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L’ OSSIMORO ORDINAMENTALE : L ’ ESTENSIONE DEI REATI INTERCETTABILI E LA RESTRIZIONE DELLA NOZIONE DI CRIMINALITÀ ORGANIZZATA

costituzionalmente protetti: quello alla riservatezza informatica da un lato e quello alla repressione dei reati dall’altro 207

3. L’ OSSIMORO ORDINAMENTALE : L ’ ESTENSIONE DEI REATI INTERCETTABILI E LA RESTRIZIONE DELLA NOZIONE DI CRIMINALITÀ ORGANIZZATA

L’elemento nucleare della riforma è rappresentato dalla delimitazione dell’ambito di operatività dello strumento investigativo, con specifico riguardo alle fattispecie di reato intercettabili mediante l’impiego del captatore informatico.

La novella introduce un «doppio binario di disciplina»31, tracciando una netta distinzione tra i

delitti di criminalità mafiosa e assimilati e tutte le altre tipologie di reato per cui sono ammesse le intercettazioni. In particolare, ai sensi del comma 2 bis dell’art. 266 c.p.p., l’intercettazione ambientale mediante l’inserimento di un captatore informatico su un dispositivo elettronico portatile «è sempre consentita» nei procedimenti per i delitti di cui all’art. 51 commi 3 bis e 3 quater c.p.p., nonché – per effetto dell’intervento riformatore del 2019, poi avallato ed ampliato dal legislatore nel 2020 – nei procedimenti gravi di criminalità economica commessi dai pubblici ufficiali e dagli incaricati di pubblico servizio32; viceversa, per tutti gli altri delitti è ammessa nel

29 Cfr. W.NOCERINO, Prime riflessioni a margine del nuovo decreto legge in materia di intercettazioni, cit.

30 Rileva una simile criticità P. BRONZO, L’impiego del trojan horse informatico nelle indagini penali, cit., p. 345.

31 Così A. BALSAMO, Il punto di vista degli operatori. Il magistrato, in AA. VV., Nuove norme in tema

di intercettazione, cit., p. 344.

32 Si precisa che nel corso della presente trattazione si terrà in considerazione solo la scelta legislativa relativa all’impiego disinibito del Trojan nei reati distrettuali; mentre non si farà cenno alle altre fattispecie delittuose ricomprese nel regime derogatorio di cui all’art. 266, comma 2 bis c.p.p., dal momento che l’esegesi della normativa che ha ad oggetto le intercettazioni mediante captatore informatico per i procedimenti relativi ai reati commessi dai pubblici ufficiali e dagli incaricati di pubblico servizio ai danni della pubblica amministrazione, sarà oggetto di specifico approfondimento. Cfr. §?

domicilio «solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l'attività criminosa», così come previsto dal comma 2 del medesimo articolo.

Nel delineare il perimetro operativo della nuova forma di intercettazione, il legislatore sembra assai confuso e poco coerente con le logiche del sistema, dal momento che le possibilità di impiego del Trojan risultano, al contempo, lievemente ridotte e notevolmente estese: per un verso, infatti, viene fornita un’interpretazione “restrittiva” del concetto di criminalità organizzata, ricomprendendovi solo le fattispecie indicate nell’art. 51 commi 3 bis e 3 quater c.p.p., escludendo, invece, quelle facenti capo ad un’associazione per delinquere, ex art. 416 c.p.; per l’altro, viene ampliata la portata del virus, consentendo di utilizzare il captatore per tutti i reati per cui sono ammissibili le intercettazioni ambientali, nel rispetto dei requisiti di cui all’art. 266 c.p.p.

