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4 Dalla realtà al testo

4.1 La via dei pellegrin

Leggendo le novelle di Gente in Aspromonte, il primo riferimento che salta all’occhio del visitatore, o di chi conosce le zone, sicuramente è quello al Santuario della Madonna di Polsi (figura 9), ai piedi del Montalto. Si tratta di un romitorio di monaci bizantini i quali, fuggiti alle persecuzioni di imperatori, o saraceni, si

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stabilirono in quel luogo impervio per trovare un rifugio sicuro. Naturalmente, come ogni località antica, questo santuario è legato ad una leggenda che i Sanluchesi tramandano con orgoglio, tant’è che Alvaro stesso la riporta sul suo sussidiario per la scuola:

Il degno superiore ci offerse una medaglia ed una immagine della Madonna di Polsi. Il dipinto originale fu, secondo la leggenda, scoperto da un pio bove, il quale seppe attrare uno dei primi conquistatori Normanni di Sicilia dalla lontana Reggio fino a questo luogo, allo scopo di indurlo a fabbricarvi un convento. L’ottimo bove condusse il principe di colle in colle, finchè non ebbe raggiunto la località voluta, ove esso, inginocchiandosi, scavò con le corna la terra, scoprendo il ritratto della Vergine Maria che miracolosamente attendeva il suo liberatore. (Alvaro, p. 41)

C’è però anche la variante della storia, risalente al XII secolo, secondo cui fu un pastorello a rinvenire una strana Croce di ferro (oggi conservata al Santuario) proprio dove sorge oggi la chiesetta della Madonna della Montagna, reliquia dissotterrata da un torello (Nocera, 2005, p. 58). Questo sito fu per molti secoli gestito da monaci di S. Basilio Magno, che ivi praticavano il rito greco. Nel XV secolo passò nelle mani di Abbati commendatori che s’interessarono soltanto alle rendite che questo luogo di culto, il primo in Aspromonte nonché il solo ad attrarre pellegrini addirittura dalla Sicilia, riusciva a procurare. Questo periodo di declino venne arrestato dalla personalità di Idelfonso del Tufo, Vescovo di Gerace: questi nel XVIII secolo ingrandì la chiesa per adeguarla al numero sempre maggiore di visitatori, impreziosendola «con stucchi e decorazioni, secondo l’uso del tempo» (Ibidem, p. 59); risollevò il convento dalla miseria; rianimò il culto di Maria della Montagna facendo diventare quel sito il santuario mariano più famoso dell’intera regione. Con l’avvento dei Borboni purtroppo venne istituita la Cassa Sacra, che con l’ideale intento di raccogliere fondi per le popolazioni colpite dalla frana del 1783 portava vantaggi soltanto ai già arricchiti funzionari della stessa: tutti gli arredi e gli oggetti preziosi, insieme al bestiame e alle derrate alimentari, vennero requisiti ed il Santuario cadde nuovamente in bassa disgrazia. Nonostante le razzie è ancora possibile trovarvi molti oggetti dal valore inestimabile: uno stupendo simulacro della Madonna in tufo, portato lì (secondo Alvaro stesso che dedicò il suo primo scritto al Santuario, un opuscolo intitolato Polsi

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nell’arte, nella leggenda e nella storia) nel XVI secolo, di manifattura napoletana o siciliana; donata nel 1751 da Fulcone Antonio Ruffo è la statua lignea che viene portata in processione; la leggendaria Croce di ferro trovata dal bue, dall’aspetto unico ed irregolare; un’icona della Vergine col Bambino; la particolare Via Crucis in bassorilievi bronzei, che si snoda tra castagni e querce (opera del calabrese Giuseppe Correale, il quale incise anche le porte con i miracoli della Madonna); i cancelletti dell’altare maggiore, opera di Vincenzo Jeraci; infine, in un museo all’interno del convento, ex voto che testimoniano la storia antica del Santuario. Il luogo, per via della zona impervia in cui si trova, è difficile da raggiungere, soprattutto nei periodi invernali; tuttavia tra il 30 Agosto e il 2 Settembre ci sono ancora molti pellegrini che si incamminano per onorare la Madonna, una colonna di uomini che, a piedi o con vari mezzi, raggiungono quel luogo isolato per pura devozione. Una volta arrivati, si dà inizio a canti e balli in onore della Vergine della Montagna e un tempo era possibile vedere un bue (in ricordo delle origini miracolose del luogo) essere portato di fronte all’altare per inginocchiarsi alla Santa; ma soprattutto si assisteva al voto della strusciata, una donna vestita di nero che piangendo percorre l’intera navata strusciando la lingua in terra, come voto per la guarigione di qualche parente malato (Verdiani, 1988, p. 61). È decisamente una delle feste più folcloristiche della Calabria, ma comunque ispirata da tanta devozione, essendo davvero difficile raggiungere il sito.

