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2 Geografia nel testo

2.3 La credibilità della descrizione paesaggistica

2.3.3 Un paesaggio concreto

Corrado Alvaro è così legato alla sua terra che la si ritrova, esattamente come descritta nelle novelle, non solo nelle opere teatrali (ancora più lontane dalla dimensione reale), ma anche negli scritti più realistici, come i suoi diari, gli articoli di giornale o i saggi scolastici. Ragion per cui non si può parlare di visione fantastica dell’Aspromonte, ma di mirabile originalità descrittiva. C’è chi si ostinerà a considerare Alvaro «radicato nel Meridione e non meridionalista, radicato nel proprio

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tempo ma dolorosamente impegnato nello sforzo di superarlo e di opporsi alle mode e alle ideologie correnti, durante e dopo il fascismo» (Cassata, 1979, p. 181), ma è indiscutibile che mai nessuno seppe come lui, con così tanta vivacità e precisione di dettagli, rendere il paesaggio di Calabria protagonista dell’opera. La dimensione personale da cui prende le mosse dà un incredibile documento di realtà, da cui è possibile poi individuare anche le condizioni generali della realtà meridionale. Si può parlare quindi di «naturalismo colto»:

Ne venne un faticoso tirocinio che, per una parte, poté essere sostenuto e guidato da ragioni ed evidenze d’intelletto e cultura. Ma che, per un’altra parte, e la massima, si raccomandava al fiuto, all’intuizione; a quelle qualità sensuali, e starei quasi per dire animali, di contatto con la realtà, che tuffano con le loro radici dentro il fondo regionale e naturalistico di questo temperamento. Un simile incontro di naturalismo regionale ed europeismo s’era già dato, e fermentava, negli stessi anni, in Pirantello; ma da una sensibilità più amara, con u mordente intellettuale più dialettico e sofistico, e con un bisogno di risalti e contrasti violenti. (Ibidem, p. 209)

Un calabrese primitivo ma intellettuale, il quale fa della sua curiosità paesana un mezzo per entrare in contatto con la realtà, ma che preferisce vivere nella penombra, poiché il suo calabrese complesso di inferiorità lo rende incapace di esprimere la sua ricchezza interiore. In realtà Alvaro ne è capace eccome, vista la grande considerazione che fin da subito ha acquisito Gente in Aspromonte, tanto che lo stesso Montale ne stilerà un elogio:(Ibidem, p. 216). Corrado Alvaro è lo scrittore in grado di mescolare le acque senza perdere sé stesso, proprio perché il suo punto di riferimento principale è la Calabria. Una terra descritta con la pietas di chi ci si rifugia dopo aver esperito il diverso, e il naturalismo di chi coglie direttamente la realtà, con tutti i suoi misteri, senza filtri.

Il territorio calabrese, dalle caverne di montagna fino al mare burrascoso, passando per i campi seminati o le vallate selvagge, è la fonte di vigore della letteratura alvariana, la quale altro non è che esperienza reale di una terra mitica:

Se per ogni scrittore, che abbia avuto o abbia peso nella storia letteraria, la geografia della propria infanzia dedotta dai luoghi in cui è nato e ha vissuto la sua prima adolescenza, assume una importanza tutta particolare, nel caso di Corrado Alvaro queste componenti risultano

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essenziali e determinanti, oltre che di estrema utilità per poter localizzare per intero l’area culturale entro la quale è andato sviluppando la sua poetica. (Mauro, 1976, p. 19)