Con riferimento al primo aspetto, non può sottacersi come il legislatore, nell’accogliere una nozione assai parca di “criminalità organizzata”, operi una scelta alquanto coraggiosa che disattende gli orientamenti giurisprudenziali oramai consolidati sul punto33. Mancando nel

sistema nazionale qualsivoglia definizione di criminalità organizzata34, la prassi tende ad

33 Come noto, la categoria di “criminalità organizzata” viene sempre più spesso intesa come un genus aperto, per nulla coincidente con quello dei reati di stampo mafioso o aggravati dall’art. 7, l. 203 del 1991. In giurisprudenza, cfr., Cass., sez. un., 22 marzo 2005, n. 17706, in Cass. pen., 2005, f. 10, p. 2916 ss., con nota di G. MELILLO, Appunti in tema di sospensione feriale dei termini relativi a procedimenti per reati di criminalità organizzata, per cui la nozione di criminalità organizzata «identifica non solo i reati di criminalità mafiosa e assimilata, oltre i delitti associativi previsti da norme incriminatrici speciali, ma anche qualsiasi tipo di associazione per delinquere, ex art. 416 c.p., correlata alle attività criminose più diverse, con l'esclusione del mero concorso di persone nel reato, nel quale manca il requisito dell'organizzazione». Nello stesso senso sez. III, 18 luglio 2015, n. 36927, in C.E.D. Cass., n. 265023; sez. II, 25 novembre 2015, n. 6321, ivi, n. 266404. Con specifico riguardo al tema del captatore informatico, Cass., sez. un., 28 aprile 2016, n. 26889, cit.; sez. VI, 3 maggio 2016, n. 26054, cit.; sez. maggio 2016, n. 26055, cit.; sez. VI, 3 maggio 2016, n. 26058, non massimata; sez. VI, 13 giugno 2017, n. 36874, cit., con nota di L. GIORDANO, La prima applicazione della sentenza “Scurato” nella giurisprudenza di legittimità, per cui «[I]in considerazione della forza intrusiva del mezzo usato, la qualificazione del fatto reato, ricompreso nella nozione di criminalità organizzata, deve risultare ancorata a sufficienti, sicuri e obiettivi elementi indiziari, evidenziati nella motivazione del provvedimento di autorizzazione in modo rigoroso». Per un’accurata disamina dell’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale, v. M. GRIFFO, Il captatore informatico e la filosofia del doppio binario, cit., p. 50 ss.

34 A differenza di tutti gli altri ordinamenti di civil law ovvero di common law, il sistema italiano conosce cinque varianti di criminalità organizzata: a) la criminalità organizzata comune, ovvero quella riconducibile allo schema dell’associazione per delinquere prevista dall’art. 416 c.p., che si riscontra in tutti i casi nei quali un gruppo di persone si associa per la realizzazione di delitti comuni; b) l’associazione di tipo mafioso, disciplinata dall’art. 416 bis c.p., che si concretizza quando il sodalizio pone in essere delitti o addirittura attività lecite (quali il controllo di attività economiche, l’acquisizione di concessioni o appalti, il condizionamento di voti favorevoli durante le competizioni elettorali) attraverso un metodo mafioso, caratterizzato dalla intimidazione e dalla omertà che ne deriva; c) le associazioni c.d. monotematiche, ovvero quelle costituite esclusivamente per la gestione di singole attività delittuose (associazione contrabbandiera, art. 291 quater del Testo Unico Leggi Doganali, per il commercio dei tabacchi lavorati esteri, associazione per il traffico di stupefacenti, art. 74 del Testo Unico Stupefacenti, associazione finalizzata alla tratta degli essere umani, art. 416 c.p. sesto comma, ecc.); d) le associazioni con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, ex artt. 270 ss. c.p.

avallarne una nozione così tanto ampia da valorizzare le specifiche finalità della disciplina che deroga le regole processuali generali35 (c.d. approccio teleologico o finalistico)36.

Pertanto, in detta categoria vengono ricomprese attività criminose alquanto eterogenee, purché realizzate da una pluralità di soggetti i quali, per la commissione del reato, abbiano costituito un apposito apparato organizzativo, con esclusione del mero concorso di persone ex art. 110 c.p.; ad essa non sono riconducibili solo i reati di criminalità mafiosa ma tutte le fattispecie criminose di tipo associativo. In altri termini, «basta la costruzione di un apparato organizzativo la cui struttura organizzativa assuma un ruolo preminente rispetto ai singoli partecipi»37.

L’overrulling legislativo, funzionale a limitare la nozione di criminalità organizzata ai soli reati “distrettuali”, mostra una certa sensibilità verso i parametri introdotti di determinatezza e prevedibilità che devono caratterizzare l’atto intercettivo secondo la giurisprudenza europea38.

