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Il radicamento storico delle organizzazioni non profit in Italia e in Liguria

1. Introduzione

Il crescente sostegno alla fornitura di servizi di prima necessità, iniziato agli albori del secolo scorso, ha nel tempo impegnato la spesa pubblica degli Stati occidentali fino a raggiungere livelli insostenibili di indebitamento.

Scuola, sanità, assistenza, credito, cultura sono infatti settori ai quali, dopo la Rivoluzione industriale, le istituzioni hanno posto sempre più attenzione, assumendo tra i propri compiti quello del benessere dei cittadini. L’opera-zione, economicamente onerosa e tecnicamente complessa, ha risolto qual-che problema ma, come si è detto, ne ha creato altri di tipo diverso. Si sono evidentemente cercate opportune soluzioni e, tra esse, la istituzione delle organizzazioni non profit, con le quali, come è stato scritto, non si ha una sterile contrapposizione tra Stato e mercato, ma una risposta concreta di fronte alla fase decrescente della parabola dell’offerta dei servizi che l’orga-nismo pubblico tende solo a garantire e non più a produrre per il raggiun-gimento del benessere sociale.

Le attività svolte dalle organizzazioni non profit, peraltro, non sono solo la risposta di una cultura della solidarietà a bisogni che non trovano solu-zione a livello individuale, ma nella loro ricerca di oggetti e spazi operativi si incanalano nell’alveo di una secolare tradizione ricca di opere, di impegno associativo, di aggregazioni sociali interessate ad autogestire le necessità collettive, che ha caratterizzato un passato neppure troppo lontano.

Si trattava, nei secoli preindustriali, di una fase anteriore allo stato so-ciale, cioè di una situazione precedente a quel lento processo attraverso il quale lo Stato ha assunto su di sé tutta una serie di responsabilità nella tu-tela dei cittadini, creando un sistema di sicurezza sociale: occorreva calare nella pratica un modello ideale in cui il singolo fosse garantito in ogni sua necessità fondamentale (si soleva dire «dalla culla alla bara») senza che

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* Pubblicato in: Organizzazioni non profit: radici, problemi e prospettive, a cura di A GASPARRE, Genova 2002, pp. 23-30.

sta tutela dei singoli derivasse né dall’aver pagato particolari contributi, né dall’essere iscritto ad alcuna associazione (self-help). Sono, ad esempio, espressione di un sistema di sicurezza sociale i sussidi di disoccupazione, gli assegni familiari per famiglie numerose, le pensioni di invalidità, le pensioni minime di vecchiaia, ecc. 1.

A questo risultato di consapevolezza istituzionale si è arrivati nel tem-po attraverso la legislazione sociale, cioè un complesso di norme statali che, nel passato, hanno regolamentato principalmente le condizioni e gli orari di lavoro, ma hanno anche organizzato il comparto delle assicurazioni e della previdenza sociale, strumenti operativi finalizzati alla acquisizione dei mezzi finanziari necessari ad una più rapida realizzazione del progetto di welfare.

Il secondo passo è stato cioè quello di creare un sistema contributivo obbligatorio a carico dei lavoratori, il cui benessere sociale, tuttavia, alla fine del processo, è ottenuto sia in funzione dei contributi versati, sia usufruendo indirettamente di quelli pagati da altri, oltre ad un parziale concorso delle finanze collettive generali.

Il riferimento tradizionale alla Rivoluzione industriale come fase di inizio di questo processo non è casuale, poiché sono stati proprio i cambiamenti della società e della organizzazione economica della produzione che hanno impresso una notevole spinta verso la fase di normazione nei vari settori già citati e più strettamente collegati alla ‘questione sociale’ 2.

2. Domanda e offerta di ammortizzatori sociali nei secoli dell’età moderna Nei secoli antecedenti al XIX, per un quadro dei mezzi a disposizione dei singoli per cercare di soddisfare le proprie necessità di protezione so-ciale occorre fare alcune distinzioni:

1. nella fase della preponderante presenza, all’interno del sistema econo-mico, dell’economia agricola, svolge questo ruolo in modo embrionale la ‘famiglia patriarcale’, anche se il sistema stesso è ancora in balia di eventi definiti ‘catastrofici’ (come epidemie, guerre e carestie) nei con-fronti dei quali la reazione è lenta e deve essere assunta e gestita dalla collettività;

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1 CHERUBINI 1977.