L’edificio, proprio al di sopra del Buonamico, è chiuso da boschi e montagne, in completo isolamento nella natura, tra rupi rivestite di verde che creano l’atmosfera ideale per il raccoglimento spirituale:

[…] tra il 30 agosto e il 2 settembre, quando ricorre la festa, si arriva anche a 50.000 presenze trasformando l’anfiteatro naturale in cui è posto il Santuario in un enorme calderone di grida, canti, balli, odori, gesti, colori. Tutto ciò trasporta il visitatore in un’atmosfera da rito primordiale. Lungo il torrente, infatti, vengono uccise centinaia di capre il cui sangue tinge di rosso l’acqua. (Bevilacqua-Picone Chiodo, 1999, p. 133)

Per raggiungere il luogo si impiegano tre ore andata e quattro ritorno, se si intraprende la via dei pellegrini: il sentiero percorribile oggi riprende l’antica mulattiera che saliva a Polsi, introdotto da una piccola radura tra i faggi. Qui tratti di

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foreste si alternano a terrazzamenti coltivati, fino a salire poi nella zona del pino laricio, ammirando, nel tratto dove la vegetazione è più rada, il pittoresco edificio immerso tra le felci. È possibile comunque che Alvaro abbia raggiunto il Santuario qualche altra volta seguendo il percorso che tocca la Fontana della Pregna, dato il fatto che diversi erano i percorsi che collegavano la Calabria a Polsi:

Erano infatti numerosi i sentieri percorsi, fino a qualche decennio fa, dai pellegrini che si recavano a Polsi. Giungevano infatti da ogni parte della provincia e anche dalla Sicilia per cui l’Aspromonte era solcato da una ragnatela di itinerari che rendeva questa montagna luogo di incontro di genti di ogni luogo. Ora camminare a piedi sembra una perdita di tempo ma nell’attraversare la natura e nell’approccio verso un luogo sacro il cammino assumeva i connotati della preghiera. (Bevilacqua-Picone Chiodo, 1999, p. 154)

Questo percorso deve il nome alla sorgente fatta sgorgare dalla Madonna di Polsi da una roccia su cui si accasciò una donna gravida che si stava recando al Santuario. È un percorso molto soggetto alle frane, difatti è preferibile attraversarlo a piedi ed in periodi limitati, poiché «ogni anno tentano di rendere il percorso transitabile alle auto ma le frequenti frane ne consentono un uso quasi esclusivamente pedonale lasciando così ancora spazio alle leggende ed ai miracoli» (Ibidem, p. 155). L’euforia, i canti, le grida miste alle preghiere sono atteggiamenti tipici dei fedeli di quelle zone, uno spettacolo unico che colpisce il piccolo Corrado, e che noi possiamo ritrovare in Gente in Aspromonte. Naturalmente la descrizione assume toni diversi in base alle emozioni provate dai protagonisti. Un riferimento implicito è presente tra le prime rappresentazioni paesaggistiche della novella di apertura, Gente in Aspromonte: qui la voce fuori campo del narratore accenna ad una processione dove «cominciano i pellegrini dei santuari a passare da un versante all’altro cantando e suonando giorno e notte» (Alvaro, 2000, p. 5). Il sentiero tra le faggete prende vita, la montagna si anima proprio perché l’intento di Alvaro è quello di introdurre la storia di un’atmosfera mitica, come se quei luoghi fossero distanti nello spazio e nel tempo, ma nei quali è comunque possibile, per colpa dell’intromissione della storia, che un pastore viva una tragedia. Lo stesso percorso si accende di colori quando è il piccolo Antonello a percorrerlo, per discendere per la prima volta al paese «cacciato nella valle» (Ibidem, p. 8). È uno scenario dai tratti quasi inquietanti, poiché il pastorello vede, dopo anni di

