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P HILOSOPHIE DES S TATTDESSEN

1.3 L O S CETTICISMO ESISTENZIALISTA

1.3.2 P HILOSOPHIE DES S TATTDESSEN

Marquard ha più volte sottolineato l’inevitabilità delle scienze dello spirito e ripetuto in diverse occasioni che quanto più il mondo diventa moderno, tanto più le scienze dello spirito sono inevitabili per la funzione compensatoria che rivestono. Questa tesi da un lato ha riscosso un certo successo politico (in termini di finanziamenti alle scienze dello spirito), ma dall’altro ha sollevato una serie di critiche da parte degli stessi scienziati dello spirito. Per rispondere alle obiezioni dei suoi critici, Marquard ritorna quindi più volte nel corso degli anni a sottolineare il significato proprio della sua tesi. Chi non vuole riconoscere il ruolo compensatorio che le scienze delle spirito hanno – sospetta Marquard – teme forse di perdere un

61 Ivi, p. 77, trad. it. cit. pp. 145-146.

62 O. MARQUARD, Homo compensator. Zur anthropologischen Karriere eines metaphysischen Begriffs, in Philosophie des

ruolo molto più importante e prestigioso di quello che la teoria della compensazione assegna alle scienze dello spirito.

La teoria della compensazione può essere espressa attraverso un «teorema del mantenimento»:

la quantità di x rimane – quantomeno nel lungo periodo – costante, dal momento che la diminuzione da un lato è sempre bilanciata dall’accrescimento dall’altro lato. Un esempio complesso è questo: nel mondo moderno il «disincanto» della realtà condizionato dalla razionalizzazione (Max Weber) è bilanciato dallo sviluppo tipicamente moderno del potenziale «estetico» di fascinazione: il saldo di incanto e disincanto rimane per così dire costante.63

Detto in altri termini: per la teoria della compensazione, aumento e diminuzione, positivo e negativo si bilanciano sempre in un nulla di fatto. E se l’oggetto da compensare è qualcosa di negativo, la teoria di Marquard non può e non vuole salvarci da esso. Per questo motivo essa è stata rifiutata da coloro che pretendono di fare delle scienze dello spirito la misura assoluta della liberazione. Questi ultimi non si rendono conto che le compensazioni non sono, per loro natura, soluzioni definitive ma «provvedimenti e processi umani».

Colui che vuole qualcosa di più che compensazioni, fomenta l’illusione dell’assolutezza nel campo della finitezza umana, ossia la mania di grandezza. Colui che […] a questa mania di grandezza rinuncia, non priva l’uomo di alcuna assolutezza, poiché questa assolutezza egli non l’ha di certo.64

La teoria della compensazione definisce, destina, designa [bestimmt] l’uomo come quell’essere vivente che: invece di trionfare, compensa; invece di creare dal nulla, annoda i pezzi che la tradizione mette a sua disposizione; invece di universalizzare, pluralizza. E inoltre la teoria della compensazione invece di condurre ad una filosofia della totalità, conduce ad una cultura delle «reazioni limite». Con questo termine Plessner definisce il riso: quando si ride di qualcuno si segnano i confini tra ciò che è ridicolo e ciò che è normale, ma quando si ride di se stessi o si ride umoristicamente i confini tracciati dalla derisione cadono. Il vecchio compito della filosofia, pensare il Tutto, non viene interamente abbandonato dalla filosofia della compensazione, bensì messo 63 O.MARQUARD, Philosophie des Stattdessen. Einige Aspekte der Kompensationstheorie, in Philosophie des Stattdessen, cit., p. 34.

in discussione: perché il Tutto possa essere veramente pensato, si deve abbandonare la vecchia concezione metafisica che lo intende gerarchicamente (come Cosmo, Creazione o Sistema) e obbligarsi a non lasciare niente di inosservato, a non escludere nulla. In questo senso la filosofia della compensazione è una cultura di quelle «reazioni limite», che, come il riso, si innescano quando si tracciano, si oltrepassano e si ricostituiscono confini. La filosofia della compensazione è dunque «invece che una filosofia assoluta, “soltanto” una filosofia dell’invece che».65

Quest’ultima è l’unica filosofia veramente contemporanea, se è vero che essa – come dichiara implicitamente Marquard – rappresenta l’ultima tappa cui la storia della filosofia è giunta. Se «la storia della filosofia è la storia della riduzione della competenza della filosofia»,66 allora l’unica filosofia degna di essere definita

contemporanea sarà quella filosofia che riduce la competenza della filosofia alla mera «competenza di compensazione dell’incompetenza».67

All’inizio la filosofia pretendeva di essere competente per ogni cosa, ma poi, sfidata dalla teologia sul piano della redenzione (può la filosofia salvare?), dovette ridurre le proprie competenze al livello dell’uomo e della natura; sino a quando non fu sfidata e sconfitta anche in questo campo dallo sviluppo scientifico e tecnologico (può la filosofia modificare la natura?). A questo punto l’unica competenza rimastale, dopo «l’ammissione della propria incompetenza»,68 è la paradossale competenza di

compensare l’incompetenza che essa stessa è. Ci possono essere due modi radicalmente differenti di intendere questa competenza compensatoria: essa può essere intesa dogmaticamente o scetticamente. Chi considera dogmaticamente la competenza della filosofia non può che ricadere nell’errore di fare di essa un’istanza assoluta, mentre chi – come Marquard – la considera scetticamente ritiene che la filosofia sia un nulla che tuttavia è ancora in grado di vivere, una filosofia del nonostante, o meglio, dell’invece che. Una filosofia che sia a misura d’uomo concreto. L’uomo è antropologicamente costituito in modo tale che se deve fare qualcosa invece

che qualcos’altro, può e sa sempre farlo. Allo stesso modo la filosofia dopo la

65 Ivi, p. 45. 66 Ivi, p. 24

67 Cfr. O. MARQUARD, Inkompetenzkompensationskompetenz, in IDEM, Abschied vom Prinzipiellen, cit., pp. 23-38. Questo saggio è stato escluso dall’edizione italiana dell’antologia che in originale lo contiene: vedi sopra, nota 5.

Filosofia compensa questa perdita teorizzando su di essa, compensandosi continuamente.

Filosofia è pensare nonostante i paraocchi che portiamo e che ci impediscono di vedere la realtà; il tentativo – o quanto meno un tentativo – di fare cadere questi paraocchi; essa è in questo senso il tentativo di sottrarsi alla fatica di rimanere stupidi.69