2 PROCACCI 1998.

IL RADICAMENTO STORICO DELLE ORGANIZZAZIONI NON PROFIT

2. successivamente si sviluppano le assicurazioni, stipulate da privati e possibili solo in alcune fasce sociali dotate di risorse economiche di ri-lievo; sono caratterizzate da un rapporto ben definito tra contributo e corrispettivo;

3. la forma più evoluta è però rappresentata dalle assicurazioni mutue, volontarie, che con il nome di Società di Mutuo Soccorso qualificano il mondo italiano delle attività economiche in generale e di quelle manifat-turiere più in particolare (secondo alcuni autori sono infatti strettamente correlate alle corporazioni di mestiere medioevali). Dalla prima metà dell’Ottocento esse prevedono il soccorso ai soci malati, a quelli rima-sti privi di lavoro, agli orfani ed alle vedove degli iscritti. Molte di esse hanno un’ispirazione cristiana; altre un riferimento politico più preciso ad idee democratico-mazziniane e/o socialiste, ed in quest’ottica sono considerate anche come prima forma di associazionismo operaio, di salariati, ma non svolgono ancora nessuna funzione rivendicativa.

Occorre comunque prendere in considerazione anche altre forme di ammortizzatore sociale, sebbene non sempre organizzate in realtà di gruppo.

È questo il caso dell’assistenza pubblica, che aveva la caratteristica nei secoli del passato di essere occasionale e non rappresentava quindi un diritto, ma solo una erogazione casuale in funzione di un accertato stato di bisogno. Og-getto di questo tipo di intervento e di aiuto erano in genere soggetti che si trovavano in condizioni particolari nei confronti del fattore lavoro: chi non lo trovava, chi non era in grado di svolgerlo (inabili e/o malati); chi non voleva svolgerlo (disadattati); chi non era in grado di mantenersi anche lavorando.

Anche la beneficenza, pur con la sua ampiezza di intervento, presentava un forte carattere di occasionalità: se era pubblica, era priva, di norma, di qualsiasi struttura organizzativa, e questo ne accentuava, quindi, la mancanza di collegamento strutturato con i soggetti che alimentavano la domanda; se era privata, era comunque occasionale sia la struttura, sia la prestazione. In questo secondo caso potevano tuttavia intervenire fenomeni di aggregazione collegati al sentimento religioso (le confraternite), al mestiere (le corpora-zioni), alla localizzazione urbana (il quartiere) che ne accentuavano le po-tenzialità di intervento dal punto di vista della ‘sussidiarietà orizzontale’ in quanto l’aggregazione sociale interessata cercava, prima di tutto, di autoge-stire la risposta ai propri bisogni e solo in seconda istanza, preoccupandosi della salus animarum, si apriva verso l’esterno.

La maggior parte degli esempi sopra riportati ci conducono ad esaltare, nei secoli di mezzo, la funzione della Chiesa a cui fa capo la cosiddetta cul-tura della solidarietà, sintetizzabile nell’espressione ubi charitas, ibi pax, che istituzionalizza in un certo senso l’aiuto al più debole. Ad essa tuttavia oc-corre accostare, nel medio termine, le dottrine illuministiche e paternalistiche dei sovrani dei primi stati nazionali e nel lungo periodo le dottrine sociali più recenti: socialismo, comunismo, sindacalismo e cooperazione.

3. Alcuni esempi relativi alla Liguria (secoli XV-XVIII)

L’attenzione verso gli elementi più deboli della società, con conse-guenti iniziative concrete, costituisce un aspetto non secondario del mondo ligure, e genovese in particolare, a partire dai secoli medievali. Le prime tracce sono polarizzate attorno all’accoglienza per pellegrini, all’assistenza per malati temporanei e cronici, alla redenzione di prostitute; settori che successivamente si fanno più evidenti, attraverso sistemi ospedalieri razio-nali e complessi.

