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L’overtourism come occasione di incontro e l’emergere dei movimenti social

EMERGENTI NEL PANORAMA VENEZIANO

2.3 L’overtourism come occasione di incontro e l’emergere dei movimenti social

Sebbene il turismo contribuisca per circa 2 miliardi di euro annui alle casse della città, il fenomeno dell’overtourism ha avuto d’altronde il “pregio”di mettere in contatto realtà come quelle di Barcellona, Dubrovnik, Amsterdam e la stessa Venezia per approntare una serie di politiche comuni per fronteggiare la crisi abitativa, quella ambientale e la desertificazione della vita locale.

Questo complesso di fenomeni (la saturazione da turisti, unita allo spopolamento del centro storico) ha assunto il nome proprio di “Venice Syndrome”, dal titolo del documentario del 2012 di Andreas Pichler. Questo fenomeno è d’altra parte debitamente studiato e al centro di un dibattito internazionale, portato avanti sia da organizzazioni di cittadini che

periodicamente mettono in campo azioni e manifestazioni come quella del 2017 dal titolo “Mi no vado via” (a cui hanno preso parte circa 2500 persone per le calli di Venezia), sia

conferenze come quella del 17 giugno 2017 “Diritto alla città. Venezia, Barcellona, Berlino, Parigi, nell’epoca del turismo globale”. Se le istituzioni sembrano venire meno ai loro

impegni per garantire le migliori condizioni di vita possibile, sono allora i cittadini all’interno delle associazioni, riconosciute o meno, formalizzate o meno, a farsi carico di questo bisogno, per migliorare le condizioni di ciascun quartiere e, attraverso singole azioni, a contribuire al benessere della città nel suo insieme.

Queste associazioni affrontano problemi di vario ordine e grado: si tratta di problemi sociali come la mancanza di serie politiche a favore della residenzialità, di problemi

territoriali come le condizioni in cui versano molte aree della laguna veneta non più curata e gestita come dovrebbe, problemi legati al surriscaldamento globale che, nell’arco di un secolo, potrebbe far scomparire la città. E’ una difesa della città in opposizione alla sua mercificazione, alla sua svendita, un orgoglio dell’appartenere ancora ad un contesto unico al mondo.

Se nel singolo queste associazioni e questi cittadini agiscono su uno spazio circoscritto (un quartiere o un immobile), è evidente come negli ultimi anni, soprattutto grazie al proliferare dei social network, queste realtà siano riuscite a creare una sorta di scheletro che sostiene in sé tutta la città. L’obiettivo comune è quello di (ri)costruire una città a misura d’uomo e di abitante prima che di turista, sostenibile sotto più punti di vista, che sfugga alla monocoltura

turistica e che rappresenti un modello di democrazia partecipativa quanto più avanzato possibile.

Le associazioni si pongono come anello di congiunzione propositivo tra i cittadini e le istituzioni: “Non mirano a prendere il potere ma a condizionarne la distribuzione riaffermando l’importanza della volontà popolare su quella istituzionale” (Halloway in Koensler, 2012)

Come perfettamente messo in luce da Boni:

La prima premessa per l’emergere dei movimenti sociali è il disagio per l’esercizio del potere delle istituzioni politiche legittime. Insoddisfazione, e quindi dissenso […] Una seconda premessa imprescindibile dell’attivarsi di un movimento è la presenza di comunità, un insieme di soggetti che si sentono parte di una identità e di un destino comune […] Una terza premessa del movimento è appunto la sua capacità di coinvolgimento e questa si

accentua quando le soggettività percepiscono che l’azione popolare non ricalca le dinamiche, logore e corrotte, della democrazia parlamentare. (Boni in Koensler, 2012)

Questi tre elementi ritenuti basilari per l’emergere di un movimento sociale sono perfettamente riscontrabili nella comunità riunitasi attorno a La Vida:

1. in primo luogo, le istituzioni politiche, che nelle idee dovrebbero garantire gli interessi dei cittadini che rappresentano (esse sono garanti e gestori dei beni comuni e del territorio, non ne sono direttamente proprietari e non possono

disporne come meglio credono senza tenere conto dei loro “datori di lavoro”) sono osteggiate poiché avvertite lontane dal sentire e dal bisogno comune nonostante questo abbia alzato la voce e sia sceso direttamente in campo;

2. in secondo luogo, la comunità si riconosce nel Campo, è la comunità di San Giacomo ad essersi attivata, attorno ad una organizzazione (About) la quale funge da principale referente ma che non è direttamente espressione e artefice dei fatti, i partecipanti tutti si sentono parte di un destino per certi versi già segnato ma a cui non vogliono rassegnarsi;

3. in ultima istanza, il coinvolgimento diretto nell’azione, lontano da logiche di partito o ideologiche, rinforza da par suo il senso di comunità.

Le tre premesse discusse sopra, in genere ne attivano una quarta, la volontà di intraprendere l’arduo cammino del conflitto con le istituzioni. (Boni in Koensler, 2012)

Anche la quarta premessa è rispettata dai Vidani: lo scontro con le istituzioni non è stato cercato frontalmente (l’occupazione è avvenuta durante un sopralluogo delle autorità

competenti, senza scassinare o forzare la situazione) ma si è venuto a creare in un clima oserei dire paradossale, di guerra fredda. Il primo banco di prova è stato quello del taglio

dell’allaccio alla luce elettrica che ha lasciato il palazzo al buio e al freddo in pieno inverno. Questa azione non ha però scoraggiato gli occupanti ma anzi, ha rafforzato il senso di

comunità portando nuove energie in Campo ed ha rappresentato un potenziale boomerang per le istituzioni che si sono poi mosse, nella figura del nuovo proprietario dell’immobile, nella direzione di una azione legale contro sei degli occupanti che da allora hanno dovuto affrontare una lunga serie di traversie, comunque sempre sostenuti (economicamente e moralmente) dalla comunità.

La questione cruciale, a mio avviso, è se il movimento sia riuscito a sottrarre potere alle istituzioni e a cambiare il corso degli eventi previsto

L’efficacia di un movimento, in questo senso, si deve valutare, oltre all’ottenimento di rivendicazioni specifiche, nella capacità complessiva di gestire l’ambiente, le risorse e il vissuto quotidiano in modo conforme all’orientamento desiderato dalla società.

(Boni in Koensler, 2012)

Veniamo qui al nocciolo della questione: quanto del potere è stato effettivamente alla fine sottratto alle istituzioni e come è cambiato, se è cambiato, il corso degli eventi? Se da un lato lo sgombero del palazzo prima e la rimozione del gazebo poi hanno certificato una sostanziale sconfitta in una in fase di stallo (le vicende non sono ancora arrivate a debita conclusione) delle prime rivendicazioni dei Vidani, è altrettanto indubbio che qualcosa di potenzialmente indistruttibile si è venuto non tanto a creare ma a consolidare e a mettersi in moto: il senso di una comunità che si ritrova, che si mette in mostra in Campo, che si mette in gioco, che rischia in prima persona, che abbandona l’Io per abbracciare il Noi, che si aggrega per essere quanto più visibile possibile e aumentare la consapevolezza di poter cambiare le cose.

2.4 Rappresentazione di uno spazio: politica della strada,