35 Ex art. 13, d.l. 13 maggio 1991, n. 152, recante “Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla

criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attività amministrativa”, in Gazz. uff., 13 maggio 1991, n. 110, convertito, con modificazioni, in l. 12 luglio 1991, n. 203, in Gazz, uff., 12 luglio 1991, n. 162. Per i reati di criminalità organizzata e terrorismo, la norma prevede dei requisiti “attenuati” rispetto a quelli tradizionali: le intercettazioni tra presenti possono essere condotte anche nel domicilio a prescindere dal «fondato motivo di ritenere che in quel luogo si stia consumando un’attività criminosa»; l’intercettazione è ammessa sulla basi di «sufficienti indizi» (e non gravi, ex art. 267 c.p.p.), quando la stessa è «necessaria» (e non indispensabile ex art. 267 c.p.p.) alla prosecuzione delle indagini; la durata delle operazione non può superare i 40 giorni, prorogabili di 20. Di qui, per i reati “gravi” non contemplati dagli artt. 51, commi 3 bis e 3 quater, richiamati dall’art. 266, comma 2 bis c.p.p., sono ammesse le intercettazioni ambientali domiciliari senza alcun limite se si tratta di captazioni “tradizionali”; viceversa, se le stesse sono eseguite mediate captatore, soggiacciono al requisito di cui al comma 2 dell’art. 266. Inoltre, è per questi previsto l’obbligo di motivazione “rafforzata” con l’indicazione dei tempi e dei luoghi della captazione, secondo il disposto dell’art. 267, comma 1 c.p.p. Sul tema, per tutti, D. MANZIONE, Una normativa “d’emergenza” per la lotta alla criminalità organizzata e la trasparenza e il buon andamento dell’attività amministrativa (d.l. 152/1991 e l. n. 203/1991): uno sguardo d’insieme, in Legislaz. pen., 1992, p. 852 ss. La normativa viene progressivamente ampliata, ai sensi dell’art. 3 del d.l. 18 ottobre 2001, n. 374, recante “Disposizioni urgenti per contrastare il terrorismo internazionale” ai procedimenti per i delitti di cui all’art. 270 ter c.p.p. e ai delitti delineati dall’art. 407, comma 1, lett. a, n. 4 c.p.p., nonché ai delitti di cui agli artt. 270, comma 3 e 306, comma 2 c.p.p. Inoltre, l’art. 9 l. 11 agosto 2003, n. 228 estende l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 13 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, in relazione ai procedimenti per i delitti previsti dal Libro II, Titolo XII, Capo III, Sez. I c.p. (al netto delle ipotesi ricomprese nell’art. 51, comma 3 bis, c.p.p.), nonché a quelli previsti dall’art. 3, l. 20 febbraio 1958, n. 75. Sul punto, più di recente, L.SIMEONE, I reati associativi, Maggioli editore, 2015, p. 53 ss. 36 In questa prospettiva, le Sezioni Unite “Scurato” hanno ribadito la validità dell’approccio “teleologico” o “finalistico” secondo il quale il significato dell’espressione “criminalità organizzata” deve essere definito avendo riguardo alle finalità specifiche della singola disciplina che deroga alle regole processuali generali. La sentenza ha ritenuto di dover confermare la validità di questo indirizzo giurisprudenziale, «perché consente di cogliere l’essenza del delitto di criminalità organizzata e nel contempo di ricomprendere tutti i suoi molteplici aspetti, nell'ottica riconducibile alla ratio che ha ispirato gli interventi del legislatore in materia, tesi a contrastare nel modo più efficace quei reati che per la struttura organizzativa che presuppongono e per le finalità perseguite, costituiscono fenomeni di elevata pericolosità sociale». Così Cass., sez. un., 28 aprile 2016, n. 26889, cit.

37 Si esprime così P.BRONZO, Intercettazione ambientale tramite captatore informatico: limiti di

ammissibilità, uso in altri processi e divieti probatori, cit., p. 247.

