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2 parziale riordinamento con la legge del 1864 sui dazi di consumo E

assai differenziata nei vari territori era anche la disciplina sull'espropriazione per pubblica utilità, che riguardava direttamente

3 gli ambiti di intervento delle amministrazioni comunali .

L'unificazione legislativa e amministrativa portata a compimento 4 nel 1865 pose fine a questa situazione di incertezza giuridica . Le leggi e i regolamenti varati in quell'anno confermavano l'indirizzo

1. Cfr. G.Candeloro, La costruzione..., cit., pp.115 ss. e 179-180.

2. Cfr. F.Volpi, cit., pp.5-13.

3. Cfr. G.Sabbatini, cit., vol.I, pp.43-50 (a tutti questi temi ho già fatto cenno nei capitoli precedenti).

4. Le leggi di unificazione legislativa e amministrativa sono state oggetto di numerosi studi. Per una sintesi d'insieme del loro contenuto cfr. G.Candeloro, La costruzione» .., cit., pp.218-237. Riferimenti più specifici verranno dati nelle note successive, via via che se ne presenti l'occasione. Ricordo una volta per tutte che per il testo di leggi e regolamenti ho utilizzato (salvo diversa indicazione) la raccolta contenuta nel volume Legge per • l'unificazione amministrativa del Regno d'Italia, Milano, 1865.

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centralista - mutuato dall'ordinamento francese - che aveva già caratterizzato la legislazione albertina. Si trattava di testi che non erano certo privi di ^acune ed incongruenze. Inoltre bisogna tener presente che negli anni successivi furono introdotti numerosi correttivi e modifiche/ soprattutto in quanto riguardava l'intricata materia delle finanze locali. Ma nel complesso si può affermare che dopo quella data - e per oltre un ventennio - l'attività delle amministrazioni comunali italiane fu regolata da una normativa organica ed uniforme. Vediamone i caratteri essenziali.

La legge comunale e provinciale del 20 marzo 1865 - allegato A della legge di unificazione amministrativa - organizzava la struttura del Comune sulla base di tre organi: il Consiglio, la Giunta/ il Sindaco. Ad essi venivano affidate competenze specifiche/ da svolgersi con l'assistenza degli uffici comunali. Il sistema elettorale riprendeva i caratteri già propri della legge Rattazzi. Il diritto di voto per l'elezione del Consiglio (sottoposto ogni anno ad un rinnovo parziale) era concesso ai maggiori contribuenti e a particolari categorie di cittadini: gli accademici, gli impiegati pubblici, alcuni professionisti. Nelle città con popolazione superiore ai 60.000 abitanti - era il caso di Bologna - gli elettori "per censo" dovevano pagare almeno 25 lire per le imposte dirette.

L'elenco delle attribuzioni di ciascun organo comunale e w lungo, ma non sempre preciso. In termini generali si può dire che il Consiglio aveva poteri deliberanti e la Giunta compiti esecutivi. Ed era dunque il Consiglio ad eleggere i membri della Giunta, a maggioranza assoluta, scegliendoli al proprio interno. Più ambigua appariva invece la funzione del Sindaco, di nomina regia, che riuniva in sé la duplice caratteristica di capo dell'amministrazione comunale ed ufficiale del * governo. L'indeterminatezza delle attribuzioni comunali era

particolarmente evidente nelle norme relative alla contabilità. Il principio di fondo risiedeva nella distinzione tra spese obbligatorie e facoltative. Ma le prime erano elencate con minuzia, in venti punti, e potevano essere ampliate da speciali disposizioni legislative. Mentre le spese facoltative non erano meglio definite. Si consideravano tali

tutte le spese non indicate come obbligatorie. La legge indicava inoltre le basi dell'ordinamento tributario locale, fondato essenzialmente sui dazi di* consumo e sulla sovrimposizione alle imposte dirette statali (di ricchezza mobile e fondiaria).

