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2 8 al concorso bandito nel dicembre dell'anno precedente

2.2. GLI STRUMENT

La determinazione mostrata dagli amministratori bolognesi per deliberare i grandi lavori caratterizzò anche l ’iter dei provvedimenti necessari per consentirne la concreta realizzazione. Gli anni della Restaurazione pontificia avevano lasciato una struttura amministrativa debole, incapace di affrontare i problemi e le esigenze di una grande città. Pertanto per realizzare gli impegnativi interventi previsti dalla nuova amministrazione, bisognava prendere rapidamente alcune decisioni importanti: reperire risorse finanziarie adeguate, mobilitare nuove competenze tecniche, utilizzare una normativa "urbanistica” destinata ad essere modificata dal nuovo Stato unitario. Talvolta furono elaborate modalità di intervento del tutto nuove? talaltra fu possibile servirsi di strumenti già esistenti, piegandoli però alle esigenze di un diverso contesto istituzionale. In ogni caso, ciascuna di queste decisioni avrebbe profondamente condizionato l ’attività della amministrazione comunale negli anni successivi.

2.2.1. Il prestito pubblico

Il finanziamento dei grandi lavori si caratterizzò fin dall'inizio come u n ’operazione "straordinaria". I già ricordati interventi consiliari di Minghetti e Bevilacqua, nel gennaio del 1860, parlavano di "assegnazioni e mezzi straordinari". E così anche il * rapporto Martinelli, che definì in concreto le procedure da seguirsi

per finanziare i lavori1 . L'insistenza sul carattere "straordinario"

del finanziamento non era dovuta solo all'enfasi che segnò l'intera vicenda dei grandi lavori. Si trattava di reperire una somma ragguardevole, che non era{possibile ottenere dalle normali entrate di bilancio. D'altra parte il Comune voleva realizzare in proprio i lavori^ in previsione dei futuri vantaggi economici. Per far quadrare il cerchio si fece ricorso al debito pubblico. Il 30 gennaio 1860 fu decisa l'emissione di un prestito di 3 milioni. Il 5 luglio dello stesso anno si deliberò di aumentare la somma a 4 milioni, per far fronte ai nuovi lavori deliberati nel frattempo/ e nell'agosto furono pubblicati l'avviso per la prima sottoscrizione e il relativo

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regolamento .

Per ottenere il prestito, il Comune avrebbe emesso delle cartelle per un valore nominale complessivo di 4 milioni(v. tab. 16). Quindi/ a garanzia dei sottoscrittori/ avrebbe stanziato nel proprio bilancio gli interessi delle somme percepite e una somma annua di 60.000 lire (pari all'1,5% del debito contratto). Le cartelle avrebbero fruttato agli acquirenti un interesse annuo del 6%. Il loro ritiro ed il rimborso sarebbero avvenuti ogni anno a partire dal dicembre del 1861/ attraverso un'estrazione a sorte. Il Comune si riservava la possibilità di estinguere l'intero debito dopo il 1865. I quattro milioni così raccolti venivano destinati ai vari lavori previsti/ secondo una stima effettuata già dalla relazione di Fagnoli (v. tab.17). Gli interventi più costosi riguardavano l'ampliamento dell'asse stradale di Borgo Salamo e la costruzione della nuova strada per la stazione. Una somma limitata - circa 200.000 lire - veniva destinata all'estinzione di alcuni debiti precedenti. La gestione del prestito avrebbe richiesto una contabilità a parte, distinta dal bilancio ordinario. E la sorveglianza sulla correttezza dell'intera operazione era affidata ad

2 - Consiglio, 30 gennaio e 5 luglio 1860? una copia a stampa del bando (25 agosto 1860) e del regolamento sulla prima emissione del prestito (31 agosto 1860) in ASB, Comune/ Carteggio/ 1860/ XVIII, * 5.

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una commissione speciale, composta da tre consiglieri comunali e tre provinciali, i quali dovevano essere anche sottoscrittori. Nasceva così quella che fu denominata 1 1"Azienda" municipale dei lavori straordinari^.