38 Corte EDU, 4 dicembre 2015, Roman Zakharov c. Russia, n. 66610/10, in www.archiviopenale.it. In tema, E. BASILICO-S. MARIANI, Monitoraggio Corte Edu dicembre 2015, a cura di G. Ubertis- F. Viganò, in Dir. pen. cont., 15 marzo 2016.

Più nel dettaglio, la sentenza della Corte EDU “Zakharov c. Russia”, nel delineare un nuovo «statuto europeo delle intercettazioni»39, ribadisce che le legislazioni nazionali devono definire

l’ambito applicativo delle misure di controllo dando ai cittadini un’adeguata indicazione delle circostanze per cui le autorità pubbliche hanno il potere di ricorrervi, anche mediante una chiara definizione della natura dei reati che possono dare luogo al loro impiego. Pur non richiedendo un elenco puntuale, la Corte europea ritiene che debbano essere forniti sufficienti dettagli sulla natura di tali reati, ad esempio mediante la indicazione del massimo di pena edittale per essi prevista; «difficile allora ritenere soddisfatto questo standard nella nostra nozione giurisprudenziale»40. In

questo senso, è apparso ineludibile ricorrere ad un criterio più preciso – come quello dei reati “distrettuali” che trovano una regolamentazione espressa nell’art. 51 c.p.p. – e dunque fatalmente più restrittivo, proprio al fine di garantire il pieno rispetto dei dicta europei.

Al di là di queste ipotesi, però, le possibilità di impiego del nuovo strumento risultano enormemente ampliate.

In ragione del richiamo compiuto dall’incipit del comma 2 dell’art. 266 c.p.p. al comma 1 del medesimo articolo, l’inoculazione del virus informatico diventa possibile in qualsiasi tipologia di indagine, purchè si tratti di reati per i quali le intercettazioni tradizionali sono ritenute legittime41.

Tale disposto va letto anche alla luce dell’innesto legislativo operato nel 2020, per cui il catalogo di fattispecie intercettabili si dilata nuovamente. Più precisamente, la l. 7/2020 procede

39 Così A. BALSAMO, Le nuove frontiere delle intercettazioni telefoniche, in Il Libro dell’anno del

diritto, Treccani, 2017, p. 4.

40 Così P.BRONZO, Intercettazione ambientale tramite captatore informatico: limiti di ammissibilità,

uso in altri processi e divieti probatori, cit., p. 245 s. Cfr. tuttavia A. BALSAMO, Intercettazioni ambientali mobili e cooperazione giudiziaria internazionale: le indicazioni desumibili dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, in Cass. pen., 2016, f. 12, p. 4236, il quale – senza però esprimersi in ordine al modo in cui la giurisprudenza interpreta la clausola generale della “criminalità organizzata” – nota come una tale nozione, per quanto contrassegnata da un certo grado di elasticità, «non sembra di per sé incompatibile con i requisiti qualitativi insiti nel principio di legalità nella prospettiva europea, che non esclude formulazioni normative idonee ad assicurare un costante adeguamento al mutare della materia regolata».

41 Nelle intercettazioni tradizionali il catalogo di reati per cui l’attività investigativa risulta legittima sembra assai ampio e variegato, potendosi esperire captazioni processuali per tutte le fattispecie di cui all’art. 266, comma 1 c.p.p. ovvero, nel caso di intercettazioni di comunicazioni informatiche o telematiche di cui all’art. 266 bis c.p.p., anche per i reati commessi mediante l’impiego di tecnologie informatiche o telematiche. In particolare, il legislatore individua i reati per cui sono consentite le intercettazioni prevalentemente sulla base di un criterio di natura quantitativa, incentrato sull’entità della pena edittale, determinata a norma dell’art. 4 c.p.p. Si tratta dei delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni, ovvero per i delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. In altri casi, il legislatore utilizza un criterio qualitativo, indicando i reati– tipo per cui è esperibile il mezzo di ricerca della prova (delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope; quelli concernenti le armi e le sostanze esplosive; delitti di contrabbando; reati di ingiuria, minaccia, usura, abusiva attività finanziaria, abuso di informazioni privilegiate, molestie; divulgazione di materiale pedopornografico e adescamento di minorenni; stalking. Da ultimo, la l. 7/2020 estende i casi di intercettazione anche ai «delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste nello stesso articolo»). Sul tema, esaustivamente, E.APRILE, Intercettazioni di comunicazioni, cit., p. 479 ss.; A.CAMON, Le intercettazioni nel processo penale, cit., p. 64; L.CERCOLA, Le intercettazioni nella dinamica del processo penale, Giappichelli, 2016, p. 172 ss.; L.FILIPPI, sub art. 266, cit., p. 2571 s.; G. ILLUMINATI, La disciplina processuale delle intercettazioni, cit., p. 74 s.; S. FURFARO, voce Intercettazioni (profili di riforma), cit., già pubblicato in Arch. pen., f. 1, 2018; E.MARZADURI, Spunti per una riflessione sui presupposti applicativi delle intercettazioni telefoniche a fini probatori, in Cass. pen., 2008, f. 11, p. 4833 ss.