Particolare importanza rivestivano infine le norme sull'"ingerenza governativa nell'amministrazione comunale", che disciplinavano la delicata materia del controllo degli atti comunali. La legge specificava quali erano le delibere da sottoporre all'approvazione della Deputazione provinciale. A quest'ultima era assegnato anche il compito di provvedere agli atti obbligatori che il Consiglio o la Giunta avessero omesso di compiere: ad esempio, iscrivendo d'ufficio in bilancio "le allocazioni necessarie per le spese obbligatorie". Vale la pena di notare a questo proposito il carattere particolare della Deputazione provinciale. Essa era eletta dal Consiglio provinciale - quest'ultimo interamente elettivo - tra i propri membri, a maggioranza assoluta. Però era presieduta dal Prefetto, cioè dal rappresentante locale del governo, il quale aveva anche la sorveglianza degli uffici e degli impiegati della Provincia. Al complesso ordinamento dell'amministrazione provinciale era quindi dedicata un'ampia parte della legge5 .

La legge comunale del 1865 conteneva al suo interno una duplice tendenza, già presente nei testi che l'avevano preceduta. Ai Comuni veniva assegnato un ampio insieme di attribuzioni, lasciandoli "liberi" di intervenire nelle materie non disciplinate dallo Stato. Ma a compensare l'ampiezza delle attribuzioni comunali, la legge rafforzava il controllo della autorità governative6 . Generalmente la

5. Sulla Provincia cfr..G.De Cesare, L'ordinamento..., cit., pp.162- 174. In particolare sulla Deputazione provinciale cfr. A.Polsi, Comuni e controlli: il ruolo e la funzione delle Deputazioni provinciali dalla legge comunale del 1865 alla riforma crispina, in M.P.Bigaran, cit., pp.112-124.

6. Sulla presenza di questa duplice tendenza già nelle leggi piemontesi del 1847-48 e del 1859 (legge Rattazzi) cfr. M.S.Giannini, I Comuni, cit., pp.22-27.

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storiografia sull'argomento ha sottolineato questo secondo aspetto, insistendo sulla scelta centralista operata dopo l ’Unità7 , Una tale valutazione è certamente qorretta, tanto più quando si consideri che lo stesso meccanismo delle spese obbligatorie finiva per restringere di fatto l'autonomia comunale. Spese che avrebbero dovuto essere di competenza statale venivano poste a carico dei bilanci comunali, limitando così le risorse finanziarie disponibili per gli interventi

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locali . Tuttavia l'insistenza sui caratteri centralisti e autoritativi della legge rischia di farci sfuggire l'importanza dei margini d'azione di cui disponevano i Comuni in alcuni campi. Per cogliere la reale portata di questi margini d ’azione, è necessario abbandonare le visioni d'insieme e far riferimento ad alcune disposizioni apparentemente secondarie: contenute sia all’interno della legge generale, che in altri testi normativi emanati nel 1865, che riguardavano in vari modi l'attività delle amministrazioni comunali.

Uno strumento importante dell'attività amministrativa locale era offerto dalla potestà di emanare regolamenti da applicare su tutto il territorio comunale. La legge del 1865 comprendeva, tra le attribuzioni

7. Il dibattito storiografico sull'accentramento postunitario e sulle sue implicazioni si è sviluppato soprattutto tra gli anni '60 e '70. Per alcuni esempi ormai molto noti (ma ce ne sarebbero tanti altri) cfr. A.Caracciolo, Stato e società civile. Problemi dell'unificazione italiana, Einaudi, Torino, 1977 (I ediz. 1960), in part. pp.67-100? C.Pavone, Amministrazione centrale e amministrazione periferica da Rattazzi a Ricasoli (1859-1866), Milano, Giuffré, 1964 (che riproduce molti documenti utili)? E.Ragionieri, Politica e amministrazione nello Stato unitario, in Id., Politica e amministrazione nella storia dell'Italia unita, Roma, Editori Riuniti, 1979 (I ediz. Bari, Laterza, 1967), pp.81- 137? A.Aquarone, Accentramento e prefetti nei primi anni dell'Unità, in Id. Alla ricerca dell'Italia liberale, Napoli, Guida, 1972, pp.157-191. Un'interpretazione d ’insieme di quel dibattito in E.Roteili, F.Traniello, Il problema delle autonomie come problema storiografico, in E.Roteili, L'alternativa..., cit., pp.309-330.

