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2. La partecipazione: concetti, fasi e spazi

2.2 Partecipazione e comunità

Concepire la partecipazione a partire da un'idea di condivisione del territorio e dell'insieme dei saperi e delle conoscenze di chi lo vive significa attribuire una funzione primaria al concetto di comunità. Come osservano Ciaffi e Mela, si innescano infatti “processi che toccano da vicino le relazioni sociali più profondamente interiorizzate e, al tempo stesso, coinvolgono gli spazi della vita quotidiana, quelli su cui maggiormente si determina un investimento affettivo da parte degli attori e che intervengono in modo più intenso nell'elaborazione dell'identità personale e collettiva” (2006, 54).

Le prime riflessioni sul concetto di comunità risalgono alla fine dell'Ottocento ad opera del sociologo Ferdinand Tonnies. Nel pensiero dello studioso tedesco, il concetto di comunità (Gemeinschaft) rispecchia forme di relazione fra gli individui basate su un tipo di “convivenza confidenziale, intima, esclusiva” (2011, 28 [1887]) che si origina a partire dalla nascita e che sono

That's difficult, because you have the people; on the other hand side, they want you to be the expert. On the one hand side, “we don't want experts”, on the other hand side they say “You're are the expert, I want you to tell me what is the right thing, what is the wrong thing, but I don't want you to tell me what is right or wrong”

regolate e mantenute in essere da vincoli definiti di “sangue”76. Sotto questo profilo, per comunità deve intendersi una formazione organica reale e vivente, durevole e genuina, la cui origine è antica e fondata sulla “perfetta unità delle volontà umane” (ibid., 33). Come suggerisce il titolo dell'opera di Tonnies, accanto al concetto di comunità ne viene introdotto un secondo che fa riferimento alla società (Gesellschaft). È importante sottolineare che la giustapposizione dei due termini non deve indurre a pensare l'uno come sinonimo dell'altro: nel pensiero tonniesiano comunità e società appaiono, al contrario, in totale antitesi. Come forma di “convivenza passeggera e apparente” (ibid., 30), infatti, la società rappresenta una “formazione ideale e meccanica” (ibid., 28) basata esclusivamente su rapporti di interesse e scambio. Se in una comunità, il trait d'union fra gli individui è rappresentato dalla condivisione di abitudini, ricordi ed esperienze, le relazioni che si sviluppano all'interno di una società si basano primariamente sullo scambio di prestazioni reciproche fra gli attori. Questi entrano in contatto unicamente per il tempo della transazione e sulla base di ruoli specializzati nell'ambito di una costruzione artificiale che solo in apparenza somiglia alla comunità: osserva Tonnies, a questo riguardo, che gli individui pur vivendo e abitando in forma pacifica gli uni accanto agli altri, nella comunità essi “rimangono legati nonostante tutte le separazioni”, mentre nella società restano “essenzialmente separati [...] nonostante tutti i legami”, stando “per conto proprio e in uno stato di tensione contro tutti gli altri” (ibid., 64).

La necessità di pervenire a una scissione fra i concetti di comunità e società da parte del sociologo tedesco matura in seguito alla presa d'atto dell'ascesa della società a scapito di un ridimensionamento della comunità come effetto della modernizzazione in atto, in modo particolare nello scenario urbano delle grandi città: è in questi contesti, infatti, che si percepisce con maggiore enfasi la dissoluzione di quell'omogeneità e di quella coesione tipicamente riconducibili alle formazioni comunitarie tonniesiane e ciò in relazione tanto ai processi di inurbamento da parte di nuove popolazioni che alterano le strutture sociali tradizionali, quanto ai mutamenti stessi che interessano le condizioni di vita degli individui.

Successivamente questa netta distinzione tra comunità e società tende ad essere in parte ridimensionata. Fu Max Weber ad avanzare alcuni elementi di differenziazione rispetto al modello dicotomico proposto di Tonnies, osservando in merito che i vincoli e il sentimento di appartenenza da soli non

76 Accanto ai vincoli di sangue, Tonnies individua altre forme di comunità riconducibili al

vicinato, come convivenza in una “comunità di luogo” che si caratterizza per contatti umani frequenti accomunati da una conoscenza intima e all'amicizia, intesa come “comunità di spirito” ed “effetto di un lavoro e di un modo di pensare concorde” (ibid., 39-41).

sono sufficienti a costituire una comunità. Occorre tenere conto, infatti, della disposizione dei soggetti che prendono parte alla relazione sociale. A tal proposito, Weber afferma che una relazione sociale può definirsi comunitaria “se, e nella misura in cui la disposizione dell'agire poggia [...] su una comune appartenenza soggettivamente sentita, (affettiva o tradizionale) degli individui che ad essa partecipano” (1968, 38 [1922]). Le relazioni di questo tipo (Vergemeinschaftung) si basano sui tipi ideali di azione sociale determinati da stati sentimentali oppure da abitudini acquisite e si differenziano dalle relazioni sociali di associazione (Vergesellschaftung) nella misura in cui queste ultime poggiano su “un'identità di interessi, oppure su un legame di interessi motivato razionalmente (rispetto al valore o rispetto allo scopo)” (ibid., 38). La sfera degli interessi a cui Weber si riferisce e al quale l'agire del soggetto è subordinato può essere di tipo economico (agire razionale rispetto allo scopo) oppure legato alla fede religiosa (agire razionale rispetto al valore).

