(secoli XII-XVIII)
Ebrei, pazzi e lebbrosi sono normalmente accomunati, durante il pe-riodo medievale, nell’essere «messi all’indice, rinchiusi, braccati», e consi-derati come gruppi anomali dalla società cristiana 1. In un mondo in cui le infermità sono ritenute segni esteriori del peccato, il lebbroso è tra i primi ad essere separato dal resto della società ed isolato, in quanto fonte di un ri-brezzo e di una paura di origine biblica che tradizionalmente accompagnano le preoccupazioni sanitarie 2.
In questo tipo di approccio si deve, tuttavia, ricordare l’importante pas-saggio socio-culturale dal concetto biblico malattia-peccato a quello evangeli-co che emerge nel XII e XIII seevangeli-colo e che attribuisce alla malattia quasi una funzione catartica attraverso un collegamento ideale tra peccato e conversio-ne 3: «Egritudo corporis meritum accumulat et maiorem coronam acquirit … Tribulatio enim patientiam, patientiae vero spem eterne salutis operatur» 4. Sul tema si diffondono ampiamente i sermoni dei predicatori medievali, ten-denti da un lato a sollecitare una maggiore attenzione verso questi malati, bisognosi di carità cristiana, con riferimento all’insegnamento ed all’umile semplicità di San Francesco 5, dall’altro a sottolineare come la sofferenza
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* Pubblicato in: Studi in ricordo di Tommaso Fanfani, a cura di M. BERTI, A. BIANCHI, G. CONTI, D. MANETTI, M. MERGER, V. PINCHERA, Pisa 2013, pp. 533-544.
1 Gli ebrei, senza essere rinchiusi nel senso proprio del termine, erano obbligati a vivere ai margini della società e a portare un marchio: la rotella. La reclusione dei malati di mente, successiva a quella dei lebbrosi, è anteriore o simultanea a quella dei poveri. Cfr LE GOFF
1969, p. 372 e sgg., e GEREMEK 1973a.
2 Cfr. SERRA 1941, pp.7-11; IMBERT 1947, p. 149 e sgg.; GALASSI 1966, p. 30 e sgg.; LE
GOFF 1969, p. 378 e sgg. Per i numerosi aspetti di questa ed altre problematiche collegate si ri-manda al lavoro sempre valido ed all’ampia bibliografia di BRODY 1974; più recente BÉRIAC 1988.
3 Si veda in particolare BÉRIOU - TOUATI 1991; MARCHESANI 1999, p.36.
4 DE VITRY 1991, p.107.
5 Su questo tema si veda l’ampio lavoro di DE SANDRE GASPARINI 1984; Carte dei leb-brosi 1991.
debba essere intesa come elemento fondamentale del processo che porta i soggetti infermi alla conversione e, quindi, alla loro redenzione 6.
Malati, ma specialmente indesiderati sociali, i lebbrosi vengono raccolti in ghetti, fuori dalle mura delle città 7, chiamati ospedali, ma che in termini moderni è forse più giusto definire istituzioni di tipo totale, cioè caratteriz-zate dall’impedimento allo scambio sociale e all’uscita verso il mondo ester-no 8. Nella maggior parte dei casi, infatti, l’ingresso nel lebbrosario corrispon-de ad una morte civile e la cerimonia con cui il malato viene accolto non rifug-ge da simbolismi e da toni che si riallacciano al rito dei morti. Questo aspetto si accentua specialmente dopo che con il Concilio Lateranense del 1179 i lebbrosari sono tenuti ad avere anche una (propria) cappella ed un (proprio) cimitero. Altre volte la segregazione è minore e il lebbroso può vagare per la campagna, ma solo preavvisando del suo arrivo con il rumore della battola e osservando tutti i divieti prescritti dagli Statuti dell’Ospedale, normalmente recepiti nella normativa civile delle città 9.
Nell’ambito dei sistemi sanitari cittadini i ricoveri dei lebbrosi rappre-sentano un’istituzione tipica, forse l’unico esempio di ospedale specializzato funzionante già dal XII secolo 10. È in questo periodo, infatti, in conseguenza della prima crociata, che i lebbrosi si moltiplicano, fino all’inizio del Trecento;
nel XV e nel XVI secolo la lebbra è ormai in Italia una malattia quasi scom-parsa 11. I lebbrosari, peraltro, continuano ad esistere e a funzionare,
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6 Sulla mentalità e l’approccio nei confronti di questa malattia da parte dei padri e dotto-ri della Chiesa, vedi anche PICHON 1984.
