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4 Dalla realtà al testo

4.2 Il tragitto dei pastor

Il primo vero viaggio sentimentale collegato ad Alvaro (considerando che Polsi è sempre stata meta di migliaia di devoti) è un sentiero, percorribile a piedi, che riprende l’antico percorso intrapreso dai pastori per arrivare sui pascoli in montagna; è detto “delle solitudini”, e se si legge Alvaro se ne comprende bene il motivo: gli uomini dei pascoli «stanno accucciati alle soglie delle tane, davanti alle soglie delle tane, davanti al bagliore della terra, e aspettano il giorno della discesa al piano» (Alvaro, 2000, p. 3) lasciando la famiglia per ad attenderli in paese, sapendo che dovrà passare il lungo inverno prima che si possano rivedere. Partendo proprio dalla piazzetta di fronte la casa del Sanluchese, «si scende in un breve e stretto vicolo dietro la chiesa, e s’imbocca l’antico tratturo lastricato in pietra locale, con i suoi muretti a secco laterali» (Nocera, 2005, p. 83). Dalla Fontana della Costa si procede verso un’altra fontanella, ormai secca, ma che doveva essere ancora fruibile ai tempi di Alvaro visto che risale alla metà dell’800. Da qui si prosegue affiancando il vallone della Fontana,

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un corso d’acqua perenne che porta dritto ad un vecchio mulino ad acqua, il quale fa capire nonostante il tragitto percorso di essere ancora troppo vicino al centro abitato (infatti lì vicino, alla Pietra di Lucifero, sorgeva una necropoli preistorica, distrutta dalle colture). Ebbene, si deve procedere ben oltre i due palmenti incontrati vicino ad un altro mulino ad acqua per arrivare finalmente nel fitto bosco di querce e lecci, l’anticamera all’immersione totale nella natura selvaggia. Sui terrazzamenti è possibile vedere lontani gli uliveti, ma in località S. Giovanni, proprio sui ruderi di Potamia, il sentiero, che dovrebbe continuare molto più in là sulle cime dei monti, scompare inghiottito dalle alluvioni, ormai impercorribile. Per non lasciare il percorso a metà è bene proseguire comunque (piuttosto che verso l’interno) in direzione della fiumara, partendo dalla strettoia di Pezzi, arrivando così a conoscere la bellezza unica del Lago Costantino, seguendo il percorso acciottolato rimasto ancora percorribile, il quale «con un ultimo tratto acciottolato, torna alla fiumara in località S. Gianni, dove solitamente termina la pista carrabile che viene da S. Luca» (Bevilacqua-Picone Chiodo, 1999, p. 147). Ovviamente non c’è alcun riferimento nei testi alvariani a questo lago: esso ha origine nel 1973 da una frana di 16.000.000 m3, causata da una terribile alluvione che distrusse la località da cui prende il nome la distesa acquosa.

Quello che interessa di questo sentiero, oltre al fatto che molti escursionisti passano a far visita alla casa natale di Alvaro (vista la vicinanza con il Lago Costantino), è la prima parte del percorso, quella più vicina all’abitato, che probabilmente ispirò alcune scene memorabili della raccolta. Innanzitutto nell’incipit di Gente in Aspromonte, parlando della stradina che i pastori nelle giornate ancora chiare risalgono per tornare ai pascoli, il passaggio dei buoi si riveste di leggenda, diventando scosceso e descrivendo una scena da presepe, tanto che «ben modellati e bianchi come sono, sembrano più grandi degli alberi» (Alvaro, 2000 p. 4): non è specificato che si tratti proprio del pezzo di strada sopracitato, ma essendo il punto in cui si apriva la via dei pastori è molto probabile che sia stato questo la fonte di ispirazione di Alvaro. Potrebbe essere lo stesso scenario che, a metà tra montagna e paese, abbraccia il lamento degli sfruttati, quando la terra pronta dei campi diventa gialla e «i colli cretosi crepano aridi» (Ibidem, p. 12), quasi a voler simboleggiare quanto la sete dei ricchi finisca per distruggere il paesaggio stesso con lo sfruttamento continuo. Questo tratto di strada che separa la civiltà dalla natura (figura 13) pura crea