ad una modifica dell’art. 266, comma 1 c.p.p. attraverso l’interpolazione di un’inedita lettera “f- quinquies”, introducendo una nuova species di reato intercettabile anche mediante l’ausilio del virus informatico, rappresentata dai «delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste nello stesso articolo»42.

Si tratta di una scelta alquanto avventata.

Come meglio si dirà di seguito43, la possibilità di inoculare un malware su un dispositivo

elettronico portatile in uso all’indagato per qualsivoglia tipologia delittuosa, determina – almeno in potenza – la violazione del dictum di cui all’art. 266, comma 2 c.p.p., posto a protezione del domicilio (art. 614 c.p.)44: in ragione dell’intrinseca itineranza dello strumento de quo, non

42 Come rilevato, «[L]la norma […] si riferisce ai “delitti-fine” di un’associazione mafiosa, di per sé già suscettibile di giustificare un provvedimento di autorizzazione. Può ritenersi discutibile che in tal modo qualsiasi delitto, anche di relativamente di minor gravità (se la relativa pena superasse il limite edittale di cui all’art. 266 c.p.p. le intercettazioni sarebbero già ammissibili), possa giustificare il ricorso al mezzo di ricerca della prova in esame, sol perché motivato dai caratteri propri di un’associazione di stampo mafioso». Così F. RUGGIERI, La nuova disciplina delle intercettazioni: alla ricerca di una lettura sistematica, cit., p. ?

43 Cfr. § ?

44 In base all’evoluzione giurisprudenziale, può dirsi che i luoghi “domiciliari” sono quei luoghi in cui il titolare possiede uno ius excludendi alios stabile, ovvero azionabile anche quando il soggetto non sia fisicamente presente. Come precisato, il carattere di “stabilità” del diritto risulta, ai fini della determinazione del concetto di domicilio, assolutamente necessario. Rientrano, pertanto, nella nozione di domicilio solo i luoghi che assolvono in concreto alla finalità di proteggere la vita privata del loro possessore, durante lo svolgimento delle sue attività professionali, di svago, di alimentazione, di riposo. In questo senso, G. VARRASO, Le intercettazioni e i regimi processuali differenziati per i reati di “grande criminalità” e per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, in AA. VV., Le nuove intercettazioni, cit., p. 139 s. Detto in altri termini, affinché scatti la protezione prevista da tale articolo, non basta che un comportamento venga tenuto in un luogo di privata dimora, in quanto occorre che esso sia in concreto riservato, e, cioè non possa in concreto essere liberamente osservato dagli estranei, senza ricorrere a particolari accorgimenti. Cfr. Corte cost., 7 maggio 2008, n. 149, in Cass. pen., 2008, f. 12, p. 4109. Seguendo un simile filone interpretativo, può sostenersi che è considerato domicilio un ufficio privato (Cass., sez. VI, 29 settembre 2003, n. 4933, in Cass. pen., 2005, f. 10, p. 1336), mentre non sono tali le stanze di un ospedale (sez. V, 11 ottobre 2018, n. 5300, in C.E.D. Cass., n. 27592) o le celle carcerari (sez. VI, 15 maggio 2018, n. 26028, ivi, n. 273417), il pianerottolo di un’abitazione privata (sez. 5, 30 maggio 2017, n. 34151, ivi, n. 270679), il box cassa di un’autorimessa (sez. V, 17 novembre 2015, n. 11419, in Cass. pen., 2017, f. 2, p. 722 ss., con nota di C. RIZZO, Videoregistrazioni domiciliari e l’incerta distinzione tra comportamenti comunicativi e non). Sul punto, V. BONINI, Videoriprese investigative e tutela della riservatezza: un binomio che richiede sistemazione legislativa, in Proc. pen. giust., 2019, f. 2, p. 336 ss. In proposito la giurisprudenza della Suprema corte ha, ormai, disposto che l’autovettura non può essere considerata un luogo di “privata dimora”, in quanto quest’ultima è destinata al trasporto «di persone o al trasferimento di oggetti da un luogo ad un altro ed in quanto sfornito dei confort minimi per potervi risiedere stabilmente per un apprezzabile lasso di tempo [...]» Così sez. I, 6 maggio 2008, n. 32851, in Cass. pen., 2009, f. 8, p. 2533. Da ultimo, sez. VI, 30 gennaio 2019, n. 23819, in C.E.D. Cass., n. 275994. La delicata quaestio sembra aver trovato una stabilità ermeneutica grazie al recente apporto delle sezioni unite che accoglie un’interpretazione maggiormente restrittiva alla nozione de qua. Cfr. Cass., sez. un., 23 marzo 2017, n. 31345, in Dir. pen. cont., 2017, f. 7/8, con nota di S. BERARDI, Le Sezioni Unite ridefiniscono la nozione di privata dimora ai fini dell’art. 624 bis c.p., secondo cui «rientrano nella nozione di privata dimora di cui all’art. 624 bis c.p. esclusivamente i luoghi, anche destinati ad attività lavorativa o professionale, nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare». Per una ricostruzione storica della nozione di privata dimora v. L. FILIPPI, sub art. 226, in Codice di procedura penale commentato, cit., p. 2541 ss.