del Consiglio comunale, la capacità di deliberare intorno "ai regolamenti d'igiene, edilità e polizia locale attribuiti dalla legge ai comuni" (art. 87, n^6). Il progetto dei regolamenti doveva essere preparato dalla Giunta e sottoposto successivamente al Consiglio (art. 93, n.7). Ma la delibera consiliare non esauriva la procedura. I regolamenti rientravano tra quelle delibere per le quali era richiesta anche l'approvazione della Deputazione provinciale (art. 138, n.6). Infine essi dovevano essere trasmessi al Ministero competente. Quest'ultimo poteva annullarli, in tutto o in parte (art. 138). In base alle norme del 1865, non era ancora chiaro se potesse anche modificarli; in seguito fu precisato che i Ministeri non potevano

9 apportare alcuna modifica .

La complessità della procedura prevista mostra quanta importanza fosse attribuita dal legislatore alla materia in questione. Ma restava da chiarire con maggiore precisione quali disposizioni potessero essere contenute in questi regolamenti. Il testo di legge si limitava a parlare genericamente di igiene, edilità e polizia locale. Il compito di specificare il contenuto e gli obiettivi di questa normativa fu

9. In realtà l'ambito di controllo e di intervento dei Ministeri sui regolamenti comunali era regolato da norme piuttosto confuse. La possibilità di modificare i regolamenti da parte del Ministero era prevista dal regolamento d'applicazione della legge comunale, all'art. 107 (giugno 1865). Di "revisione" dei regolamenti da parte del Ministero si diceva anche nel regolamento d'applicazione della legge sanitaria, all'art.4, n.2 (giugno 1865). E inoltre nell'agosto del 1866 una circolare del Ministero dell'Interno precisò che i • regolamenti di polizia urbana e di igiene diventavano esecutivi solo dopo l'approvazione del Ministero (e dunque per la pubblicazione non era sufficiente l'approvazione della Deputazione provinciale). Ma nel dicembre 1878 il Consiglio di Stato espresse un parere diverso, affermando che i regolamenti approvati dalla Deputazione provinciale diventavano immediatamente esecutivi, e che il Governo poteva solo anhullarli in tutto o in parte. La circolare del 1866 è riportata in P.Castiglioni, Codice sanitario del Regno d'Italia, Firenze, 1868, pp.224-225; sull'insieme di questi temi cfr. F.Bufalini, Dei regolamenti edilizi, Torino, 1886, pp.XX-XXI e 360-369; in particolare sui regolamenti d'applicazione v. le note successive.

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affidato in parte al regolamento (il bisticcio era nelle cose...) di applicazione della legge comunale e provinciale, approvato dopo qualche

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mese, nel giugno 1865 f. Questo testo riprendeva la struttura della legge generale, chiarendo e approfondendo le varie disposizioni. Ai regolamenti municipali erano dedicati quattro articoli, che distinguevano anzitutto tra regolamenti di polizia urbana ed edilizi (non mi occuperò della polizia rurale). Si trattava di una distinzione importante e innovativa. Non solo per questioni di procedura - i regolamenti di polizia erano di competenza del Ministero dell'Interno, quelli edilizi del Ministero dei Lavori Pubblici - ; ma soprattutto perché essa esprimeva la consapevolezza che i problemi edilizi (e "urbanistici") richiedevano ormai una disciplina specifica.

Quindi gli articoli elencavano con cura le caratteristiche di ciascun regolamento. Nella "polizia urbana" erano comprese tra l'altro le norme che riguardavano la fabbricazione e la vendita di generi alimentari, la pulizia delle strade e la sistemazione dei canali di scolo (con i relativi obblighi dei privati), la prevenzione degli incendi, la salubrità delle acque (artt. 67,69). In sostanza rientravano in questo ambito le disposizioni sull'igiene pubblica delle città. Invece nel campo d'intervento dei regolamenti edilizi rientravano la formazione di commissione edilizie consultive, i piani regolatori (un punto fondamentale, sul quale tornerò più ol.tre), la costruzione di nuovi edifici, varie prescrizioni tese ad impedire che fosse "deturpato l'aspetto dell'abitato", la correlazione tra altezza dei fabbricati e ampiezza delle strade, la sistemazione di marciapiedi, portici e selciati (art. 70).