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il primo contatto con una realtà altra, isolata dal caos del paese, dove possano rivelarsi gli istinti più primigeni e i sentimenti spontanei: è la stradina che, subito dopo la piazzetta, porta alcuni bambini curiosi ad un ruscello (figura 8), dove magari «si cominciò un altro giuoco, quello di fare ponti e canali e orti […]» (Alvaro, 2000, p. 32). Qui, per assecondare i sentimenti dei fanciulli che per la prima volta si approcciano al corpo femminile, il luogo è appena accennato, precisando pochi ma reali e concreti elementi naturali (il ruscello, l’aquilotto, gli alberi e l’erba tipici del greto della fiumara), per concentrarsi sulla fisicità dei personaggi: il tutto è calato insomma nella dimensione più vera, quella materiale. È il posto perfetto «fra gli oleandri del torrente» (Ibidem, p. 56), dove due innamorati possano sfuggire agli sguardi indiscreti e lasciarsi andare agli istinti carnali, dove la natura, per creare una dimensione a-parte per gli amanti, si trasforma in un luogo incantato agli occhi della Schiavina: ecco allora piante strane d’un altro regno, spiazzi segreti che fioriscono e nessuno lo sa. La novella che sembrerebbe del tutto ambientata nella zona descritta, come si evince facilmente dal titolo, è La pigiatrice d’uva: questa infatti si svolge totalmente in un palmento, il quale diventa «il primo convegno di vespe che salivano stordite alla superficie dei grappoli» (Ibidem, p. 67), come se volesse introdurre un’atmosfera di idillio dionisiaco, l’unica in grado di far impazzire una fanciulla fino a farle desiderare di fuggire dalla sua vita. Il luogo, sebbene descritto in modo quasi fantastico, con gli insetti che danzano ebri come i lavoratori esaltati dalla vendemmia, e il vigneto che diventa una stanza segreta piena d’inquiete suggestioni, richiama i due palmenti nascosti sul sentiero vicino al bosco, proprio per il suo essere talmente lontano dal paese da risultare un paradiso in terra. Ad avvalorare questa supposizione c’è la considerazione che ci si trova ancora a bassa quota, essendo continui i riferimenti all’arsura provata dalla pigiatrice (comunque presagio di un’inquietudine profonda), ma soprattutto la puntualizzazione sulla posizione della protagonista, un colle dal quale raggiungere un piano dove risuonano gli armenti «accanto al luccichio delle pietre aride del torrente» (Ibidem, p. 69). Si aggiunge poi la lontananza delle vigne rispetto invece alle «ombre dei monti e degli alberi» (Ibidem, p. 70), da qui si deduce che comunque ci si è addentrati lontano dall’abitato, nonché il forte odore di foresta selvaggia intorno, forte appunto perché incrementato dallo sbandamento della fanciulla alla visione del giovane padrone. È interessante notare che quest’ultimo «già

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batteva il terreno cretoso» (Ibidem, p. 71), quindi è possibile che ci si riferisca ad un terreno vicino ad un corso d’acqua, una messa a fuoco non casuale perché punta l’attenzione su un elemento viscido, come viscida è la fuga del giovane che inconsapevolmente abbandona una giovane innamorata alla sua disperazione. Mentre in altri racconti alvariani il riferimento è esplicito (come per la sorgente nella valle che si vede in Santa Venere, ai ruderi di Potamia ne La cavalla nera), è innegabile che ci siano corrispondenze anche nella raccolta analizzata. Si nota dunque che si tratta di riferimenti geografici appena accennati, ma pur sempre concreti: è impossibile infatti visitare quei luoghi e non farvi materializzare (seppur solo con la fantasia) la pigiatrice ed il suo burbero spasimante, pronto a colpirla al suo prossimo lamento.