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19 ag[osto 18]98 Mio buon B[arbi] la tua cart[olina] 1 mi giunse graditissima, quando temevo quasi della

tua salute. Invece tutto va pel meglio, e non puoi credere quanto mi faccia piacere

sentirti a parlare così del concorso. Hai fatto molto davvero, e immagino la tua

preoc-cupazione nel tempo passato, e ora la tua stanchezza – . Su datti animo, e con la tua

buona mamma godi piena e serena pace nell’Alpe di S. Godenzo. Tu che hai sì pochi

spiriti cittadini, nella semplicità e purezza della vita rustica puoi godere anche più di

noialtri, e tra le memorie di gente fieramente sdegnosa, e forte io spero tu possa vincere

la nausea di tanti omiciatoli ‘dicitori di molte parole e mordaci e rapaci nella roba

d’altri’ come quelli che davan noia al mio Amerigo

2

, e esistono e ‘pensano’ in tutti i

tempi, pur troppo. Del mio concorso

3

molti altri sanno, ma io non so nulla, e non so

come saperne. Me ne chiedon molti, i miei smaniano alcun che, e quasi entro in

cu-riosità. Ma come fare? E, del resto, perché? Io spero bene di arrivar in Firenze in tempo

di salutarti vincitore e di aiutarti a far le casse della libreria. Quanto godrei della tua

vittoria! Io qui lavoro come un cane, ma temo che il tempo

i

non mi basti per finir le

ricerche. Riscrivimi la tua mamma e stai bene. Tuo

Parodi

CASNS, Fondo Barbi, busta Parodi E.G. XXXI, 860, c. XIV. Cartolina illustrata: Ricordo di Mantova, con una riproduzione in bianco e nero di una foto con vista sulla città dal ponte di S. Giorgio (Fratelli Alinari, 1887-1898); indirizzata: Al chiar.mo signore prof. M. Barbi | San Godenzo | (Firenze) | Mugello. Nota in modulo minore, posta sotto il francobollo: Nel caso che non ti trovasse a | S. Godenzo | Via dei Conti Palazzo Conti

| Firenze. Timbro postale di partenza: Mantova, 19.8.98; di arrivo: S. Godenzo, 20.AGO.98.

i non mi basti... Parodi: scritto lungo il margine sinistro, ruotato di 90°. 1 La missiva non è pervenuta.

2 Parodi riprendeva liberamente un passo tratto dal quaderno di Esercizi di Amerigo Vespucci, con-servato alla Biblioteca Riccardiana di Firenze (ms. 2649): «non vogliamo essere ciarlatori né dicitori di molte parole et fuggiamo gli uomini mordaci e rapaci della roba d’altri» (Davide Baldi, The Young Amerigo

Vespucci’s Latin Exercises, in «Humanistica Lovaniensia», LXV, 2016, pp. 39-48, in part. p. 48).

L’eserci-ziario – parte di un programma di studi condotti sotto la supervisione dello zio Giorgio Antonio Ve-spucci – era una raccolta di un centinaio di brani pronti per essere tradotti dal volgare al latino, solo sei dei quali effettivamente svolti da Amerigo. Probabilmente Parodi aveva letto la frase nella biografia del navigatore appena pubblicata da Pier Liberale Rambaldi (Amerigo Vespucci, Firenze, Barbèra, 1898, «Pantheon»), dove infatti compare a p. 29.

25.

E.G.P

ARODI

a M.B

ARBI

Genova 5.9.[18]98

Carissimo – È proprio A[lessandro] Lattes

1

. Non ti ho risposto ieri, perché da dieci

giorni ero fuori di Genova e sono tornato solo stamattina. Sono contento di sentire che

ti stai riavendo dal tuo ‘prostramento’

2

; brutta parola, che non sapevo tu dovessi usare

e che mi indica che eri peggiorato dopo la mia partenza. Certo non per mia colpa, ché

non mi darei pace di non essermi trattenuto, come tu fantasticavi, fino al 20. Buone

vacanze dunque e rimettiti del tutto, ma, speriamo, per non ricadere più. Io sto

abba-stanza bene; seccato un po’, per motivi di vario genere, benché non variino mai da un

anno all’altro; tuttavia, ripeto, quanto a salute, non c’è male. Cian m’ha dato notizie

della sua recensione

3

, dicendo che anche a me aveva fatto la mia parte: vuol dire che

mi ci avrà ficcato bon gré mal gré. Degli altri non so nulla tranne di Rambaldi

i

. Tanti

saluti e un grande abbraccio. Il tuo

EG Par

i tranne di Rambaldi: aggiunto in interlinea.

