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Le “parole” dell’Economia civile

Dopo aver parlato delle origini e degli sviluppi, nonché dell’antropologia che sottostà all’Economia civile, entreremo più nel vivo dell’argomento e dedicheremo questo paragrafo a quelli che sono gli assunti dell’Economia civile.

Per dare maggior ordine alla presentazione dei contenuti dell’Economia civile e per favorire l’individuazione dei punti di maggior pregnanza, ho scelto di articolare per “parole” il seguente paragrafo.

Queste parole sono: reciprocità, relazione, felicità pubblica, virtù e gratuità.

Sono parole che tradizionalmente non appartengono alla dimensione economica. Gli economisti non parlerebbero di reciprocità, ma di scambio mutuamente vantaggioso; non di relazione, ma di contratto; non di felicità, ma di benessere e ricchezza; non di virtù ma di meritocrazia; non di gratuità, ma di gratis.

Come detto al paragrafo 1.2 l’Economia civile trae radice dal pensiero aristotelico- tomista, essa parte infatti da una concezione positiva della natura umana. Riconosce che l’uomo è “animale politico”, capace di naturale socialità, tuttavia vi aggiunge che questa non è sufficiente a rappresentare la condizione umana. Vi aggiunge un ulteriore elemento che è termine fondamentale del pensiero dell’Economia civile, ovvero la reciprocità.66 Ciò che contraddistingue l’uomo è la sua naturale propensione ad un dare- restituire che

66 Bruni, L., Zamagni, S., L’economia civile. Un’altra idea di mercato, Bologna, Il Mulino, 2015,

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non è solamente sintomo di interesse privato e individualistico, ma di diritto e dovere al mutuo aiuto, di un legame più profondo che deriva dalla socialità dell’essere umano. I primi studi sulla reciprocità in economia sono recenti e risalgono agli anni ’80.

La reciprocità può essere contrattuale e in questo caso lo scambio sarà equivalente, ma può anche derivare da sentimenti, quali l’amicizia e in questo caso non vi sarà equivalenza ma proporzionalità. Lo scambio potrà non avere lo stesso valore, ma essere percepito da coloro che esercitano e ricevono reciprocità come equivalente.

Quando si parla di reciprocità poi si deve fare un’altra distinzione: quella tra reciprocità diretta e indiretta. La reciprocità diretta è il dare-rispondere che si verifica tra due soggetti. La reciprocità indiretta consiste invece in un dare-rispondere che coinvolge un soggetto terzo, o perché quest’ultimo osserva un comportamento di reciprocità diretta e lo attua a sua volta, o perché qualcuno che ha ricevuto in un rapporto di reciprocità diretta risponde ad un terzo secondo lo stesso principio, una sorta di contagio, che può essere positivo, come nel caso dell’amicizia e dei rapporti contrattuali, o negativo, come nel caso della vendetta e della guerra.67

La concezione filosofica e antropologica della naturale socialità dell’essere umano si traduce in una visione ben definita del mercato e dell’economia. Mercato che è luogo di incontro, scambio e mutua assistenza, economia che è scienza al servizio del benessere dell’umano e della felicità pubblica. Spiegherò a breve perché l’Economia civile qualifica come “pubblica” la felicità.

Il mercato per tanto è visto come luogo in cui il civile è incluso, o meglio come luogo espressione del civile e della reciprocità. Riprendendo ancora una volta Aristotele, il mercato è luogo di esercizio delle virtù e di espressione della natura positiva dell’umano. In questa visione il mercato rappresenta non un luogo di incontro tra meri interessi personali sotto la gestione di un contratto ma, luogo che permette e dà spazio all’esercizio delle virtù e attraverso queste rappresenta uno strumento per raggiungere la felicità. Ne deriva una diversa idea di concorrenza, che non sarà un gioco a somma zero, dove ciascuno cercherà di massimizzare il proprio interesse a discapito degli altri, ma un cum-

67 Bruni, L., Zamagni, S., edd., Dizionario di economia civile, Roma, Città Nuova Editrice, 2009,

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petere, ovvero un andare verso uno stesso obiettivo, un cercare insieme il bene comune anziché il bene individuale e privato. Il mercato così andrebbe a premiare grazie ai suoi meccanismi i comportamenti civili, positivi per la società e incoraggerebbe l’attivazione di circoli virtuosi.

Ma perché tutto questo si verifichi vi deve essere qualcosa alla base che lo permetta. Alla base, secondo Genovesi e un altro grande esponente del pensiero dell’Economia civile dei primordi, il giurista Giacinto Dragonetti, vi deve essere un legame tra i membri della società, una fede pubblica pre-contrattuale.68 Non può avverarsi nulla di quanto sopra

scritto se alla base non vi è una fiducia tra concittadini, pur nella consapevolezza che il rischio che questa fiducia venga tradita è sempre presente.