Gli ambiti della polizia urbana e dell'edilizia cittadina erano disciplinati anche dalla normativa di carattere sanitario. A questo > riguardo bisogna precisare che la stessa legge comunale assegnava al

10. Regolamento della legge sull'amministrazione comunale__ e provinciale, R.D. 8 giugno 1865, n.2321. Il testo si componeva di " 113 articoli, divisi in 5 titoli.

sindaco ampie attribuzionitin materia di igiene e sicurezza pubblica (art. 103, n.3; art.104). Ma le indicazioni più interessanti erano contenute nella legge generale sulla sanità - che costituiva parte integrante dell'unificazione amministrativa - e nel relativo regolamento d'applicazione11. La legge generale attribuiva al sindaco coirfpiti di tutela della sanità pubblica, da esercitare soprattutto attraverso la sorveglianza delle condizioni igieniche, sia nei luoghi pubblici che nelle abitazioni private (artt. 1, 28, 29). Il regolamento d'applicazione istituiva le commissioni municipali di sanità, corpi consultivi che avrebbero assistito il sindaco nei suoi compiti di sorveglianza (artt. 17, 18, 45-48). Inoltre indicava le norme da seguirsi per la "sanità delle abitazioni e dei luoghi abitati" (artt. 49-52). Queste norme rivestivano particolare importanza per la nostra analisi. Esse indicavano quali fossero le materie da disciplinare attraverso i regolamenti comunali d'igiene pubblica. Vi erano comprese tra l'altro la circolazione d'aria nelle abitazioni, la pulizia delle stalle, la disposizione delle latrine negli edifici pubblici e privati, lo scarico delle acque impure (art. 51).

Le disposizioni sulle competenze dei Comuni presentavano molti punti oscuri e talvolta potevano ingenerare qualche confusione. In particolare non era facile distinguere con chiarezza le materie disciplinate dai regolamenti comunali d'igiene da quelle inserite nella polizia urbana. La stessa espressione "polizia urbana" si prestava a diversi equivoci, potendo essere intesa sia in senso lato - comprensiva

11. Legge sulla sanità pubblica, allegato C della legge 20 marzo 1865 n.2048 per l'unificazione amministrativa; Regolamento in esecuzione della legge sulla sanità pubblica, R.D. 8 giugno 1865, n.2322. Per un quadro d'insieme della normativa sanitaria del 1865 (fortemente criticata) cfr. F.Della Peruta, Sanità pubblica e legislazione sanitaria dall'Unità a Crispi, in "Studi storici", 1980, n.4, in part. pp.740-748. Il già ricordato P.Castiglioni, cit., contiene una raccolta molto utile di leggi, regolamenti, circolari in materia sanitaria, con continui riferimenti alla legislazione precedente.

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della polizia sanitaria, ' edilizia, del traffico - che in senso

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stretto . La ripartizione dei compiti tra Stato e Comuni — specie in ciò che riguardava la sanata - non era ben definita. Inoltre certe questioni - quali, ad esempio, la procedura da seguirsi per la costruzione di nuovi edifici — potevano rientrare nell’ambito di ciascuno dai regolamenti previsti. Si trattava insomma di una materia intricata. Ciò dipendeva dal fatto che la competenza dei Comuni in questi settori non era certo una novità introdotta nel 1865. Essa costituiva una componente "tradizionale” delle attribuzioni affidate alle autorità cittadine, ed era riconosciuta esplicitamente nell'ordinamento locale delle amministrazioni preunitarie. Dunque il legislatore si trovava ad intervenire in una materia già regolata da

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diverse consuetudini locali . Ma i dettagli normativi possono essere trascurati. Ciò che appare evidente dalle disposizioni considerate è che nel campo dell'igiene e dell'edilizia cittadine, le amministrazioni comunali potevano disporre di strumenti normativi molto ampi ed articolati. Credo si possano condividere le considerazioni svolte alla fine del secolo da un autorevole commentatore di questa normativa Francesco Bufalini:

"La potestà regolamentare è pertanto una delle più importanti attribuzioni del Consiglio Comunale (...). Questi regolamenti si debbono considerare come vere leggi locali (...) obbligatorie per

12. Cfr. L.Mazzarolli, cit., p. 232, In. La confusione terminologica riappare anche in F.Bufalini, cit *, passim, malgrado i suoi ripetuti tentativi di offrire definizioni chiare; ciò che conferma le incertezzeà della materia.