La base originaria e ideale di queste realizzazioni è la già ricordata di-sposizione cristiana di ‘amore verso il prossimo’, propugnata ed esercitata da religiosi e laici che, a partire dalla fine del XV secolo, affrontano anche nuove problematiche: al tipo di assistenza già sperimentato se ne aggiungono altre, funzionali alle nuove esigenze sociali (pauperismo dilagante, ragazze nubili; orfani, ecc.), ed economiche (contro il credito gestito in modo usu-rario, con i Monti di Pietà) ma anche di cultura e di istruzione.

Dal punto di vista dei destinatari, si accentua il concetto del servizio ai terzi, mentre corporazioni medievali e società di mutuo soccorso ottocente-sche si caratterizzano, come già sottolineato, per i servizi somministrati esclusivamente ai soci.

Se nel mondo cittadino del Medioevo, infatti, a Genova, all’inizio, la norma è data dalle confraternite laiche (ad es. quella del Divino Amore) 3, l’organizzazione corporativa delle Arti segna un salto di qualità, anche se l’elemento religioso-caritatevole continua ad avere una importanza non tra-scurabile. In quanto associazioni professionali, le corporazioni genovesi provvedono infatti alla difesa degli interessi particolari dei singoli soci in campo economico, ma di non minore importanza è la loro funzione

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3 BANCHERO 1846.

IL RADICAMENTO STORICO DELLE ORGANIZZAZIONI NON PROFIT

stenziale: assistenza e aiuto pecuniario ai soci ammalati, (talora anche attra-verso la gestione diretta di piccoli ospedali e/o ricoveri) sovvenzioni e rico-vero di maestri inabili al lavoro, sussidi di disoccupazione, distribuzione di somme a figlie da maritare, a vedove, a orfani, ad anziani 4. E importante il fatto che il sussidio è concesso al socio per la sua qualità di ‘lavoratore’

dell’Arte stessa (famosa rimane l’organizzazione della Compagnia dei Cara-vana, i facchini del Portofranco) e che la normativa preveda spesso collette settimanali, contributi fissi, quote percentuali delle entrate dei singoli iscritti per raggiungere i propri scopi. Solo raramente è prescritta, invece, un’anzianità di iscrizione.

Parzialmente collocabile nella tradizione del sistema corporativo è l’as-sociazionismo mutualistico che proprio attraverso le trasformazioni subite per mezzo delle nuove forme di solidarietà ha poi avuto esiti moderni e de-mocratici nelle associazioni sindacali e professionali.

A Genova in particolare 5 le peculiari caratteristiche del mondo operaio urbano, da un lato educato ai principi democratici e repubblicani mazziniani, dall’altro animato da un fermento di idee in un orizzonte più ampio, pro-prio di una città portuale di primaria grandezza, fanno sì che lo sviluppo delle società operaie prenda una direzione tutta politica.

A metà del XIX secolo i Regolamenti approvati sono ormai numerosi ed equamente ripartiti tra mondo cattolico e associazioni laiche di categoria (dai bottai ai sarti, dai vermicellai ai muratori, dai macellai ai fabbri). L’opera svolta è intensa, anche nel campo dell’alfabetizzazione e dell’istruzione, con-tribuendo grandemente alla diffusione delle idee di una partecipazione demo-cratica ed allo sviluppo di una vera e propria cultura della solidarietà operaia capace di esprimersi in molteplici forme: dalla ricreazione sociale all’attività sportiva; dalla formazione professionale alla gestione del tempo libero.

Ma è certamente all’interno del grande settore dell’assistenza e della beneficenza privata che l’ambiente politico-aristocratico genovese ha dato prova di un’ampiezza e di una capacità di intervento del tutto peculiari nel fornire le risorse necessarie a fare fronte ai bisogni degli strati sociali più deboli, ma anche cautelandosi per affrontare gli eventuali disagi che una condizione di povertà avrebbe potuto causare ai propri familiari. In questo

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4 MASSA 1979b.