Visione opposta rispetto al filone di pensiero che vede nella natura umana una concezione pessimistica su cui si fonda la tradizione economica anglosassone. Ne deriva un mercato anonimo, di relazioni effimere, funzionali, interessate. Un mercato che se da un lato consente maggior efficienza in quanto epurato da ogni tipo di relazione che implichi dei sentimenti e quindi la non piena e totale razionalità, dall’altro ha permesso l’affermarsi della mercificazione e l’atrofizzarsi delle virtù civili. Non era certo questo l’intento. Smith e il filone di pensiero dell’economia politica anglosassone vedevano il mercato non come luogo di socialità in sé, ma come luogo in cui si costruivano le condizioni per la socialità. Gli economisti anglosassoni guardavano piuttosto al mercato come strumento per la produzione di ricchezza per così giungere alla liberazione dell’individuo da relazioni gerarchiche e non scelte, tipiche dell’ordine pre-moderno. Il mercato dunque, nella logica della political economy classica, attraverso la produzione di ricchezza rappresentava quell’istituzione che poteva liberare e rendere eguagli gli uomini tanto nelle relazioni contrattuali del mercato quanto nelle relazioni sociali. Relazioni sociali che avvenivano dunque rigorosamente al di fuori della vita economica. Il meccanismo regolatore era quello della mano invisibile del mercato.

68 Bruni, L., L’impresa civile. Una via italiana all’economia di mercato, Milano, EGEA Università

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Le due sfere, quella del mercato e quella delle relazioni sociali, rimanevano dunque separate. In questi termini, quel che mancava all’economia anglosassone e di cui invece l’Economia civile si è ricordata, è la fraternità.69

“…il mercato funziona sulla base di un mediatore (il sistema dei prezzi) che ci consente di raggiungere i nostri obiettivi (soddisfare i bisogni) senza il bisogno di incontrarci ‘tragicamente’ con l’altro (come avviene invece in ogni comunità). Il mercato libera soprattutto dalla relazione corpo a corpo e ne inventa un’altra: quella basata sul contratto e sugli interessi reciproci … il mercato inaugura davvero la società degli individui, separati e ‘mediati’ nei loro reciproci rapporti.”70

Il mercato civile al contrario è un mercato in cui la relazione, altra parola chiave dell’Economia civile, è personale, diretta, reciproca. La relazione è elemento fondamentale, che porta l’umano all’interno di una costruzione quale è il mercato e lo conduce al servizio dei bisogni e delle necessità delle persone e verso una felicità che non è mera ricchezza individuale ma è felicità pubblica.71

Vi è un nesso strettissimo, originario, tra economia e felicità. Un’economia sana, che funziona, un mercato fiorente, sono dei mezzi per raggiungere la felicità pubblica, una felicità che dunque non è privata, non deriva dalla somma della ricerca dell’interesse e della ricchezza di ciascuno, ma che è qualcosa di più, che esce dalla sfera del sé, dell’individualità, dai confini della propria realtà privata e presente, per andare a comprendere anche coloro i quali non sono conosciuti, perché lontani geograficamente o perché appartenenti alle generazioni del futuro. La felicità pubblica dunque porta in sé una dimensione che trascende il contingente e abbraccia la sostenibilità.

La relazionalità poi viene considerata dagli economisti civili sia presupposto, sia componente della felicità pubblica. La relazionalità deve trovare spazio affinché si

69 Op. Cit., pp.47-51 70 Ibidem, pp.55-56

71 Bruni, L., Zamagni, S., L’economia civile. Un’altra idea di mercato, Bologna, Il Mulino, 2015,

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realizzi la felicità pubblica, la quale richiede un agire insieme. La felicità pubblica a sua volta si compone anche di relazionalità.

Già gli economisti civili del Settecento avevano compreso che non di soli beni economici si nutre la felicità. Tesi confermata in anni più recenti, dal cosiddetto “paradosso della felicità in economia” o “paradosso di Easterlin”, secondo cui oltre una certa soglia di ricchezza, identificata con la quantità che permette di far fronte alle spese ordinarie, vi sarebbe una correlazione molto bassa, se non inesistente, tra crescita della ricchezza e aumento della felicità.72

L’idea che i primi economisti civili avevano di felicità comprendeva al contempo tutti e ciascuno. Per essere pubblica la felicità doveva riguardare la totalità, come anche i singoli e necessitava della cooperazione dell’intera società. Necessitava di quel senso di responsabilità e appartenenza, nonché reciprocità che ha bisogno del contatto, dell’incontro, della relazione interpersonale.73 Necessitava di virtù civili.

Altra parola fondamentale della tradizione dell’Economia civile è virtù. Ancora una volta il discorso è antico ed ereditato dalla tradizione aristotelico-tomista.