risultano preventivabili i luoghi di privata dimora nei quali il dispositivo elettronico potrebbe essere introdotto; di conseguenza, non può essere verificato il rispetto della condizione di legittimità richiesta dalla norma che presuppone, per la legalità delle captazioni in luoghi domiciliari nel caso di reati “comuni”, che sia in atto l’attività criminosa45.

Come noto, il giudice autorizza l’intercettazione nei luoghi di privata dimora solo quando, attraverso un giudizio ex ante, ritenga verosimilmente e ragionevolmente sussistente il periculum che in quel luogo si stia consumando un’attività delittuosa46: a meno che il progresso tecnologico

non consentisse di predeterminare il funzionamento del virus, circoscrivendo il luogo in cui la captazione debba avvenire, l’agente intrusore è «fisiologicamente incompatibile con la necessità di dimostrare […] il fondato motivo di ritenere che in un determinato luogo si stia svolgendo un’attività criminosa»47.

Proprio per la possibile lesione alla libertà domiciliare, la giurisprudenza pregressa è stata alquanto rigorosa sul punto, negando l’utilizzo dello strumento intercettivo nel caso di procedimenti per reati comuni, consentendolo solo per i reati di criminalità organizzata per cui la prerogativa di cui all’art. 266, comma 2 c.p.p., viene meno per effetto della disciplina derogatoria di cui all’art. 13, d.l. 152/199148.

Di qui, al fine di evitare indebite compressioni al dictum di cui all’art. 266, comma 2 c.p.p., sarebbe stato più opportuno limitare l’impiego del captatore informatico per eseguire intercettazioni (o, più correttamente, attività di acquisizione da remoto) solo con precipuo riguardo ai reati distrettuali di cui all’art. 51, commi 3 bis e 3 quater c.p.p., al fine di garantire il pieno rispetto della garanzia di tutela dei luoghi domiciliari.

Né può condividersi l’approccio di una parte della dottrina49 che tenta di superare le difficoltà

or ora richiamate ricorrendo ad una nozione estensiva di “domicilio”, idonea a ricomprendere proprio il dispositivo infettato.

45 Per i reati “diversi”, tuttavia, la Suprema Corte esclude l’utilizzo dello strumento intercettivo, in quanto, non potendo prevedere i luoghi di privata dimora in cui il dispositivo infettato potrebbe