5 Mutualismo 2001.

senso vanno letti i fidecommessi, le fondazioni, le opere pie, i conservatori, aventi come fine principale quello di assicurare il soccorso ai poveri del pro-prio casato, l’accesso agli studi per i maschi, le doti alle discendenti femmine, in funzione del matrimonio o della monacazione: ricordiamo l’Ufficio della Misericordia, che già dal 1419 controlla la gestione dei legati testamentari; il coevo Magistrato delle Opere Pie, gestore dei lasciti comuni 6.

Nel settore socio-sanitario, ad esempio, rivolto ai malati, ma anche ai viandanti e ai pellegrini, la Repubblica di Genova, così come altri stati re-gionali di Ancien Régime, presenta una pluralità di istituzioni, dentro e fuo-ri ai centfuo-ri urbani, retti di norma da religiosi ma con l’aiuto anche di laici. La diaspora dei ricoveri/ospedali, documentata fino a metà Quattrocento dal volume di Marchesani e Sperati 7, trova un primo momento di unitarietà con la creazione, negli Anni Quaranta del XV secolo (i primi Statuti sono del 1442), dell’Ospedale di Pammatone: il primo grande ospedale centralizzato fondato da un privato, il giureconsulto e avvocato Bartolomeo Bosco 8; fi-nanziato con il suo patrimonio personale e con i lasciti che si susseguono nel tempo, continuerà a funzionare, nonostante le difficoltà per il reperi-mento delle risorse, e ad essere a disposizione dei cittadini con le sue ampie corsie, fino alla fine del XIX secolo non ritenendo ancora la dottrina politi-ca che l’assistenza sanitaria fosse di competenza di istituzioni pubbliche lo-cali o nazionali.

Con Pammatone, alla fine del Quattrocento, scompare e si consolida la citata miriade del sistema dei piccoli centri di assistenza medievali, che dal nuovo istituto vengono successivamente incorporati (1472), ad eccezione dei cosiddetti “incurabili” (i luetici), non ammessi. Tutto il personale coinvolto era composto dai membri di pie associazioni, dedite al servizio dei degenti, che servivano i pasti ai malati e assistevano i feriti. Bambini, ‘esposti’ (cioè neonati abbandonati) ragazze sole vi trovavano inoltre accoglienza e aiuto, poiché solo nel tardo Settecento si separano i malati e i feriti dagli altri ospiti. Occorre peraltro arrivare al 1825 per trovare Pammatone citato per la prima volta come ‘ospedale comunale’, anche se non ricovera gratuitamente che i soli cittadini genovesi che possano dare prova della loro povertà.

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6 LONGO TIMOSSI 1992.

7 MARCHESANI - SPERATI 1981.

8 CARPANETO 1953.

IL RADICAMENTO STORICO DELLE ORGANIZZAZIONI NON PROFIT

Il sistema assistenziale genovese, al di là di un tradizionale fine di ‘con-trollo sociale’ è comunque la spia di un orientamento più generale, conside-rato ricco e generoso anche dai contemporanei ma giudicato e interpretato talora dai viaggiatori stranieri come ‘un’astuzia di governo’ sebbene foriera e funzione di crescita amministrativa.

«Malati curabili e incurabili, esposti, orfani e fanciulli abbandonati, fanciulle, giovani abbandonate e adulte traviate, vecchi e miserabili in senso specifico» 9. Per molte di queste categorie col passare del tempo si prevede l’internamento come soluzione conclusiva. L’idea è quella di una mastodonti-ca struttura in cui vengano rigorosamente quartierizzate e divise secondo il sesso, la moralità, l’età: nasce così l’Albergo dei Poveri, la realizzazione concreta di una idea di reclusorio che accomuna tutta l’Europa del XVII se-colo, tranne l’Inghilterra. I rinchiusi hanno la giornata rigidamente regolata nel lavoro e nella preghiera e il loro numero è in costante aumento: alla fine del Settecento tra ospedali, Albergo e opere pie si calcola che circa il 5%

della popolazione di Genova (circa 3500 persone) facesse ricorso in modo quasi definitivo a questo sistema integrato di compensazione delle necessità degli strati più deboli della società.