La rigida opposizione fra comunità e società tracciata da Tonnies è difficilmente riscontrabile nella concezione weberiana, giacché le forme sociali della comunità o dell'associazione non solo appaiono strettamente intrecciate fra loro, ma la loro definizione è subordinata al tipo ideale che di volta in volta orienta l'azione dei soggetti che vi prendono parte. Come spiega Weber, “una comunità può riposare su ogni specie di fondamento affettivo o emotivo, o anche tradizionale – per esempio una confraternita ispirata, una relazione erotica, una rapporto di reverenza, una comunità 'nazionale', una truppa tenuta insieme da legami di cameratismo. A questo tipo appartiene, assai comodamente, la comunità familiare. La grande maggioranza delle relazioni sociali ha però in parte il carattere di una comunità, e in parte il carattere di un'associazione. Una relazione sociale, per quanto sia razionale rispetto allo scopo, e freddamente creata per attuare un certo fine […], può far nascere valori di sentimento che procedono oltre lo scopo arbitrariamente posto77. In modo analogo una relazione sociale, il cui senso morale sia quello di una comunità, può viceversa essere orientata […] in maniera totalmente o parzialmente razionale rispetto allo scopo”78. (ibid., 39).

In tempi più recenti, comunità e società tendono ad essere interpretate come dimensioni integrate e non più alternative in chiave di “mix fra Gemeinschaft e Gesellschaft”, dato che, come osserva Donati, la

77 “In tal senso inclina […] qualsiasi associazione che vada al di là dell'agire attuale di

un'unione di scopo, che instaura quindi relazioni sociali di lunga durata tra le medesime persone, e che non sia fin dal principio limitata a particolari prestazioni oggettive: di questo genere sono, ad esempio, l'associazione nello stesso reparto dell'esercito, nella stessa classe scolastica, nello stesso ufficio, nella stessa officina.” (ibid., 39).

78 “Per esempio è molto diversa la misura in cui un gruppo familiare è, dai partecipanti,

manifestazione di comunità o società pure può innescare “patologie corrispondenti, che sono le problematiche sociali tipiche delle comunità totalmente chiuse da un lato e dei sistemi sociali totalmente privi di dimensioni comunitarie dall'altro” (1991, 108). Sembra, inoltre, delinearsi un rinnovato interesse nei confronti della comunità come “condizione indispensabile per la realizzazione e lo sviluppo dei sistemi democratici” per mezzo della partecipazione attiva dei cittadini alla vita sociale e politica e alla costruzione del futuro in forma allargata (Martini, Sequi 1995, 14). Sotto questo profilo, la comunità si configura come lo scenario nel quale si sviluppano relazioni sociali, nodi problematici e potenzialità che possono condurre a iniziative collettive o a forme di segregazione sociale a seconda del grado di interazione fra tre dimensioni: la dimensione locale-territoriale come tessuto culturale, la dimensione relazionale correlata al tessuto sociale e la dimensione della partecipazione come costruzione di mondi possibili (Amerio 2000).

Gli studi nell'ambito della psicologia di comunità evidenziano le opportunità insite in un approccio teso a recuperare il senso di comunità, che oggi appare indebolito dal prevalere di relazioni sociali “artificializzate” e dalla maggiore complessità delle problematiche, soprattutto in ambito urbano. Si tratta di opportunità che si concretizzano nella possibilità di affrontare efficacemente i problemi locali, giacché è a livello di comunità territorialmente circoscritta che si riscontrano maggiori possibilità per i soggetti di esprimere idee e contributi e in questo modo perseguire progetti di cambiamento che risultino effettivamente alla portata di tutti e maggiormente rappresentativi. Non va dimenticato, peraltro, che la crisi del modello di welfare tradizionale ripropone di continuo l'impossibilità da parte dello Stato di intervenire a sostegno delle esigenze sociali e questo sollecita una riorganizzazione delle modalità attraverso cui far fronte tanto al disagio quanto alla scarsa fiducia nei confronti delle istituzioni. All'interno di questa prospettiva, la comunità locale acquisisce rilievo come “palestra privilegiata” per sperimentazioni legate allo sviluppo della “cittadinanza attiva” e democratica allo scopo di “promuovere lo sviluppo di comunità impegnate in relazioni autentiche” che interessano l'individuo nei suoi rapporti con gli altri, la costruzione delle identità personali e collettive e le condizioni del vivere insieme (O'Shea 2003, 10). A questo livello, la partecipazione rientra fra le azioni che sono in grado di produrre cambiamento sociale attraverso il perseguimento di un progetto condiviso. Sotto questo profilo, l'attività intenzionale messa in atto da una persona o da un piccolo gruppo ha lo scopo di unire i residenti in forma strutturata affinché l'azione congiunta possa apportare un miglioramento durevole della qualità della vita a livello locale (Berkowitz 2000). Ne deriva, in sostanza, che la condivisione degli sforzi e delle risorse su scala locale non solo è capace di innescare comportamenti attivi e solidali, accrescendo in questo modo il senso

delle relazioni all'interno della comunità, ma è specificamente attraverso la discussione e il dialogo fra i soggetti che è possibile orientare le azioni di una collettività verso quella “costruzione di mondi possibili e condivisi, decisioni comuni e responsabilità” di cui parla Amerio (2000, 120).

Si è detto che i problemi di una città possono essere interpretati come risultante di problemi che riguardano gli individui nei loro contesti quotidiani. Ragionare, pertanto, in termini di sviluppo della comunità locale può costituire il punto di partenza per la soluzione di problematiche i cui effetti possono incidere sulla qualità della vita urbana nel complesso. Da questo punto di vista il vicinato di una città può costituire un ambito territoriale favorevole allo sviluppo di processi comunitari e verosimilmente rappresentare lo scenario nel quale l'attivazione dei cittadini può manifestarsi con maggiore enfasi.