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E STETIZZAZIONE DELL ’ ARTE

1.4 DELL ’ ANAESTHETICA

1.4.1 E STETIZZAZIONE DELL ’ ARTE

Marquard presenta la sua tesi sull’«estetizzazione dell’arte» scomponendola in quattro brevi tesi. L’estetizzazione dell’arte:

a) compensa il «disincanto» moderno del mondo, b) compensa la perdita escatologica del mondo,

c) è un momento di quel processo che consiste nel risarcimento dei mali,

d) è la salvazione della giustificazione tramite le opere in seno al protestantesimo (luterano).

(a)

La prima tesi non è originale, ma è ripresa dal maestro Ritter, dalle cui lezioni di estetica, come abbiamo visto sopra, Marquard aveva tratto spunto per le sue riflessioni successive sulla nozione di compensazione. Gli aspetti magici della realtà, che la Modernità ha congedato come irrazionali, decretando ed imponendo il razionale disincanto, vengono salvati dalla nascita dell’estetica. Basta leggere le pagine di Kant sul sublime dinamico o quelle di Hegel sul passaggio dalla «religione artistica» alla «religione rivelata» per capire quanto questa prima tesi sia fondata.

(b)

La seconda tesi è meno fondata della prima sul piano testuale, ma gode di una sua suggestività. Marquard accomuna l’escatologia biblica alla moderna e odiosamata filosofia della storia. A legarle è la tribunalizzazione del mondo esistente. La versione biblica dell’escatologia infatti nega il valore dell’aldiquà trasponendolo tutto nel mondo di là da venire, e la versione moderna dell’escatologia, parimenti, ripudia i valori del mondo esistente, considerandoli falsi, e promette di realizzare quelli veri attraverso la rivoluzione. L’estetizzazione dell’arte, a parere di Marquard, andrebbe

nella direzione opposta ed avrebbe contribuito alla salvezza dei diritti del mondo dell’aldiquà e dei diritti della sensibilità. È facile però obiettare a questa tesi che l’estetizzazione non si limita soltanto a questo. Oltre a salvare il salvabile, attraverso un processo di selezione e ricomposizione di ciò che è residuale, di ciò che rimane di questo mondo dell’aldiquà, l’arte crea un mondo ulteriore. E lo fa proprio a partire da qui, dal mondo esistente. Ma non per questo essa lo giustifica come il migliore dei mondi possibili. Come si spiegherebbero allora i casi di quegli artisti che hanno fatto e continuano a fare della tribunalizzazione del mondo esistente il loro cavallo di battaglia?

(c)

La terza tesi si ispira alla concezione di Blumenberg della modernità come «secondo superamento della gnosi». Il filosofo «leggibile, ma non visibile»74, ha

sostenuto, dopo aver dedicato all’argomento un ventennio di studi, che la «legittimità della modernità»75 deriva dal fatto di aver definitivamente superato il dualismo

gnostico di Male e Bene che Agostino non era riuscito a superare. L’africano romano convertitosi al cristianesimo aveva, com’è noto, tentato di superare il manicheismo a cui egli stesso aveva in un primo tempo aderito, attribuendo la responsabilità del male morale all’uomo. Tale tentativo era logicamente destinato a fallire, poiché se Dio è il Creatore dell’universo e dell’uomo, deve anche essere l’artefice dell’inclinazione umana al male. Secondo Blumenberg, è solo con l’autoaffermazione [Selbstbehauptung] dell’uomo copernicano che il secondo, e definitivo, superamento della gnosi si realizza, perché è del concetto di Creatore che ci si sbarazza definitivamente. Nel vuoto degli spazi incommensurabili scoperti dalla teoria eliocentrica s’impone la necessità di una progettualità tecnico-produttiva e fin troppo umana, dalla quale soltanto può scaturire la felicità e la moderna salvezza. Marquard trae dalla teoria di

74 F.J.WETZ, Hans Blumenberg zur Einführung, Junius, Hamburg 1993, p. 7.

75 I risultati della riflessione di Blumenberg sulla modernità, dapprima pubblicati in articoli e contributi vari, confluiranno in: H.BLUMENBERG, Die legimität der Neuzeit, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1966 (prima ed.), 1973 (seconda ed.), 1976 (terza ed.), trad. it. La leggitimità dell’era moderna, Marietti, Genova 1992.