Sono gli occhi del fanciullo-Alvaro a scrutare questo mondo: l’innocenza infantile trasfigura liricamente il reale, tutto assume un’aria sublime. Egli è solo nello scoprire la natura, il primo contatto con l’altro avverrà in collegio e sarà così traumatico (nello svelare la diversità) che fin da subito vorrà tornare al riparo nella natura. Alvaro, secondo Mauro, media la realtà con la psiche, come Pirandello, e la descrive secondo il linguaggio interiore, seguendo Joyce. Ma quando ci si addentra nelle pagine dell’opera si scopre che non è lo scrittore a cogliere la natura, bensì quest’ultima a trasportarlo con sé, sulle mulattiere diroccate, nella corrente di un torrente in piena, nel bosco odoroso e labirintico. È un richiamo che si fa tanto più forte quanto più ci si allontana da quei luoghi: è in Germania che nasce l’idea di Gente in Aspromonte, una terra così fredda ed alienante che egli sente la necessità di far vedere agli altri la cultura del Sud, coi suoi antichi valori radicati nella terra. La realtà dell’esilio non permette la fuga, ma la letteratura sì. La Sua letteratura, quella del sentimento sincero di attaccamento alla terra, non quella contemporanea che sa di trattato storico-sociale. La diversità alvariana non è solo fisiologica ma culturale, tant’è che preferirà l’isolamento, alla nuova corrente del neorealismo, secondo cui l’unico modo per riscattare il Meridione era «ridurre al grado minimo l’incidenza della fantasia poetica sulla progettazione dell’opera realista, localizzando invece l’intero processo conoscitivo entro una sfera cristallizzata donde non è possibile alcun genere di evasione» (Ibidem, p. 53); concetto decisamente opposto alla celebrazione accorata del nostro. L’unica salvezza è il ritorno alla realtà mitica dell’infanzia, dove l’uomo può chiudersi in sé stesso senza risultare asociale, poiché lì ognuno è chiuso nel proprio dolore, un dolore che si fa dunque collettivo. L’unico riscatto sta nelle capacità dello scrittore che permettono di comunicare agli altri sempre e comunque. Il suo strumento è la mimetizzazione, la quale

Rappresenta in realtà lo strumento espressivo più valido che Alvaro possegga per liberare la sua opera da quelle ipoteche caratteristiche della narrativa meridionale che si definiscono comunemente nei termini di folclore, di troppo facile impegno sociale, di enunciazione, soprattutto di un «dolore» che difficilmente riesce a superare le barriere di una letteratura fine

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a se stessa. d’altronde, c’è da tener presente che Alvaro, proprio per queste ragioni, ha sempre rifiutato l’etichetta di «scrittore meridionale», in virtù della libera esplicazione di una letteratura di messaggio impostata su fondamenti del tutto diversi […]. (Mauro, 1976, p. 162)

In conclusione, l’unica lotta possibile avviene a livello letterario: egli modifica il contenuto della sua arte portando al centro la Calabria fisica, lontano da qualsiasi presa di posizione. Il rapporto di amore-odio col suo Sud fu al centro del dibattito culturale del ‘900; la sua solitudine e il suo dramma cittadino però non lasciano dubbi: l’odio per la chiusura mentale calabrese, per la società corrotta e per l’invidia paesana soccombe dinanzi alla nostalgia per il paese, all’orgoglio di appartenere a quell’unicità, al profondo e sofferto amore per la terra che ispirò ad Alvaro la stesura, di getto, di un capolavoro di calabresità quale Gente in Aspromonte. Concludendo, riferendosi al distacco che si percepisce quando subentra la storia,

Si sbaglierebbe, tuttavia, se si considerasse un puro dato sincronico, invariante nell’opera alvariana, tanto rigore ideologico, o, peggio ancora, se lo si assumesse come unico e coerente vettore tematico di Gente in Aspromonte: esso va considerato come una labile e precaria conquista dello scrittore calabrese, non tanto radicale, comunque da soppiantare ogni altra

sentimentale posizione in merito alla fascinazione, su di lui esercitata da quel «mondo

primitivo». E basterebbe soffermarsi sulla amorevole sollecitudine con cui, nel recitativo iniziale del racconto, l’intellettuale inurbato rievoca, variegandolo di forti cromature espressionistiche, il paesaggio della montagna calabrese, per rendersi conto dell’ambiguo (ma avvolgente e ineludibile) legame umbelicale dello scrittore con la sua terra […]. (Rando, 1984, p. 737)

la natura, quasi prepotentemente, appare ovunque nei racconti, la storia di un personaggio si frammenta in tante situazioni minori che affievoliscono la trama a vantaggio dell’immane contemplazione paesaggistica; l’espressione si fa più primitiva, le immagini più violente: la natura, insomma, conquista il testo.

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