regionale Cereali – SWB (EN) Industria – Alimentare Etna Valley Catania (CT) Industria – High Tech Sicilia Orientale Filiera del Tessile (CT) Industria – Tessile Florivivalismo Siciliano (ME) Agricoltura – Floricoltura Uva da Tavola Siciliana – IGP Mazzarone (CT) Agricoltura – Viticoltura Materiali Lapidei di Pregio (TP) Artigianato industriale

Logistica (PA) Industria – Logistica

Meccanica (SR) Industria – Meccanica

Meccatronica (PA) Industria – Meccatronica

Nautica da Diporto (PA) Industria – Nautica

Nautica dei due Mari (ME) Industria – Nautica Orticolo del Sud Est Sicilia (RG) Agricoltura Pesca e del Pescaturismo Siciliae (TP) Pesca e Turismo

Pietra Lavica (CT) Artigianato industriale

Plastica (SR) Industria – Chimica

Olivicolo Sicilia Terre d’Occidente (TP) Agricoltura Ortofrutticolo di qualità della Val di Noto (SR) Agricoltura

Vitivinicolo della Sicilia Occidentale (TP) Agricoltura –Viticoltura Vitivinicolo Siciliano (PA) Agricoltura – Viticoltura

Tab. 1 - I distretti produttivi riconosciuti dalla regione Sicilia per provincia e per settori.

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soprattutto nella Sicilia orientale, pur essendo state investite da un pro- cesso di sostituzione dei piccoli esercizi con i grandi centri di vendita, hanno moltiplicato vertiginosamente le unità locali, erodendo i loro mar- gini di profitto. D’altro canto il comparto dell’edilizia e delle attività correlate sono divenuti un polmone di occupazione non regolare, che è stato alimentato prima dall’abusivismo e dalle grandi opere pubbliche e poi dalle ristrutturazioni private. Ristrutturazioni incentivate dalle agevolazioni fiscali e dalla speculazione immobiliare, che coinvolge tanto le città maggiori quanto i centri di prima e seconda corona. Centri che hanno varato piani regolatori che prevedono nuove volumetrie abitative per accogliere popolazione proveniente dalla grande città di riferimento.

Il divario con le regioni settentrionali è aumentato, e non solo du- rante le periodiche crisi congiunturali. Ai problemi di natura congiun- turale si sovrappongono infatti i problemi e i ritardi storici della Sicilia, che hanno dato vita ad un contesto ambientale nel quale è difficile av- viare nuove attività economiche, gravato da un apparato burocratico smisurato e inefficiente, dalla presenza di un fenomeno mafioso sempre più aggressivo, dalla difficoltà di accesso al credito da parte delle pic- cole e medie imprese locali e da un livello del piL pro capite che ancora

oggi rappresenta solo il 66,2% rispetto alla media nazionale. A questo bisogna aggiungere una situazione critica della disoccupazione, che ha raggiunto il 13,9% nel 2009 (più di tre punti superiore alla media na- zionale). Nello stesso anno la Banca d’Italia ha stimato che in Sicilia il valore aggiunto del settore agricolo è pari al 4,2%, quello dell’indu- stria al 15,2% e quello dei servizi all’80,6%. Percentuali che collocano la Sicilia al penultimo posto tra le regioni italiane per valore aggiunto attribuito all’industria (precede soltanto la Calabria) e al terzo posto per quello attribuito ai servizi (dietro Lazio e Liguria). Questi dati di- mostrano l’inconsistenza dell’industria e il ruolo preponderante svol- to dal terziario, nell’ambito del quale dominano incontrastati, oltre al commercio, il comparto pubblico, suggerendo la collocazione della Si- cilia in una strana fase di post-industrializzazione, che non è stata mai preceduta da quella dell’industrializzazione. Il predominio del settore pubblico, in effetti, è particolarmente grave anche per l’uso spregiudi- cato dei contratti a tempo nella pubblica amministrazione (lavoratori ex articolo 23 della Legge Regionale 11 marzo 1988, lavoratori social- mente utili, ecc.) che a tutti i livelli (comunale, provinciale, regionale, para-pubblico, aziende partecipate) alimenta il precariato, spesso legato a pratiche clientelari e familistiche. Il peso del terziario pubblico, non connesso all’offerta di servizi che diano efficienza alle attività private, contribuisce a rendere asfittica l’economia regionale. Per contro emerge come non più procrastinabile la necessità di consolidare politiche diret- te a strutturare un vero sistema produttivo regionale di piccole e medie

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imprese, impegnate sia nel settore industriale che nel settore dei servi- zi, capaci di valorizzare le risorse, come i bacini di mano d’opera quali- ficata e i beni culturali ed ambientali.

Occorre considerare infine che quando gli interventi oggetto delle politiche regionali prevedono concessioni piuttosto che diritti, continui intoppi burocratici più che prassi efficienti, sperperi invece che attribu- zioni efficaci dei finanziamenti, si frammenta il tessuto socioeconomico, si generano conflitti, si mina l’identità territoriale. Insomma, l’azione delle istituzioni regionali dell’Isola ha rappresentato finora, più che un sostegno, un vincolo non indifferente alle attività imprenditoriali (non