La traduzione italiana si basa sull’edizione riveduta e ampliata pubblicata da Suhrkamp nel 1988 che raccoglie in volume unico: Säkularisierung und Selbstbehauptung. Erweiterte und überarbeitete Neueausgabe von »Die Legimität der

Neuzeit«, erster und zweiter Teil, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1983 (a sua volta, edizione riveduta della prima edizione

di un volumetto pubblicato nel 1974); Der Prozeß der theoretischen Neugierde. Erweiterte und überarbeitete Neueausgabe von

»Die Legimität der Neuzeit«, dritter Teil, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1980 (a sua volta, edizione riveduta della prima

edizione di un volumetto pubblicato nel 1973); Aspekte der Epochenschwelle: Cusaner und Nolaner. Erweiterte und

überarbeitete Neueausgabe von »Die Legimität der Neuzeit«, vierter Teil, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1982 (a sua volta,

Blumenberg una conseguenza abbastanza discutibile quando afferma che l’epoca moderna è «obbligata a fornire la prova della bontà di Dio attraverso la dimostrazione dei beni del mondo»76, perché il problema della bontà di Dio nel

mondo moderno semplicemente non si pone più, aprendo la scena al problema, ben più drammatico, dell’uomo, dei suoi beni e dei suoi mali. Secondo Marquard nella modernità vengono risarciti:

il male gnoseologico (nel funzionalismo, ad esempio, vediamo che acquista un peso positivo e crescente l’errore); il male fisico (che diviene modernamente, ad esempio, uno stimolo alla creatività); il male morale (dal momento che, ad esempio per Rousseau e per Nietzsche, la cultura mente trasformando in male il bene, la natura e la forza, allora il bene si libera di questa menzogna con la dimostrazione che il male non è tale); il male metafisico (la finitudine con la sua autenticità viene apprezzata positivamente: la mutabilità, ad esempio, viene positivamente qualificata come storia). Viene risarcito, infine, il male estetico.77

Qualcosa di fondamentale del discorso di Blumenberg viene tralasciato qui da Marquard. Il moderno risarcimento dei mali non è indolore. I mali non diventano improvvisamente beni, solo perché si afferma e si dimostra che il sole è al centro dell’universo. Sebbene splenda, visto dalla terra, non emana di certo strali di luce e di bene sui mali del mondo!

Inoltre, ritengo che il processo di estetizzazione dell’arte abbia molto poco in comune con il moderno risarcimento dei mali, anche qualora si volesse prendere per buona la conseguenza che Marquard trae dalla lezione di Blumenberg. È riduttivo affermare che «il non bello supera il bello come valore estetico» solo perché «viene sempre più in primo piano l’estetica del non bello: il sublime, il sentimentale, l’interessante, il romantico, l’astratto, il brutto, il dionisiaco, il frammentario, lo spezzato, il non identico, il negativo». L’estetica non si è mai posta l’obiettivo di stabilire primati tra bello e brutto in campo artistico, e solo in alcune fasi del suo sviluppo si è preoccupata dell’elaborazione di categorie da applicare alla produzione artistica. E tra queste categorie rientrano quelle che Marquard riconduce, senza differenziarle, al minimo comune denominatore del non bello: il dionisiaco, per fare solo un esempio, è una categoria di origine mitologica che può essere imparentata ad

76 O.MARQUARD, Aesthetica und Anaesthetica, cit., p. 14, trad. it. cit., p. 25. 77 Ibidem

una categoria di origine storico-artistica come quella di spezzato solo forzatamente. Pare che Marquard voglia di proposito ridurre il «non bello» alle «arti non più belle» e viceversa, sennonché il primo è un tema che interessa l’estetica da sempre, mentre le seconde sono soltanto uno degli argomenti che la storia dell’arte ha offerto alla riflessione filosofica. La competizione tra bello e non-bello che Marquard immagina, e la vittoria del secondo sul primo che Marquard decreta, in realtà non si è mai posta e, di conseguenza, non è mai terminata. Tra il bello ed il suo negativo, così come tra l’estetica e l’anestetica, il rapporto è dialettico e non dispotico.

