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2. W OLFGANG W ELSCH

2.1.2 P ERCEZIONE DEL SENSO

Le ricerche di Welsch sul ‘senso sensibile’ culminano nella stesura della sua tesi di abilitazione14 nella quale si dedica ad un’esposizione della dottrina aristotelica

9W.WELSCH, Il mio percorso attraverso l’estetica, cit., p. 47.

10 La tesi, intitolata «Frottage»- Philosophische Untersuchungen zu Geschichte, phänonemaler Verfassung und Sinn eines

anchaulichen Typus e discussa ventottenne a Bamberg nel 1974, non è stata pubblicata.

11 «In seguito compresi che questo mio tentativo del 1974 rappresentava una sorta di azione parallela alla critica opposta da Derrida alla fenomenologia e alla tradizionale concezione del senso. Anche le mie analisi si indirizzavano contro lo spettro del senso puro, con la sola differenza che io, diversamente da Derrida, non lo contestavo in nome della materialità, quanto della sensibilità […]Ero – senza saperlo (allora conoscevo troppo poco gli scritti di Derrida) – un seguace della decostruzione della visione metafisica del senso, solo che la praticavo facendo leva sul sensibile». W.WELSCH, Il mio percorso attraverso l’estetica, cit., p. 48-49.

12 W.WELSCH, Il mio percorso attraverso l’estetica, cit., p. 49. Cfr. W.WELSCH, An den Grenzen des Sinns. Ästhetische

Aspekte der Malerei des Informel (Dubuffet), in «Philosophisches Jahrbuch», vol. 86, n. 1, 1979, pp. 84-112; W.

WELSCH, Das Zeichen des Spiegels. Platons philophische Kritik der Kunst und Leonardo da Vincis künstlerische Überholung der

Philosophie, in «Philosophisches Jahrbuch», vol. 90, n. 2, 1983, pp. 230-245.

13 W.WELSCH, Il mio percorso attraverso l’estetica, cit., p. 49. Cfr. W.WELSCH, La terra e l’opera d’arte. Heidegger e il

crepuscolo di Michelangelo, in «Rivista di Estetica», n. 7, 1981. Questo saggio rappresenta l’unica opera di Welsch

disponibile in lingua italiana, è stato ripubblicato nel 1991 dall’editore Gallio di Ferrara.

14 La tesi fu pubblicata cinque anni dopo. Cfr. W.WELSCH, Aisthesis. Grundzüge und Perspektiven der Aristotelischen

dell’aisthesis che vuole mettere in luce quel significato originale e rilevante che Aristotele aveva assegnato alla percezione e «che purtroppo non ebbe alcun seguito storico e venne trascurato nelle ricerche».15 Il concetto aristotelico di percezione

infatti, come ha fatto notare Welsch, non autorizza quella subordinazione alla ragione, che ha costituito il suo destino filosofico: anzi, dal punto di vista di Aristotele

ad ogni forma di conoscenza – teoretica o pratica che fosse – corrispondeva un tipo specifico di percezione che giocava un ruolo costitutivo ai fini di quel genere di conoscenza, così che il senso era del tutto debitore dell’attività percettiva, o in altre parole: il senso senza la percezione non esisteva.16

Com’è noto, Aristotele distingue tra due diverse forme di sapienza, l’una teoretica e l’altra pratica, sophia e phronesis. Tale distinzione non comporta una sottomissione gerarchica della seconda alla prima, ma soltanto l’ammissione dell’esistenza di due sfere distinte: quella del mondo naturale e quella dell’azione umana. La sophia ha infatti a che fare con ciò che è immutabile ed eterno, mentre la phronesis con ciò che è mutevole e contingente. Queste forme di conoscenza tuttavia hanno in comune qualcosa: l’aisthesis, ovvero la percezione. Infatti senza di essa non si danno scienze di alcun tipo. La phronesis può essere considerata, e tale la considera Aristotele, come una forma peculiare di aisthesis: per giudicare se un’azione è giusta o sbagliata (e giudizi di tal sorta sono di competenza della phronesis) occorre infatti conoscere le circostanze in cui essa si è compiuta, ossia, in altri termini, bisogna essere in grado di percepire i dettagli. Non è quindi del tutto sorprendente se ad un certo punto dell’Etica

Nicomachea (VI, 12) Aristotele consideri paradossalmente l’aisthesis, in quanto forma di

conoscenza del particolare, al pari del nous, attribuendole così il valore di quell’intelligenza che è in grado di conoscere i principi senza bisogno di alcuna mediazione. Ammesso dunque che un pensiero noetico sia possibile – ossia un pensiero che a differenza di quello dianoetico non ha bisogno del ragionamento per stabilire principi, perché li apprende direttamente – esso è possibile solo come pensiero aesthetico. Non a caso, infatti, negli Analitici secondi (I, 34) Aristotele dice che giungiamo agli archai, ai principi di tutte le cose, non attraverso l’episteme, la

15 W.WELSCH, Il mio percorso attraverso l’estetica, cit., p. 50. 16 Ibidem.

conoscenza fondata, ma attraverso il nous in quanto facoltà percettiva della conoscenza.

2.2S

VILUPPI

La carriera di Welsch si interrompe per tre anni, dal 1982 al 1985, fino a quando la casa editrice Acta Humaniora, in circostanze del tutto casuali, gli propone di scrivere un libro sul postmoderno, la cui fortuna editoriale ha sicuramente ripagato l’investimento.

Come racconta Welsch nella prefazione alla terza delle cinque riedizioni che il libro ha vissuto nell’arco di un decennio:

Il tono del libro è oggi anche per me alquanto sorprendente. Quando mi capita di leggerne delle citazioni in libri di altri autori, mi rendo conto di quanto fossero rischiose alcune formulazioni. Ne sono tuttavia ancora convinto. Il tono particolare dipende dal fatto che, con questo libro, non solo ho scritto qualcosa con l’anima, ma (si perdoni la formulazione patetica) mi sono inscritto un’altra anima. In seguito all’abilitazione, dopo aver goduto abbastanza dell’opportunità della disoccupazione offertami al posto di un sostegno da parte di istituzioni scientifiche tedesche, andai a Vienna dove il libro è nato. Ed in situazione simile, forse, scrissi in maniera più libera e più rischiosa. Come un ‘bandito’, per così dire, al quale non può più succedere niente di peggio e che può tentare ancora una volta di dire ciò che avrebbe potuto dire.

Arrivò poi un’offerta – non accademica, ma editoriale. Un lettore, che aveva ascoltato una mia relazione, mi chiese se non avessi voluto scrivere un libro sul tema di cui proprio allora mi stavo occupando.17

È curioso notare che la relazione cui fa qui riferimento Welsch è quella che presentò al congresso sul postmoderno dove furono dati i natali non solo all’anestetica, ma anche alla carriera, editoriale prima ed accademica poi, di Welsch.

L’originalità della posizione di Welsch consiste innanzitutto, coerentemente con la sua critica all’estetica tradizionale che abbiamo esposto sopra, nel fatto che essa parte sempre dall’analisi delle produzioni artistiche prima di avventurarsi nei cieli teorici. Di fronte al monstruum del postmoderno, egli compie preliminarmente un’operazione

17 W.WELSCH, Unsere postmoderne Moderne, Akademie Verlag (Acta Humaniora), Berlin 1987. Cito dalla quinta edizione, pubblicata nel 1997, p. XVI.

terapeutica, di stampo wittgensteiniano, conseguendo contemporaneamente due obiettivi: rendere giustizia dei molti postmoderni che dietro l’etichetta ‘postmoderno’ si nascondono e delimitare il postmoderno filosofico.