1 Il riferimento è probabilmente allo studio di Alessandro Lattes, La campana serale negli Statuti delle città

italiane, in appendice alle Tre postille dantesche di Novati (pp. 30-34) recensite da Parodi nel «Bullettino»

(n.s. V, 8-10, maggio-luglio 1898, p. 174). Cfr. la cartolina n. 23 del 14 agosto 1898.

2 È attestato nel GDLI con significato figurato di «estrema debolezza, prostrazione», usato a quel tempo anche dal Carducci: «se nuove complicazioni non sorgono dal prostremato in cui è il povero malato, le cose andranno benino» (lettera del 1862 a Galgano Gargani, in G. Carducci, Lettere, vol. III,

1862-1863, Bologna, Zanichelli, 1939, «Edizione Nazionale», p. 80).

3 Nel «Bullettino» di maggio-luglio 1898 (n.s. V, 8-10, pp. 113-161), fu pubblicata la recensione di Vittorio Cian al volume di Franz Xaver Kraus, Dante. Sein Leben und sein Werk, sein Verhältniss zur Kunst und

Politik (Berlin, G. Grote’sche Verlagsbuchhandlung, 1897). Cian citava Parodi a p. 132, a proposito della

paternità dantesca del sonetto Deh piangi meco tu, dogliosa petra, in merito al quale il linguista si era già espresso favorevolmente recensendo l’articolo di Fredrik Wulff, Dante, ‘Pietra in pietra’ (in «Romania», vol. XXV, n. 99, 1896, pp. 455-458) nel «Bullettino» di ottobre-novembre 1896 (n.s. IV, 1-2, pp. 13-15). Wulff considerava il componimento «charmant» e «danteschissimo», così come Carducci, seppur più cautamente (Studi letterari, Bologna, Zanichelli, 1893, p. 93, «Opere», VIII); completamente in disac-cordo era Vittorio Imbriani, il quale sosteneva che ci volesse «stomaco per attribuire di questa robaccia a Dante» (Sulle canzoni pietrose di Dante, in Id., Studi danteschi, con prefazione di Felice Tocco, Firenze, Sansoni, 1891, pp. 425-458, in part. pp. 454-455). Il sonetto fu inizialmente pubblicato, incompleto, nelle Poesie italiane inedite di dugento autori dall’origine della lingua infino al secolo decimosettimo, raccolte e illustrate da Francesco Trucchi (vol. I, Prato, per Ranieri Guasti, 1846, pp. 297-298); mentre la prima edizione intera è di Karl Witte in Rime in testi antichi attribuite a Dante, ora per la prima volta pubblicate (in «Jahrbuch der Deutschen Dante-Gesellschaft», III. Band, 1871, pp. 257-302, in part. p. 292). Barbi collocava il sonetto tra le Rime di dubbia attribuzione, IV (OPERE 1921, p. 127; BARBI-PERNICONE 1969, pp. 669-670). In effetti, l’attribuzione è controversa: il componimento è assegnato a Dante solo dal ms. Riccardiano 1103, «tutt’altro che ineccepibile» (vd. infra). Contini pubblica la lirica fra le rime dubbie (n. 62), pur sostenendo che «un esame del contenuto accentua la sfiducia», poiché la lirica è accostata alle rime petrose, ma «qui si parla a freddo non già della crudeltà della donna [...] bensì della tomba o petra di Petra» (CONTINI 1939 (1995), pp. 237-238). Il componimento è escluso dalle edizioni successive: DE

CASNS, Fondo Barbi, busta Parodi E.G. XXXI, 860, c. XV. Cartolina postale ms., indirizzata: Al Ch. prof.

Mi-chele Barbi | della R. Biblioteca Nazionale di Firenze | San Godenzo. Timbro postale di partenza: Genova ferrovia, 5.9.98; di arrivo: S. Godenzo, 8.SET.98.

26.

M.B

ARBI

aE.G.P

ARODI

L’ultimo del [18]98