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LE IMMAGINI LAICHE E PROFANE.

65. Ovide moralisé, Venere, ms Reg lat 1480, Biblioteca Vaticana, Città del Vaticano,

XIV secolo.

Fu un percorso lungo e non rettilineo, bensì una curva ondulata di avvicinamenti e allontanamenti.

Prima del Rinascimento, vi furono infatti altre e diverse “rinascenze”280, varie fasi di recupero e rilancio dei classici, ognuna con un diverso atteggiamento che si riflette puntualmente nelle miniature.

La prima importante di queste fasi fu la rinascita carolingia, verificatasi nel IX secolo all’interno di un vasto progetto di renovatio della civiltà romana per volere dell’Imperatore Carlo Magno.

Allo scopo di resuscitare ogni aspetto della cultura romana, i miniatori carolingi, mettendo a profitto tutte le fonti possibili, ricorsero ai prototipi classici accanto a quelli paleocristiani con una grande libertà di iniziativa e senza distinzione tra pagani e cristiani, anche nei testi

280Si vedano in proposito: E. Panofky, Rinascimento e rinascenze nell’arte occidentale,

Milano, Feltrinelli, 1971; AA.VV., Renaissances before the Renaissance. Cultural Revivals of Late Antiquity and Middle Ages, W. Treadgold (ed.), Stanford, Stanford University Press, 1984.

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religiosi. Soprattutto nelle iniziali, i motivi classici, quali tralci, girali, palmette, ovoli, ripresero il predominio sugli elementi astratti dell’arte merovingia e insulare e anche la natura venne rappresentata con un atteggiamento positivo tipico dell’arte classica, così come il corpo venne reso anatomicamente e i luoghi intesi spazialmente.

I miniatori carolingi anticiparono il Duecento e il Trecento nella ricerca della verosimiglianza e si ispirarono all’arte classica nella rappresentazione di corpi vigorosi e di panneggi all’antica e, soprattutto, nel recupero di elementi mitologici. Quest’ultimo fu l’aspetto più importante della renovatio poiché dal VII secolo le rappresentazioni di divinità pagane erano scomparse dalla circolazione: i miniatori carolingi restaurarono quella tradizione interrotta facendo largo uso di mitologia e di personificazioni e saccheggiando l’iconografia greco-romana. A giustificazione di un tale recupero si affermò la dottrina di Evemero, il quale, nel III secolo d. C., aveva sostenuto che gli dei erano stati precedentemente uomini, eroi, successivamente divinizzati dai loro sostenitori. Il cristianesimo convertì in tal modo gli dei in uomini illustri e in eroi culturali e più tardi li identificò con i pianeti281. Si venne costituendo così un ricco repertorio di immagini classiche che l’arte paleocristiana aveva conservato e che vennero “riattivate” in età carolingia282.

Il classicismo di questo periodo fu caratterizzato dalla tendenza a

preferire l’accumulazione piuttosto che la selezione e,

281 M. Simon, Hercule et …, cit., pp. 22-32. Sull’uso della mitologia classica nel

Medioevo: J. Seznec, La sopravvivenza degli antichi dei. Saggio sul ruolo della tradizione mitologica nella cultura e nell’arte rinascimentali, Torino, Bollati Boringhieri, 1981; C. Cieri Via, Mitologia, in AA.VV., Enciclopedia dell’arte medievale, diretta da A.M. Romanini, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1991, VIII, pp. 483-491; E. Panosky, F. Saxl, La mitologia classica nell’arte…, cit.

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contemporaneamente, a combinare diverse voci, spaziando dai modelli classici a quelli tardo-antichi. L’imitazione dei classici fu, dunque, sovrapporsi di modelli, combinazione e mescolanza di antico, tardo-antico e medievale283. Tuttavia l’impiego di materiale classico non fu dovuto ad assenze di alternative e non fu acritico riuso, ma si collocò all’interno di un programma consapevole di riflessione sul passato284.