13. Cfr. ad esempio F.P.Pugliese, La normazione comunale, in M.S.Giannini (a cura di), cit., pp.197-216 (centrato sul periodo 1848-1861 è molto utile). In particolare sui regolamenti d'ornato cfr. F.Bufalini, cit., pp. 400-402; L.Mazzarolli, cit., pp. 215- 234 (che mette in luce la derivazione della legislazione italiana dai precedenti francesi e piemontesi); G.De Cesare, La disciplina dell'edilizia, in M.S.Giannini (a cura di), cit., pp.299-303; F.Spantigati, L'espropriazione nella disciplina urbanistica, in U.Pototschnig (a cura^di), cit., p.184.

tutti n e l l ' a m b i d e l l e circoscrizioni territoriali per la quale furono emanati"

La gran parte delle attribuzioni comunali esaminate fino ad ora riguardava materie che potremmo definire preurbanistiche. I problemi dell'igiene, della sicurezza# dell' "edilità" - quest'ultima intesa come disciplina delle singole costruzioni - riguardavano indirettamente l'organizzazione complessiva dello spazio urbano1 5 . Solo con le prescrizioni relative ai piani regolatori (contenute nei regolamenti edilizi)# l'urbanistica cominciava ad essere oggetto di una tecnica e •di una normativa specifiche. Ho già accennato che il regolamento della legge comunale conteneva su questo punto una disposizione molto chiara. Esso stabiliva che tra le materie dei regolamenti edilizi rientravano "I piani regolatori dell'ingrandimento e di livellazione# o di nuovi allineamenti delle vie# piazza o passeggi pubblici" (art. 70# n.3). Altre disposizioni precisavano che la costruzione di nuovi edifici o la modifica di quelli esistenti dovessero rispettare le indicazioni dei piani regolatori.

Ma la facoltà così concessa ai Comuni presentava numerosi inconvenienti. I proprietari rischiavano di essere danneggiati: i vincoli alle costruzioni potevano avere durata illimitata e inoltre non davano diritto ad alcuna indennità# in quanto non si configuravano come espropriazioni. D'altra parte l'adozione di piani regolatori che non prevedessero gli espropri limitava notevolmente anche la possibilità d'intervento dei Comuni16. Si trattava dunque di una facoltà "sconfinata" - come fu ripetuto in diverse occasioni - ma al tempo stesso troppo generica per poter essere utilizzata in modo proficuo

14. F.Bufalini# cit.# p.XX.

15. Cfr. F.Spantigati# cit. # p. 184# da cui tra'ggo la definizione di problemi "preurbanistici".

16. Per alcuni dettagli sulla questione cfr. le indicazioni (molto utili) di L.Mazzarolli# cit.# pp. 238-243. Spunti illuminanti, anche se talvolta discutibili# in F.Spantigati# cit.# pp. 183-185.

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dalle amministrazioni locali . Queste disposizioni furono modificate (ed integrate) dalla nuova legge sull'espropriazione per pubblica

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utilità . Con questa ^.egge l'istituto del piano regolatore fu disciplinato con maggior precisione e assunse una duplice caratteristica. Anzitutto l'approvazione del piano fu resa equivalente ad una particolare forma di dichiarazione di pubblica utilità. In questo modo esso poteva dar luogo alle espropriazioni delle proprietà comprese nell'area interessata? e ciò consentiva di effettuare interventi in grado di modificare a fondo (ed eventualmente "risanare") il tessuto urbano già esistente. Inoltre la legge stabiliva che i piani potessero indicare "le linee" e "le norme" da osservarsi sia nella ricostruzione di una parte dell'abitato (nel caso dei piani regolatori propriamente detti), che nell'edificazione di nuove costruzioni (nel caso dei piani d'ampliamento). In questo modo veniva mantenuta la facoltà di imporre alle proprietà private una serie di vincoli, già previsti dal regolamento edilizio.