(d)

La quarta tesi è quasi buffa. Secondo Marquard non è un caso che l’estetica nasca in ambito luterano perché il precetto sola gratia, sola fide, annullando il valore delle opere buone, ha creato un vuoto che qualcos’altro avrebbe dovuto compensare, e a differenza del calvinismo, che ha salvato il valore religioso delle opere buone attraverso l’ascesa profana del capitalismo, e a differenza del cattolicesimo, che non ha mai messo in discussione il valore delle opere buone, il protestantesimo luterano lo ha salvato attraverso l’estetica.

La giustificazione attraverso le opere non aveva bisogno di essere salvata in ambito cattolico, mentre sul terreno della Riforma protestante, soprattutto nel calvinismo, essa si salvò in modo complicato nell’«ascesi intramondana» del capitalismo (Max Weber). Dove nessuna di queste due vie era a disposizione – dunque nel protestantesimo luterano – il dominio estetico dovette letteralmente venire inventato per conservare l’importanza ai fini della salvezza delle opere buone.78

Si possono muovere diverse obiezioni. Innanzitutto, non si capisce perché Marquard sostenga qui che «la giustificazione attraverso le opere» non aveva bisogno di essere salvata in ambito cattolico, se poi, poche righe dopo (quando passa dalle tesi sull’estetizzazione dell’arte a quelle sull’estetizzazione della realtà) parla della venuta di Cristo come della «soppressione del divieto cristiano dell’autoredenzione umana».79

Se la venuta di Cristo sulla terra rappresenta «quell’unica grande opera divina – l’unica buona in assoluto»80 che apre le strade all’autoredenzione umana, allora prima di

78 O.MARQUARD, Aesthetica und Anaesthetica, cit., p. 15, trad. it. cit., p. 26. 79 Ivi, cit., p. 16, trad. it. cit., p. 27.

Cristo il valore delle opere buone aveva bisogno di essere salvato, ed è per questo che viene sulla terra. È solo ad un certo punto della storia del cattolicesimo che il valore delle opere non ha più bisogno di essere salvato al suo interno.

Quanto al calvinismo, si potrebbe anche sostenere, da una prospettiva più marcatamente marxista e a differenza di quanto ritiene Marquard con Weber, che esso non ha salvato il valore delle opere buone attraverso l’ascesa del capitalismo, ma, viceversa, che è stato il capitalismo a salvare il calvinismo, legittimandone i suoi principi teologici attraverso la distruzione del valore religioso delle opere buone e la loro valorizzazione economica. Da un punto di vista laico, il valore religioso e quello economico delle opere buone sono infatti indirettamente proporzionali; è solo incarnando il punto di vista calvinista che coincidono: solo il calvinista crede di guadagnarsi il paradiso attraverso la produzione di capitale e non tutti i capitalisti invece si dedicano all’accumulo di ricchezze per ispirazione religiosa.

Se poco convincenti risultano le osservazioni su cattolicesimo e calvinismo, ancor meno lo sono quelle sul protestantesimo luterano. Anche se può essere accettato come un dato di fatto storico che l’estetica sia nata in ambito luterano, e sebbene sia tipico di alcuni artisti attribuire alle loro opere significati “salvifici”, stabilire una relazione tra questi due fatti, l’uno storico e l’altro artistico, per affermare che l’estetica sia nata per salvare il valore religioso delle opere buone, è quantomeno «fortemente esagerato».81