7 Esiste tutta una serie di consuetudini sulla localizzazione dei lebbrosari. Cfr. per la Francia, IMBERT 1947, p. 154; per l’Italia, BREDA 1909, pp. 11 e 133-194; NASALLI ROCCA 1938a, pp. 266-267, e più in generale, LE GOFF 1969, p. 373.
8 Secondo l’analisi di GOFFMAN 1968, p. 34 e sgg., i lebbrosari, insieme agli ospedali psi-chiatrici e ai sanatori per tubercolotici cronici, fanno parte della categoria (che l’A. chiama secon-da) di istituzioni totali istituite a tutela di coloro che rappresentano un pericolo per la società, anche se non intenzionale.
9 Cfr. NASALLI ROCCA 1938a, pp. 270-271; IMBERT 1947, p. 156 e pp. 163-173; MAJOR
1959, I, p. 312; BERTOLANI DEL RIO 1961, e BERTOLANI DEL RIO 1962, p. 198. Solo nel-l’Ottocento si discuterà «se sia più confacente curare i lebbrosi in appositi asili separati o nelle loro famiglie». Cfr. DE ROSSI 1848, p. 6.
10 Gli ospedali degli «incurabili» sono posteriori. Cfr. CARPANETO 1938, pp. 4-8, 20 e sgg.
11 MARCHESANI - SPERATI 1981, in partic. p. 64 e sgg. Più in generale, GRMEK 1985;
PAZZINI 1948.
L’OSPEDALE DI SAN LAZZARO DI GENOVA
tando in pratica gli affetti da qualsiasi malattia cutanea contagiosa, ma divenuti ormai grossi centri di raccolta di elemosine, di canoni e di redditi diversi, di-stribuiti tra pochi malati. Raramente, però, essi vengono conglobati nei più ampi e organizzati complessi ospedalieri (gli Ospedali Maggiori) che si vanno formando dopo la seconda metà del XV secolo, con l’intervento a livello or-ganizzativo e finanziario non più solo delle autorità religiose, ma anche di quelle civili. La paura della malattia fa sì che vengano esclusi dal concentramento.
Solo nei secoli successivi si manifesta in misura sempre maggiore l’interesse delle autorità cittadine e delle magistrature preposte alla pubblica assistenza verso i ricchi lebbrosari, accusati di limitare l’utilità sociale dei loro beni.
Sussistono però ancora complessi problemi organizzativi e sanitari che non rendono sempre facile l’attuarsi di un processo di fusione materiale, ac-canto ad una comprensibile resistenza delle comunità dei lebbrosi, abituati ad autogovernarsi e ad amministrarsi in piena indipendenza, nella forma della Universitas infirmorum (con preoccupazioni patrimoniali ormai supe-riori a qualsiasi altra). Si arriva, nella maggior parte dei casi, ad un assorbi-mento esclusivamente amministrativo: una volta acquisito da parte delle autorità cittadine il diritto di sovrintendere ai redditi della comunità, la con-venienza di un trasferimento dei pochi malati in ali apposite degli ospedali dentro le mura passa in secondo piano 12.
Fra gli ospedali per lebbrosi che mantennero più a lungo nel tempo la loro destinazione originaria è senz’altro quello genovese. Fondato nel 1150, forse tra i primi dell’Italia settentrionale 13, da Buonomartino, presso Capo di Faro, cioè nella zona occidentale dell’insenatura del porto, vicino alla riva del mare 14, esso sopravvive con alterne vicende fino alla metà del XIX secolo.
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12 Non tutti gli ospedali italiani di San Lazzaro subiscono la stessa sorte. Si veda NASALLI ROCCA 1938a, pp. 263 e 288-290; dello stesso Autore anche NASALLI ROCCA 1956, p. 82 e sgg.; NASALLI ROCCA 1935-1941: 1935, pp. 165-167 e 1941, pp. 75-93; NASALLI ROCCA
1938b; NASALLI ROCCA 1939. Si veda anche MIRA 1957, pp 171-172; BERTOLANI DEL RIO
1962, pp. 200-211; GALASSI 1966, pp. 141-152.
13 Degli stessi anni è la Domus di Pavia, su cui BALDUCCI 1933, pp. 1-7; di poco succes-sivo, 1190, è l’Ospedale di Como, su cui vedi GRANATA 1980.