Dragonetti ci lascia degli scritti da cui trarre una definizione di virtù, come di un qualcosa che ha sostanzialmente due caratteristiche riconoscitive: lo sforzo e il sacrificio e la tensione verso il bene altrui prima che proprio. La virtù è comportamento sociale estremamente positivo e necessario, è ricerca da parte del singolo del bene pubblico. La virtù esce, è rivolta al prossimo e necessita del prossimo per essere esercitata. Essa è un comportamento che presuppone la gratuità e che filosoficamente parlando va oltre le leggi e il contratto sociale, va oltre un qualcosa che è dovuto e stabilito, per diritto o per dovere, per entrare nel campo della libera gratuità.74

La gratuità è qui intesa come quel di più, che rende un’azione disinteressata. L’azione gratuita non viene svolta al fine di ottenere qualcosa per sé, da parte di qualcun altro che altrimenti non si otterrebbe, ma a prescindere da questo. L’azione gratuita è mossa dalla volontà di fare del bene. È un modo di fare, uno stile nell’agire, che rende importante

72 Bruni, L., L’impresa civile. Una via italiana all’economia di mercato, Milano, EGEA Università

Bocconi Editore, 2009, pp.86-90

73 Op. Cit., p.72

74 Bruni, L., Zamagni, S., L’economia civile. Un’altra idea di mercato, Bologna, Il Mulino, 2015,

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tutto il percorso dell’azione, dal come si fa, al cosa si raggiunge. Nell’Economia civile non vale il detto “i fini giustificano i mezzi”. Un ultimo aspetto della gratuità lo cogliamo dalla sua etimologia. Gratuità deriva dal greco “charis”, che significa “ciò che dà gioia”.75

La gratuità dà gioia, a chi la esercita e a chi la riceve. Ecco allora che l’idea di economia che ci propone l’Economia civile è un’economia che si riappropria della gioia, anche nell’economia, anche nel lavoro. L’Economia civile, in ultima analisi, suggerisce una via per un’economia che rimetta la persona e la sua felicità al centro.

L’Economia civile vede nella gratuità e libertà lo spazio per lo sviluppo delle virtù e vede nelle virtù degli elementi fondamentali per la persona, sia nella vita economica che al di fuori di essa. Valorizzare e dar spazio alle virtù, anche quelle non-economiche, non è segno di inefficienza ma di lungimiranza. Certo, non confinare l’economico alla meccanicità, al calcolo e alla immunità nelle relazioni non consente un’efficienza robotica. Implica una “perdita” di tempo e di energie. È più faticoso, richiede maggiore cura ed impegno. Ma allora cosa se ne guadagna? Se ne guadagna un maggior legame, una maggiore fiducia reciproca e una maggiore creatività. Tutto questo dà solidità all’impresa e al mercato stesso. Li rende più capaci di attutire e superare le crisi cicliche.76 Perché oltre al mero interesse individuale, la persona avrà qualcosa in più da

perdere, un certo grado di appartenenza, affetto e riconoscenza. Il mondo economico risulta depotenziato dalla mancanza di virtù.77

Proviamo ora ad amalgamare in modo più organico queste “parole” dell’Economia civile. Partiamo questa volta dalla gratuità. La gratuità è considerata in questa prospettiva come la precondizione della pratica dell’economia civile. La gratuità è vista come quella virtù che, se esercitata, permette, ma non necessariamente, di innescare una relazione di reciprocità. La gratuità genera l’azione disinteressata. È un’azione positiva rivolta verso qualcun altro, non al fine di soddisfare un interesse proprio, ma per il bene e vantaggio altrui. L’atto di gratuità nel pensiero dell’Economia civile può trovare risposta in una

75 Bruni, L., L’impresa civile. Una via italiana all’economia di mercato, Milano, EGEA Università

Bocconi Editore, 2009, pp. 161-166

76 Becchetti, L., Wikieconomia. Manifesto dell’economia civile, Bologna, Il Mulino, 2014, pp.123-

127

77 Bruni, L., La foresta e l’albero. Dieci parole per un’economia umana, Milano, Vita e pensiero,

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restituzione, che rende la relazione reciproca, che provoca un contatto, attiva dei sentimenti, crea dei legami e non solo delle transazioni monetarie. Ma gli economisti civili riconoscono il limite della reciprocità e lo fanno proprio. La reciprocità implica un rischio, il rischio di non essere corrisposti. Fa tutto parte del gioco. Se riconosciamo che i beni economici non sono sufficienti a generare e garantire la felicità, riconosciamo che la felicità deriva anche da beni che possono non avere un prezzo, che possono esulare dalla sfera economica e che non rispondono necessariamente ad un interesse individuale e privato. Se così fosse riconosceremmo che la felicità è intrinsecamente pubblica, in quanto necessita dell’altro, della sua cooperazione e del suo apporto. L’idea di felicità che l’Economia civile fa propria è quella di una felicità necessariamente relazionale, sociale. Due sono quindi le caratteristiche di questa idea di felicità: la dimensione relazionale e sociale e lo stretto legame con l’esercizio delle virtù.

Detto questo non stupirà che l’Economia civile si inserisce tra le fila del pensiero di critica del Pil come indicatore del benessere.