Intervista a Mirko Lanfranconi responsabile pedagogico del Vanon
8) Cosa osserva e cosa pensa del legame familiare che esiste tra un minore e la propria famiglia? Nonostante spesso ci siano grosse difficoltà, esiste comunque
un forte desiderio di sentirsi appartenere a una famiglia e di rimanere legati ad essa? Esistono dei casi in cui non ha colto questa necessità?
“La famiglia pur sgaloppata che sia, se vogliamo utilizzare questo termine, per il giovane rimane quello il punto di riferimento. Staccarsi dalla famiglia non è possibile. Nessuno lo vuole. Affidarsi a qualcun altro al di fuori della famiglia dipende quanto tu sei in grado di valorizzare la famiglia, di far capire al bambino che nulla toglie alla famiglia, se lui si lascia andare un po’ di più. Però sei tu che la devi tenere viva la famiglia all’interno di un collocamento, ne devi parlare, non devi essere giudicante, devi fare molta attenzione anche mettere dei filtri. A volte si danno dei giudizi, io li sento i giudizi delle famiglie, che a volte ci stanno, però io non ho ancora visto un bambino, se non in due situazioni particolari, dove dicessero che vogliono chiudere con la famiglia, la famiglia è al centro dei loro desideri, il bisogno di sentirsi appartenenti a qualcosa, che non sia una struttura. Io l’ho sempre detto, quel giorno che un bambino dice «al Vanoni io sto bene», mi preoccupo. Leggilo in senso positivo, perché l’iper-adeguatezza non va mai bene. Anche il bambino deve essere critico nei confronti della struttura. Perché? Perché comunque questo non è un ambiente naturale per un bambino. Noi possiamo fare di tutto per accoglierlo, per farlo stare bene, lui deve stare bene ma non deve questo essere una scelta, «sto bene qui perché non voglio più avere nulla a che fare con la mia famiglia». Mi preoccupa se un bambino dice che sta bene in istituto, magari non è da prendere così alla leggera, ma deve comunque essere un desiderio quello di uscire dal Vanoni. Sì, perché vuol dire che puoi creare degli obiettivi diversi. Se per te l’ultima spiaggia è il Vanoni allora vuol dire che non hai una rete di relazioni, neanche familiari o non familiari, nelle famiglie allargate anche, fratelli o qualcuno che a un certo punto ti possa riaccogliere. Quindi tu ti devi per forza sentire bene in una situazione che forse forse non ti appartiene fino in fondo ma che a un certo punto ti saluterà, è quello anche da tenere in considerazione. Noi siamo delle figure comunque transitorie
nella vita di questi ragazzi. Con tutto l’impegno, con tutto l’affetto, con tutta la professionalità, mettici tutte le parole che vuoi ma noi siamo figure transitorie. Dobbiamo sì lasciare un buon ricordo ma un certo punto o questi ragazzi spiccano il volo perché ce la fanno da soli o ci sono delle risorse che gli permettono di rientrare in famiglia o altrimenti non è la maturità dei 18 anni che ti fa fare un salto di qualità o che ti da delle relazioni stabili. A volte si trovano a ridosso della maggiore età questi giovani non hanno la minima prospettiva per il futuro. Quindi bisogna cercare di costruire laddove è possibile negli anni.. cioè dal mio punto di vista l’obiettivo sarebbe ridurre al massimo il collocamento perché vuol dire che hai fatto un buon lavoro all’esterno e hai permesso un rientro in famiglia. Questo dovrebbe essere. Dal mio punto di vista c’è come obiettivo iniziale. L’obiettivo iniziale è già la fine, perché vuol dire che tu pensi che comunque ogni famiglia ha delle risorse finché a un certo punto finiscano i momenti di crisi e di sofferenza. Comunque sì, da parte loro esiste un desiderio fortissimo. Tanti sono anche preoccupati quando sono qui, sono preoccupati per la mamma, sono preoccupati per il papà, perché loro sono il termometro, loro devono vedere, devono sentire, devono essere rassicurati sul fatto che..loro sono in protezione, ma chi protegge i genitori? Questo crea fortissimo legame, emotivo. Noi diciamo che loro devono pensare a se stessi, non devono preoccuparsi del genitore, ma chi? Se c’è affetto, se c’è amore, ma come fai a non preoccuparti? Come fai a non riassicurare un bambino? Questi bambini sono molto sofferenti, ognuno lo manifesta in modo diverso. Ma secondo me al centro c’è sempre comunque un pensiero legato alla famiglia. Infondo noi chiediamo a questi bambini di stare bene, ma noi staremmo bene, io ogni tanto me lo chiedo, ma noi staremmo bene in una situazione del genere? Riusciremmo ad appartenere a qualcosa che non ci appartiene veramente ma che qualcuno ci ha imposto? Quindi l’unico pensiero per poter sfuggire a una situazione che comunque non ti appartiene è la famiglia. Tanti sono arrabbiati. Non ne abbiamo parlato ma tanti giovani sono arrabbiati con i loro familiari, proprio perché forse sono la causa di un loro destino, sono la causa di quello che gli sta succedendo adesso quindi devi anche aiutare questi ragazzi ad accettare i familiari nei loro limiti, perché comunque rimane la loro famiglia. Quando un giovane arrabbiato riesce a dire «mia mamma, mio papà sono dei disgraziati.. » danno un giudizio forte, però alla fine dice «però sono i miei genitori», vuol dire che già ha raggiunto un pensiero di accettazione o di una situazione che forse sa di non poter cambiare. Anche lì non ne abbiamo parlato, perché noi cerchiamo di cambiare ma poi magari non c’è la capacità o la volontà di parte di un genitore ma neanche le potenzialità di cambiare. Quindi anche qui dobbiamo veramente riflettere su queste situazioni qua perché questo è limite di ognuno di noi. Non ce la fanno. Quindi lavori affinché che i giovani possano accettare che i loro genitori hanno loro difficoltà. Ecco queste forse sono le situazioni più lunghe a livello di permanenza all’interno delle strutture, perché malgrado tu tenti di fare qualcosa ti rendi conto che il genitore non ce la fa, non ci riesci non ha le potenzialità per cambiare. No, cambiare è una parolona, perché nessuno cambia nessuno, però non raggiungere l’energia sufficiente per poter riaccogliere i propri figli in modo adeguato.”