14 Liber iurium 1854, col. 155, anno 1150. Cfr. BANCHERO 1846, pp. 229-230 e 273-274;
Descrizione di Genova 1846, II; ALIZERI 1847, pp. 212-214; PORTIGLIOTTI 1923 e PORTIGLIOTTI
1934; PESCE 1953, pp. 300-302. Più nello specifico MARCHESANI - SPERATI 1981, pp.72-103, e MARCHESANI 1999, p. 45.
Il contagio era, infatti, più facile nelle città poste sulle strade maestre, cioè lungo gli itinerari più frequentati da mercanti, pellegrini, soldati prove-nienti dall’Oriente; le città di mare, in quest’ottica, erano particolarmente esposte. Precisi canoni determinavano spesso la distanza di queste istituzio-ni dal centro abitato. Tutta la Liguria partecipa del fenomeno: lebbrosari esistono a Albenga, Savona, Caperana, Carasco, Rapallo, Lavagna, Chiavari, Sarzana 15.
Nel caso genovese in cui il lebbrosario prende appunto il nome dalla propria localizzazione presso il faro (la Lanterna) che chiude a ponente l’arco portuale, e tradizionalmente caratterizza anche l’iconografia della città, la costituzione di un centro pensato esclusivamente per questi malati è il ri-sultato dell’incontro di volontà diverse: il Comune, i privati e l’Arcivescovo Siro II 16. All’autorità civile si fa risalire la cessione del terreno necessario; a Buonomartino ed alla moglie la prima forma di organizzazione interna;
sotto la tutela, il patrocinio ed il controllo dell’Arcivescovo viene posta la nuova istituzione in quanto tale.
Come per la maggior parte degli omonimi ospedali dell’Italia Setten-trionale si tratta di una fondazione locale indipendente all’ordine ospedaliero di San Lazzaro, ed è amministrato da una apposita Congregazione. Nei primi secoli della sua esistenza l’ospedale di Capo di Faro ha quindi il carattere di istituzione ecclesiastica e si regge praticamente in maniera autonoma, regolato dalle norme del diritto canonico e solo formalmente sottoposto all’autorità dell’Arcivescovo e del Papa.
In questo caso il complesso dei pauperes o infirmi o leprosi o miserrimi costituisce la mansio o domus o domus hospitalis (hospitale). L’ente, di tipo collegiale-conventuale nello schema delle istituzioni ecclesiastiche e paraec-clesiastiche medievali, ha una autonomia astratta come persona giuridica (l’ospedale) che si immedesima nella domus materiale composta da tre tipi di persone fisiche con caratteristiche diverse: i ministri, i conversi (di ambo i sessi che si occupano della gestione e della cura), gli infermi.
Dopo la fondazione, per il mantenimento della Domus non si fa atten-dere il sostanziale contributo di donazioni e di legati testamentari che, a mano a mano, si intensificano con offerte e lasciti di ogni genere, dagli
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15 FERRETTO 1910; CASOTTI 1950; BARNI 1960; POLONIO 2004, pp.326-327.
16 POLONIO 2004, p. 326.
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getti di prima necessità alle proprietà immobiliari (per lo più fondi rustici o terreni coltivati) e somme di danaro, non sempre di importo rilevante ma assai frequenti17. D’altra parte la caritas dei Genovesi ha nei secoli XII e XIII una tensione psicologica più sensibile al soccorso del viandante e dell’estraneo, probabilmente per il carattere di una società il cui territorio è fondamentalmente un luogo di incontro di vie di terra e di vie di mare18.
Uscito indenne dalla riforma ospedaliera del 1471 con la quale tutti i pic-coli ospedali vengono aboliti ed incorporati (insieme ai loro beni) in quello intitolato alla Beata Vergine di Misericordia, ma da sempre chiamato di “Pam-matone”, dal quartiere della città dove venne costruito19, il lebbrosario genovese è nei secoli successivi per due volte al centro di provvedimenti apparente-mente di carattere amministrativo, che mascherano solo parzialapparente-mente il tenta-tivo di esercitare un maggiore controllo sui suoi redditi: elemosine, proventi dei numerosi luoghi o titoli della Casa di San Giorgio, canoni enfiteutici relati-vi ad un vasto patrimonio immobiliare accumulatosi sempre più nel tempo 20.