Ancora una volta, però, il grande Renfermément è il risultato della vo-lontà e dell’impegno di alcuni ‘giganti della carità’: Anton Giulio Brignole e Gio. Francesco Granello, che insieme ai Durazzo, ai Vernazza, agli Spinola, ai Grimaldi, ma sempre sotto la direzione del Brignole, impiegano nell’opera le loro energie e le loro fortune, accomunati da un progetto che è non solo finanziario, ma filosofico e culturale. L’Albergo di Carbonara è infatti inte-so come strumento di prevenzione, di ricovero ma anche come «universo correzionale» 10 fondato sul lavoro, cioè una pratica quotidiana basata anche su un certo incentivo pecuniario, ma non certo in grado di autofinanziarsi, nonostante le rendite e i lasciti.

Esempio importante di opera pia gestita da religiosi, (ma non sempre) è rappresentata poi dai Monti di Pietà, istituzioni che caratterizzano per dif-fusione l’Italia centrale a partire dalla metà del Quattrocento ma che sono presenti in Liguria (Savona, Genova e altri centri minori) già negli anni Ot-tanta dello stesso secolo. L’‘invenzione’ dei Monti di Pietà è stata definita

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9 GRENDI 1987a

10 Ibidem.

da Noonan 11 come break with the past vale a dire transizione dalla teoria alla pratica nell’apostolato francescano a favore di coloro che erano oppressi dalle onerose condizioni dei prestatori, sebbene le somme richieste fossero destinate alla sopravvivenza: l’interesse previsto dai Monti è sempre inferiore al 10%, contro una richiesta di mercato del 30-45% 12.

Il Monti liguri, inoltre, si presentano come peculiari per una serie di ra-gioni: non si tratta di creazioni istituzionali finalizzate ad una esclusiva lotta contro gli Ebrei; hanno una matrice ideologica unitaria mirante a fornire sovvenzioni e occasionale assistenza a soggetti che per particolari circostanze, personali o congiunturali, possono considerarsi poveri, ma non rientrano nelle categorie popolari più indigenti; si differenziano nel contempo per la loro natura interna: se a Savona è stato possibile accertare la sostanziale esclusività del rapporto assistenziale dell’Ente, rispetto a quello creditizio, a Genova il Monte di Pietà presenta fin dalla sua fondazione (esclusivamente laica) un carattere bancario, avendo ricevuto l’autorizzazione ad accettare depositi fruttiferi nello stesso modo ed alle stesse condizioni praticate da tempo presso la Casa di San Giorgio per i detentori dei propri titoli 13.

All’interno di questi brevi esempi specifici occorre comunque sottoli-neare che sia le organizzazioni laiche, sia quelle religiose, non erano prive di regole, in quanto all’atto della fondazione dovevano essere accompagnate dalla emanazione di uno Statuto che ne costituiva l’elemento fondativo; così non erano esenti da controlli (nel caso genovese da parte del Senato e dei Supremi Sindacatori della Repubblica), sia sul funzionamento che sulla ge-stione, se pur in maniera non fortemente istituzionalizzata. Solo con l’Editto del 1836 viene infatti normato il controllo da parte dello Stato sugli istituti di beneficenza e di carità per i quali sono altresì rese obbligatorie re-gole generali uniformi atte a definirne il sistema organizzativo.

Accomunano, comunque, costantemente, le istituzioni che sono state brevemente ricordate, la stessa tensione ideale e, in realtà, anche la stessa scarsità di risorse e i problemi connessi alla loro gestione di fronte ai com-plessi bisogni cui fare fronte 14: in pratica gli stessi limiti di intervento che

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11 NOONAN 1957, p. 294.

12 MASSA 1999b.

13 MASSA 1991b.

14 Povertà e innovazioni 2000.

IL RADICAMENTO STORICO DELLE ORGANIZZAZIONI NON PROFIT

caratterizzano le organizzazioni non profit attuali. Dal punto di vista ge-stionale, in particolare, è anche da osservare che la conduzione talora assai semplice, quasi artigianale, per mancanza di capacità manageriali specifiche, può averne ridotto l’incisività, ma non si può negare la pluralità dei settori del loro intervento e l’ampiezza degli stessi.

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