Lo stesso atteggiamento nei confronti del mondo classico caratterizzò il XII secolo, durante il quale si ebbe una sorta di proto-Rinascimento nei paesi mediterranei, in Francia, in Italia, in Spagna. In coincidenza con la laicizzazione e con la nascita delle scuole cittadine, fuori dai monasteri, si ebbe in questi luoghi, un risveglio di tendenze archeologiche. Questo secolo fu caratterizzato dal ritorno alle fonti classiche e dall’imitazione ed emulazione dei prototipi classici. Per rendere fruibile il patrimonio classico, si misero in opera i più diversi tentativi di dare un significato morale e specificamente cristiano alle opere pagane. Con lo stesso intento, sul piano figurativo i concetti classici furono rappresentati secondo le convenzioni medievali e non pagane. Si verificò un fenomeno curioso e particolare: il principio di

disgiunzione285; ogni volta che durante il basso Medioevo si prese in prestito uno schema formale da un modello classico, gli si attribuì un significato non classico, ma cristiano; i classici furono sottoposti, dunque, a interpretatio christiana: Ercole trasformato nella Fortezza,

283 C. Franzoni, Presente nel passato: le forme classiche nel Medioevo, in AA.VV., Arti e

storia nel Medioevo. Del costruire…, cit., p. 358.

284 Si veda in proposito G. Orofino, Citazione e interpretazione. Il rapporto con l'antico

nel ciclo illustrativo dell'enciclopedia di Rabano Mauro, in AA.VV., Medioevo. Il tempo degli antichi. Atti del VI Convegno internazionale di studi, a cura di A.C. Quintavalle, Milano, Electa, 2006, pp. 197-207.

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Fedra in Vergine Maria. Allo stesso modo, quando si citò un tema della letteratura classica, questo fu rappresentato sempre con uno schema formale non classico, ma contemporaneo; nelle miniature medievali dei testi classici gli eroi mitologici si muovono, infatti, in ambienti medievali, con costumi e abitudini medievali, così come sono chiamati baroni o dame nei romanzi: Medea e Giasone, Didone ed Enea sono rappresentati intenti al gioco degli scacchi, Piramo e Tisbe conversano in edifici gotici adornati da croci286.

In tal modo, contemporaneizzando e attualizzando, l’arte medievale rese l’antichità classica assimilabile (fig. 66)287.

Questa caratteristica dicotomia dell’arte medievale, la disgiunzione di forma classica da contenuto classico, avvenne non per mancanza di fonti ma ad onta di una tradizione figurativa e rappresentativa disponibile; le immagini classiche salvate dai carolingi infatti vennero tendenzialmente abbandonate o respinte.

Lo stesso atteggiamento nei confronti dei classici caratterizzò anche la Rinascita della seconda metà del Trecento, quando dopo un secolo di disinteresse, la letteratura classica tornò in auge.

Fino a metà del Duecento, infatti, nonostante Federico promovesse l’ideale classico per motivi politici288 e ponesse particolare attenzione al pensiero filosofico-scientifico classico greco, nessuna opera di

286 Ivi, p. 106.

287 Su i diversi modi di reimpiego dei materiali classici e sull’ambivalenza delle

motivazioni sottese a tale recupero: S. Settis, Continuità, distanza, conoscenza. Tre usi dell’antico, in S. Settis AA.VV., Memoria dell’antico nell’arte italiana. Dalla tradizione all’archeologia, a cura di S. Settis, Torino, Einaudi, 1984, III, pp. 375-486; F. Crivello, Nord e mediterraneo…cit., pp. 373-393; C. Franzoni, Presente nel passato…, cit., pp. 329-359; J.Y. Luaces, Le radici dell’arte medievale, in E. Castelnuovo, G. Sergi, Arti e storia nel Medioevo. Del costruire…, cit., pp. 361-372.

288 Sull’arte in età federiciana si veda AA.VV., Federico II e l’arte del Duecento italiano.

Atti della III Settimana di Studi di Storia dell’Arte medievale dell’Università di Roma (15-20 maggio, 1978), a cura di A. Romanini, Galatina, Congedo Editore, I-II, 1980.

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letteratura classica venne miniata; il classicismo federiciano, infatti, fu limitato soprattutto a testi scientifici e filosofici, e pochissimo a quelli umanistici289.