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17 A questo proposito si veda l’ampio lavoro MARCHESANI - SPERATI 1981, p. 39 e sgg. e pp. 290-306, dove sono stati regestati duecentodieci atti notarili, compresi tra il 1150 e il 1474, redatti da notai diversi, tutti relativi a legati, lasciti, donazioni o amministrazione del patrimonio degli infermi. Numerosi anche gli atti reperibili nel Liber Magistri Salmonis 1906, in part. p. 44, dove il 2 marzo 1222 , in un atto testamentario, il testatore dona i suoi crediti all’Ospedale a favore della propria anima in presenza di un rappresentante degli infermi e di due presbiteri «fratribus ecclesiae Sancti Lazari». Per il periodo successivo, presso l’Archivio Storico del Comune di Genova (da ora A.S.C.G), oltre alla contabilità dell’Ospedale, con i li-bri mastri e i corrispondenti giornali, con qualche lacuna, dal 1556 al 1806 (in avanzata elabo-razione per uno studio specifico) esiste anche la serie dei Contratti dei livelli, dal 1379 al 1759, che potranno offrire, al termine dello studio in corso, un quadro più omogeneo delle Entrate dell’Ospedale, sia per la parte dei lasciti monetari incassati, sia per quanto concerne più speci-ficatamente il valore dichiarato e i redditi dei beni, peraltro quasi tutti concessi in enfiteusi con canoni tendenzialmente bassi.
18 Sui primi tempi di funzionamento della domus infirmorum di Capo di Faro, sulla vita comunitaria condotta all’interno del lebbrosario, sulle regole, i problemi, le difficoltà di una comunità così particolare, si rimanda, da ultimo, a MASSA 2012, con ulteriori indicazioni bi-bliografiche.
19 Cfr. BANCHERO 1846, pp. 44-45, e CARPANETO 1953, pp. 33-36. Un apposito capitolo dei primi Statuti di Pammatone del 1442 vietava di accogliere lebbrosi (cap. XXXV, De lepro-sis non recipiendis nec retinendis, Ibidem, p. 419).
20 Su queste tematiche, attraverso l’analisi della contabilità, dei libri dei contratti del-l’Ospedale, e degli investimenti presso la Casa di San Giorgio, è attualmente ancora in corso un lavoro di approfondimento sulla base della già citata documentazione conservata in A.S.C.G.
Nel 1547, infatti, la Repubblica stabilisce che l’amministrazione del-l’Ospedale venga affidata all’Ufficio di Misericordia 21. L’esiguo numero dei malati presenti, in quegli anni, nel lebbrosario, due uomini e una donna, con quattro inservienti, arbitri da soli della ripartizione e dell’utilizzazione dei redditi 22, non è certo estraneo al provvedimento, anche se la motivazione uffi-ciale è il disordine amministrativo e contabile: si parla di «malo regimine et gu-berno dicti hospitalis» e di «non bonis informationibus … habitis» 23. In realtà questo è il primo passo verso una laicizzazione dell’ente, attuata senza appa-renti opposizioni da parte dell’autorità ecclesiastica, mediante l’inserimento del-l’Ospedale di San Lazzaro sotto la giurisdizione di un Ufficio considerato “di misto foro”, in quanto composto da laici ma presieduto dall’Arcivescovo 24.
Prime conseguenze per la comunità dei lebbrosi sono la perdita del di-ritto di eleggere il proprio Rettore 25 e la richiesta dell’Ufficio di
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21 Sebbene il decreto sia del 16 novembre 1547, nei documenti successivi si fa riferimento al passaggio come se fosse avvenuto nel 1548: «L’anno 1548 della Repubblica Serenissima fu appog-giata la cura et il governo dell’Ospital di San Lazzaro … L’anno 1549, 8 marzo, fu accettata la detta cura da esso ufficio, intervenendovi Monsignor Vicario Archiepiscopale ...» (A.S.C.G., fondo Al-bergo dei poveri, Ospedale di San Lazzaro, filza 112, 1451-1587). Del 13 marzo dello stesso anno è il primo provvedimento dell’Ufficio di Misericordia a favore della comunità dei lebbrosi.
