Intervista a Claudia Bielli educatrice e responsabile di un gruppo internati al Vanon
3) Quali sono le maggiori difficoltà nell’aiutare la relazione tra il minore e la sua famiglia di origine? E quali le potenzialità?
“Questo si riallaccia un po’ alla prima, noi non possiamo fare tantissimo. Quindi la difficoltà maggiore, per noi, sono le decisioni che vengono prese dall’autorità. Perché a volte, a nostro modo di vedere potrebbe essere che quel bambino gli farebbe bene trascorrere più tempo con la mamma o viceversa, più vede la mamma più sta male. Però le autorità quello che decidono noi lo dobbiamo rispettare. Questa è la prima difficoltà, la seconda difficoltà sono anche i tempi che hanno. Perché a volte noi facciamo delle proposte per il riavvicinamento, magari sul prolungare un diritto di visita, sull’aumentare la frequenza. Quindi si fanno le riunioni come educatori e come direzione Vanoni proponiamo che per noi sarebbe buona questa cosa, l’assistente sociale fa partire la richiesta in ARP, e magari l’ARP ci mette un anno a rispondere, o sei mesi. Quindi sicuramente i tempi di risposta delle Autorità non aiutano, Questa è la difficoltà principale.”
E così per tutte le ARP?
“Per tutte. Chiaramente essendo che noi non possiamo prendere nessun tipo di decisione.. L’ARP come organo principale, poi a volte è il tutore a non risponderti. Quindi tu gli dici, domani sera un bambino mi chiede di andare a casa dalla mamma a cena, però tu devi avere l’okay del tutore e quello non ti risponde, quindi lui domani sera a casa non andrà.
Insomma, chi deve decidere, essendo che noi, ripeto, su questo fronte non possiamo decidere nulla.”
Però siccome il minore vive qui, poi ci sono altre figure che devono decidere, gli educatori fanno anche un po' da mediatori tra le figure esterne e il minore?
“Mediatore no, perché mediatore vorrebbe dire che tu medi, fargli un po’ da tramite sì, da
porta voce. Questo funziona, perché noi sistematicamente ci sono delle richieste. Esempio concreto: una bambina mi chiede di vedere la mamma adottiva, io ho già detto più volte a chi di dovere, poi però saranno loro a decidere, come quando e perché. Quindi fintanto che loro non decidono, io comunque porto questa richiesta del minore, a chi di dovere, quando è piccolo. Quando è grande glielo si può chiedere direttamente a lui. Sopra ai quindici anni gli dici «Guarda, chiama tu direttamente il curatore e chiedi», oppure «chieda un incontro in ARP».”
Il minore può andare, sopra i quindici anni?
“Mi sembra il livello legale, se non sbaglio è già sopra i dodici, quando vengono ritenuti in grado di ragionare. Se sono molto piccoli lo fai tu, oppure può anche essere che tu chiedi all'assistente sociale o al curatore di dire «Guarda questo bambino chiede a tutti i costi di sentire l’ARP». Vengono sentiti anche i piccoli, però oggettivamente quello di 8 anni non è che prende in mano il telefono e dice «Buongiorno sono ..la voglio un incontro». Mentre quello di quindici lo può già fare, mandare una email, può già prendere in mano un telefono.”
4) In che modo vengono coinvolte le figure significative (minore, genitori, familiari) nel percorso progettuale istituzionale dal momento dell’inserimento e durante il periodo del collocamento e anche in quello della dimissioni?
“Vengono coinvolti sempre. Al momento dell’ammissione, anzi al momento della segnalazione vengono coinvolti da parte degli assistenti sociali. Quindi gli assistenti sociali hanno già visto o sentito la famiglia. Poi viene fatto un primo incontro al Vanoni con gli assistenti sociali per la conoscenza dei genitori, per spiegargli che cos’è il Vanoni, par fargli vedere la struttura, per poi iniziare il collocamento. Una volta che il collocamento è iniziato loro vengono sempre coinvolti in tutti. I genitori sono sempre informati su tutti, chi detiene l’autorità parentale, quindi qualsiasi cosa succede al bambino, qualsiasi cosa il bambino dice, richiede, fa il genitore viene informato dopo, con le giuste proporzioni. Allora per quel che riguardano le cose correnti sempre. Chiaramente, faccio un esempio estremo, se un bambino viene e ti dice “ogni volta che io vado a casa la mia mamma mi picchi dalla mattina alla sera”, non è che li coinvolgi il genitore. Non è che lo chiami e gli dici “scusi, guardi che il suo bambino mi ha detto che lo picchia tutti i giorni”, ecco. Quindi li a quel punto, il genitore verrà informato, ma non in modo diretto come se tu lo chiami e gli dici “guarda che stanotte ha vomitato, ha 40 di febbre, gli do il dafalgan, e le faccio sapere tra due ore come sta”. Poi vengono coinvolti in modo più formale due o tre volte all’anno, anche quattro a dipendenza delle situazioni, in riunioni di rete, quindi con noi, con gli assistenti sociali; dove si fa un po’ il punto della situazione, dove si chiede loro se hanno delle richieste particolari, se vogliono dei cambiamenti, si fa un bilancio. E li sono dei momenti formali. Però nella vita di tutti i giorni il genitore è sempre comunque informato, non che tu tutti i giorni lo chiami, però qualsiasi cosa particolare che succede lui lo sa. Se è invece sotto tutela è il tutore la prima persona che viene informata, però, a parte un caso che avevamo, anche sotto tutela vengono comunque informati i genitori, magari non al cento per cento. Però se una bambina ha la febbre
comunque io la mamma la avviso. Se non in casi in cui, come proprio ti dicevo prima, è l’Autorità stessa a dire «la mamma non deve più sapere nulla di suo figlio», ma perché sono casi gravissimi, quindi a quel punto no. Altrimenti sono sempre informati. Questo per tutto il tempo del collocamento, quando pi c’è la dimissione vengono comunque informati già prima che si va nella direzione di una dimissione ma questo è fondamentale, se il bambino viene dimesso per tornare a casa è logico che la famiglia deve essere super coinvolta. Se invece il bambino viene dimesso per andare in un altra struttura pure, cioè non è che tu da un giorno all'altro gli dici «tuo figlio non è più qui, è la», quindi il coinvolgimento della famiglia è al centro di tutto, sempre, sia sulle cose belle sia sulle cose brutte, perché si ha sempre un po' la tendenza a chiamare il genitore quando ci sono «gabole», qualcosa che non va, qualcosa che ha fatto che non doveva, che si è comportato male e quant’altro. Mentre è importante ogni tanto chiamare il genitore e dirgli che va anche tutto bene, che ha fatto qualcosa di buono. Secondo me è il punto fondamentale, perché noi non possiamo lavorare senza coinvolgere la famiglia.”
5) In base alle tue esperienze, chi e come si lavora nella rete professionale con i