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isolamento tra le montagne, la vivacità prepotente della civiltà, rappresentata in questo caso dalla carovana di pellegrini. Sebbene dunque ci siano richiami tenui a quel luogo nella prima novella, è in Coronata che il riferimento diventa esplicito. Già dalle prime righe infatti si parla della miracolata che «doveva fare la strada a piedi, scalza, con un cero in mano, quattro ore di cammino per le montagne» (Alvaro, 2000, p. 93). Inoltre si ritrovano gli stessi euforici pellegrini ricordati più volte da Alvaro, sia nell’opuscolo su Polsi che nel Sussidiario; ma qui, lasciandosi trasportare dalle emozioni della piccola Coronata, la quale è costretta a una processione che la porterà dritta alla sua rovina, i suoni dolci di pifferi e zampogne, che creano un’eco spettacolare su quei sentieri stretti, vengono coperti dagli spari di «fucili e pistole caricate a mitraglia». Perfino la vitalba che si scorge ai margini della strada diventa, nella novella, una coroncina di spine che attrae pericolose api sul viso della povera vittima. S’intravede poi, seguendo la processione, che «a una fonte della montagna la gente del cavallo si era fermata, mangiava e beveva, e chi non aveva da masticare cantava a squarciagola» (Ibidem, p. 94), un luogo dove la gente si rifocilla: ricorda proprio la Sorgente della Pregna che aiuta i viandanti a riprendersi dal cammino, ma qui non sono stanchi per la salita, piuttosto arsi, agli occhi di Coronata, da un’alba premonitrice, in cui si notano «gli alberi in fiamme che avevano illuminato il cammino tutta la notte». E se ancora qualche dubbio di un panorama fantastico possa sorgere dal modo miticheggiante in cui descrive il tratto finale del percorso, tra baracche di felci (quelle tipiche che i mercanti costruivano durante i periodi di pellegrinaggio), le fonti limpide affollate da gente ubriaca (che magari si riduce così per resistere al freddo, come si fa nei paesi di montagna) e devoti, abissi delle valli e gole di burroni, a svelare la concretezza del paesaggio è l’apparizione, dopo tanta strada, del «santuario bianco con la sua forma di vescovo mitrato, in fondo alla valle» (Ibidem, p. 95), dove (come richiedeva la tradizione del tempo) entravano le mucche e le capre in processione fino all’altare, su cui spicca la Madonna di pietra colorata. Infine, il fatto che nessuno nella piazza del Santuario si renda conto del rapimento, considerato che il cavallo venga spronato velocemente nel bosco a ridosso delle porte, permette di richiamare alla mente la conformazione del sito, caratterizzato da una struttura totalmente immersa nel verde selvaggio dell’Aspromonte, con l’apertura della chiesetta che dà su una stradina strettissima (quindi caotica se invasa da pellegrini, dunque il luogo ideale per un

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rapimento). Il Santuario è insomma uno degli elementi più importanti del territorio aspromontano, quindi è fondamentale, anche per la storia del luogo, per impostare un’analisi del paesaggio d’Aspromonte a livello qualitativo e quantitativo e farlo conoscere ai più:

l’interesse si focalizza pertanto sugli oggetti e sui luoghi di particolare rilevanza, che sono appunto in grado di attrarre immediatamente l’attenzione dell’osservatore, i quali vengono inventariati e classificati: si parla appunto di “inventari paesaggistici”, cioè di elenchi e classificazioni di quei fenomeni storici, artistici e ambientali che vengono ritenuti particolarmente significativi ed emblematici di uno specifico ambito spaziale e culturale. (Mazzanti, 2006, p. 79)

Per poter mantenere viva la memoria di una terra lasciata sempre ai margini, non c’era modo migliore che rappresentarla attraverso i luoghi più belli e suggestivi, nonché particolari e unici come il Santuario di Polsi.