22 Ibidem, doc. 8 marzo 1549: «... ad presens in dicto hospitale existere tantummodo tres pauperes infirmos, in quibus est Pinella, una filia quondam Johannis de Levanto, cum tri-bus servitricitri-bus et uno servitore ...». Nonostante il carattere in qualche modo intimidatorio delle regole che la governavano, la Domus di Capo di Faro, almeno fino ai primi decenni del Quattrocento non è un ricovero molto affollato, ma più che altro rappresenta uno dei tanti ten-tativi per frapporre un argine alla paura verso il morbo che caratterizzava chi vi era ospitato. Spes-so vengono individuate presenze minimali (da uno a cinque infermi); dal XVI secolo si segnalano anche quindici - venti malati, senza dimenticare che le regole di ammissione restringevano il di-ritto agli abitanti del territorio genovese. Non si tratta d’altra parte di istituzioni di massa: nel 1315, infatti, nella ben più estesa diocesi di Parigi si contano solo 59 lebbrosi (di cui in realtà soltanto 35 sono considerati malati …); alla stessa data l’Ospedale centrale di Parigi ne conta undici, cinque uomini e sei donne. Si veda LE GRAND 1877-1878, p. 317 e sgg.
23 A.S.C.G., fondo cit., filza 112, doc. 8 marzo 1549.
24 Il Magistrato di Misericordia, istituito nel 1419, aveva come scopo principale quello di vigilare sull’osservanza e l’esecuzione dei pii lasciti. Su questo Magistrato vedi BANCHERO 1846, pp. 247-249; Descrizione di Genova 1846, pp. 252-253 e Parere legale 1862, pp. 7-12. La legge costitutiva del Magistrato già pubblicata dal BANCHERO (1846, pp. 249-250) è stata ripubbli-cata in fascicolo autonomo nel 1881, con traduzione italiana a fianco, a cura degli ammini-stratori dell’Istituto. Per la posizione di questo ufficio nell’ambito della organizzazione co-stituzionale della Repubblica, vedi FORCHERI 1968, pp. 89 e 92.
25 All’inizio, secondo la consuetudine, l’amministrazione della Domus è affidata ad un
L’OSPEDALE DI SAN LAZZARO DI GENOVA
dia di «diligenter indagare et perquirere quomodo ipsi pauperes et eorum redditus ... hactenus gubernati et distributi fuerunt» 26. Solo nel 1553, pe-raltro, i tre infermi si rassegnano a redigere una procura che autorizza il Magistrato di Misericordia ad agire in loro nome presso la Casa di San Giorgio. Dall’anno successivo ogni provento e ogni spesa dell’Ospedale di San Lazzaro è registrato in appositi libri intestati al lebbrosario ma «penes Venerandum Officium Misericordiae, habentis curam dicti hospitalis».
Poco più di un secolo dopo si attua la definitiva laicizzazione dell’ospe-dale di Capo di Faro e la sua aggregazione all’Ufficio dei Poveri 27. Nel 1660 infatti, l’Ufficio, che è ormai da un decennio impegnato nel sempre più one-roso sforzo finanziario richiesto dalla costruzione dell’Albergo dei poveri 28, cerca nuove fonti di capitale nell’aggregazione di alcune opere assistenziali la cui importanza era nel tempo diminuita, ma i cui redditi erano cospicui: la pia opera «dei putti spersi» e quella dei «poveri vecchi di Carignano» 29.
Nel 1661 l’attenzione dei Protettori si rivolge alla struttura «delli poveri di San Lazzaro» 30. Sebbene siano avanzati con enfasi motivi di opportunità amministrativa e di utilità pubblica, nella istanza di aggregazione presentata
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preceptor o gubernator, ma, a partire dal 1299 i lebbrosi ottengono il diritto di nomina auto-noma e facoltà decisionali di ampio respiro affidate al Collegium infirmorum, che si riunisce more capitolari. Per una più precisa analisi di questa particolare autonomia gestionale si ri-manda a MASSA 2012.
26 A.S.C.G., fondo Albergo dei Poveri, Ospedale di San Lazzaro, Tabula livellorum Do-mus et Mansionis et Hospitalis Sancti Lazari, domorum et possessionum ac terrarum dicti Ho-spitalis, vol. II, 1543-1597, e ibidem, filza 1112, doc. 8 marzo 1549.
27 Composto da otto cittadini, era stato istituito nel 1539 «con cura di sovvenire alla mendicità e colla giurisdizione all’uopo necessaria». Cfr. Regole 1659, e DONAVER 1896, p. 4.