17. Cfr. la relazione del ministro Pisanelli al re del 19 maggio 1865, sulla legge per l'esproprio (su cui v. la nota seguente), riprodotta in G.Sabbatini, cit., vol.I, pp.51-67; il riferimento alla "sconfinata (...) facoltà" (par.5) fu poi ripreso da F.Bufalini, cit., p.XVII.

18. Legge sull'espropriazione per pubblica utilità, 25 giugno 1865, n.2359. Anche questa legge è stata oggetto di numerosi studi di storiografia giuridica ed urbanistica. Rinvio in particolare ai saggi raccolti in U.Pototschnig (a cura di), cit.? e - per gli aspetti urbanistici - a L.Mazzarolli, cit., pp.243-258, C.Carozzi, A.Mioni, cit., pp.417-423? M.Lacave, Gli strumenti giuridici..., cit. Ma il riferimento indispensabile resta sempre l'ampio commento di G.Sabbatini, cit. Segnalo che di questo commento furono pubblicate tre diverse edizioni. La prima comprendeva due volumi (1882 e 1887). La seconda, sempre in due volumi (1890 e 1891), era stata aggiornata e riveduta in qualche dettaglio, ma manteneva nella sostanza lo stesso impianto (e a questa ho fatto riferimento per le mie citazioni). La terza, in tre volumi (1913, 1914, 1917) conteneva numerose innovazioni.

Importa sottolineare infine che la nuova disciplina dei piani regolatori manteneva la competenza comunale in materia urbanistica. L'elaborazione e l'adozione dei piani spettava al Consiglio comunale, il quale doveva deliberare anche sulle eventuali opposizioni. Quindi era richiesto il parere della Deputazione provinciale, come già accadeva per i regolamenti. Per l'approvazione definitiva era necessario un apposito decreto reale, il quale però non poteva entrare 19 nel merito del piano (salvo accogliere le opposizioni dei privati) Si confermava ancora una volta la tendenza di fondo dell'ordinamento comunale italiano: un'ampia facoltà di intervento compensata da un rigido sistema di controlli.

A conclusione di questo rapido viaggio attraverso regolamenti e norme di legge, si delinea un insieme ricco e articolato di attribuzioni comunali, limitate dai forti controlli governativi. Più oltre ci soffermeremo anche sulla disciplina della finanza locale. In molti casi questa non consentiva ai Comuni di procurarsi le risorse necessarie a svolgere i propri compiti in modo efficace. Naturalmente l'esame della normativa fornisce soltanto le indicazioni necessarie per comprendere l'ordinamento istituzionale delle amministrazioni pubbliche. Ma bisogna tener presente che gli interventi comunali erano destinati a scontrarsi con una fitta rete di interessi locali. L'adozione di un piano regolatore, ad esempio, comportava la richiesta di espropriare i beni di alcuni proprietari, le contrattazioni sull'indennità, e talvolta il costo di lunghe vertenze giudiziarie. Ma anche i più semplici provvedimenti regolamentari - come la disciplina dei mercati o la sorveglianza sulla salubrità delle abitazioni - investivano consuetudini e interessi consolidati. D'altra parte vi erano iniziative pubbliche che favorivano determinate attività locali - * si pensi ad esempio alle società costruttrici - e che da queste

potevano essere sollecitate. Per esaminare e comprendere la concreta

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attività di un'amministrazione comunale, occorre rivolgere la propria attenzione ai mutamenti sociali e ai conflitti tra le diverse forze attive in una città. Abbandoniamo dunque le astrazioni della legge e torniamo al nostro osservatorio bolognese.

3.1.2. Servizi pubblici e regolamenti comunali

Il biennio compreso tra il 1866 e il 1868 costituì un periodo di svolta per la politica urbana a Bologna. In quel periodo gli interventi urbanistici e gli abbellimenti architettonici furono ridimensionati. L'attenzione dell'amministrazione comunale si spostò progressivamente in altri campi: i servizi pubblici, le condizioni igieniche e sanitarie, la normativa edilizia. Naturalmente la periodizzazione non è da intendersi in modo schematico. Già prima del 1866, negli anni dell'euforia per i grandiosi lavori straordinari, il Consiglio e gli uffici municipali si erano occupati in diverse occasioni di servizi e regolamenti di vario genere. Dopo la sospensione dei lavori, in molti