28 Sull’Albergo dei Poveri, cfr. BANCHERO 1846, pp. 3-20; Descrizione, cit., pp. 256-259;
DONAVER 1896, pp. 4-5, e, da ultimo, GRENDI 1975c.
29 Per i vantaggi economici ottenuti dall’Ufficio dei Poveri mediante queste aggregazio-ni, cfr. BANCHERO 1846, pp. 7-8, e Descrizione di Genova 1846, pp. 258-259. Così si esprime la documentazione: «Per agiutare a ridurre a perfezione la nuova fabrica dell’Albergo de’ Po-veri posta in Carbonara VV. SS. Serenissime si sono degnati di aggregare al Prestantissimo Magistrato de’ Poveri qualche opere pie, come sarebbe quella de’ figli spersi e de’ poveri vec-chi di Carignano, quali, per essere ridotti a poco numero, restava quasi superfluo impiegarvi deputazioni particolari ...» (A.S.C.G., fondo cit., filza 975, supplica del 12 ottobre 1661).
30 Ibidem. Con questa denominazione si era soliti indicare l’Ospedale dei Lebbrosi, poi-ché il lebbroso era spesso definito pauper, miserrimus o semplicemente infirmus. Talora veniva specificato «infirmus infirmitatis beati Sancti Lazari».
al Senato non è però taciuto il reale movente della richiesta: il vantaggio fi-nanziario che deriverebbe all’Ufficio e principalmente alla fabbrica dell’Al-bergo, dai beni dell’Ospedale, assai ricco, ma che in quel periodo non assisteva più di sei o otto persone. L’accusa di sperpero nei confronti del lebbrosario è espressa in termini chiari: «opera quale avendo assai buon capitale, per lo più il reddito si spende in ministri, ufficiali e altro ...» 31.
Il superamento di una magistratura mista quale l’Ufficio di Misericor-dia, è un prodotto dei tempi, che vedono gli interventi sociali di assistenza e di beneficenza, prima esercitati da confraternite e da istituti religiosi, di-ventare una funzione del Comune 32. In questo caso non si tratta però di una operazione facile poiché l’opposizione manifestata dalle autorità eccle-siastiche è energica 33. Solo nel maggio del 1662, dopo un lungo dibattito, viene emanato il decreto definitivo del Senato 34, il quale è obbligato però con una certa forzatura a dichiarare preventivamente «essere il Magistrato di Misericordia Magistrato laicale della Repubblica Serenissima» 35.
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31 «… e detta fabrica col mezzo di queste aggregazioni ne sente sollievo mirabile senza pregiudicio di dette Opere, e si va incaminando a sua perfezione …». In un altro passo il con-cetto è espresso in maniera ancora più chiara: «… e ciò per giovare col beneficio d’essa al pro-seguimento della nuova fabbrica di Carbonara …». Si ricorda ancora come «… San Lazaro … si riduce oggidì a sei in otto poveri …». Ibidem.
32 Cfr. GEREMEK 1973b, I, pp. 208-213; ZEMON-DAVIS 1974, e GRENDI 1975c, p. 625.
Sull’assistenza e le sue trasformazioni vertono numerose relazioni e comunicazioni in Do-manda e consumi 1978. Tra esse segnaliamo per la maggiore pertinenza al nostro tema, quelle di GEREMEK 1978; GUTTON 1978 e VAUCHEZ 1978. Da ultimo si veda anche, per le problema-tiche generali, i saggi in Religione e Istituzioni 2012.
33 «… alla richiesta aggregazione s’oppose virilmente 1’ecclesiastico, pretendendo essere dett’opera soggetta non al laico, ma al proprio foro: e nella discussione di questo punto furo-no da ambe le parti prodotte quelle ragioni che ad esse respettivamente assistevafuro-no ... » (A.S.C.G., fondo cit., filza 975). Le motivazioni addotte per asserire la laicità dell’opera pia ripercorrono la storia dell’ospedale, fondato da un laico (coniugato, primo Rettore
33 «… alla richiesta aggregazione s’oppose virilmente 1’ecclesiastico, pretendendo essere dett’opera soggetta non al laico, ma al proprio foro: e nella discussione di questo punto furo-no da ambe le parti prodotte quelle ragioni che ad esse respettivamente assistevafuro-no ... » (A.S.C.G., fondo cit., filza 975). Le motivazioni addotte per asserire la laicità dell’opera pia ripercorrono la storia dell’ospedale, fondato da un laico (coniugato, primo Rettore