Malgrado le tante discussioni e i dissensi sui dettagli del prestito, nessuno metteva in dubbio l ’esito vantaggioso che avrebbe avuto l ’intera operazione. Ancora una volta, il meccanismo sembrava semplice e perfetto. Ci si procurava a costi ragionevoli una forte somma, per realizzare lavori che avrebbero rapidamente fruttato ben più del 6% pagato ai sottoscrittori. Inoltre l'emissione di un prestito pubblico si adattava bene agli obiettivi simbolici perseguiti dall'amministrazione. La vendita di cartelle comunali costituiva un banco di prova della fiducia riscossa dalle nuove istituzioni locali; e al tempo stesso offriva la possibilità di rafforzare l'orgoglio cittadino. Le parole con cui si concludeva l'avviso pubblico per la prima sottoscrizione erano molto significative:

"La sicurezza dell'investimento, l'alto frutto accordato, la regolarità e prontezza dell'ammortamento, infine l'oggetto a cui debbono servire questi capitali, che è la comodità, il decoro e lo splendore di Bologna, assicurano la Giunta^Municipale del concorso numeroso e benevolo de' suoi concittadini."

La risposta dei "concittadini" fu molto positiva. L'elenco dei sottoscrittori del primo milione riportava i nomi di 104 tra privati e piccole società, quasi tutti impegnati per somme inferiori alle 10.000 lire. A questi si aggiungevano la Cassa di Risparmio e la Banca delle Romagne, che avevano sottoscritto 100.000 lire ciascuna^. Così il

3. I debiti del Comune al 12 giugno 1859 erano elencati nel Rapporto della Giunta comunale di Bologna sull'erogazione della prima emissione del prestito, Bologna, 12 novembre 1861, all.l.

4. La citazione è tratta dal bando del 25 agosto 1860, cit.

5. Bilancio dell'Azienda del Prestito Municipale di Bologna allo Stato dei Debitori e Creditori a tutto il 30 aprile 1863, in ASB, Comune, Carteggio, 1863, IV,5. Questo è l'unico elenco di cui è

prestito dei quattro milioni si configurava come un classico esempio di mobilitazione del risparmio privato. In mancanza di un'iniziativa imprenditoriale capace di intervenire per migliorare la "comodità" e il "decoro" della città, l'amministrazione comunale si incaricava di riunire risorse private frammentate e disperse. In questo modo essa avrebbe potuto finanziare le nuove spese pubbliche, mantenendo il pieno controllo di tutta l'operazione e godendone così i futuri vantaggi.

2.2.2. L'ufficio tecnico

Ancora prima di deliberare il prestito pubblico, nel dicembre 1859, il Consiglio comunale discusse ed approvò il Regolamento per l'Ufficio degli Ingegneri Comunitativi. Si trattava di uno strumento essenziale per la realizzazione dei grandi lavori," tanto che il senatore Pizzardi aveva anteposto la discussione su questo punto all'approvazione del bilancio**. Il regolamento assegnava all'ufficio "tutto quanto si riferisca ad operazioni d'arte pei lavori e fabbricati comunali, alla sorveglianza per l'esecuzione delle leggi d'ornato e della polizia urbana e rurale."(art.1)* Oltre all'ingegnere capo, dell'ufficio avrebbero fatto parte un ingegnere per la città e uno per gli appodiati, tutti coadiuvati da un disegnatore. A ciascuno di loro venivano assegnati compiti specifici. Il relativo Capitolato per l'impiego di Ingegnere in Capo prevedeva che quest'ultimo potesse tenere nel proprio ufficio "uno o due giovani applicati alla pratica istruzione". Stabiliva inoltre che l'ingegnere capo dovesse dipendere

stato possibile trovare una copia. Un cenno alla rapida sottoscrizione del secondo milione nel Rapporto della Giunta (...) sull'erogazione..., cit., p.6.

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direttamente dai deputati d'ornato e dall’intera Magistratura, Quindi 7

ne fissava lo stipendio e un'indennità integrativa .

Dopo l'approvazione ■ del regolamento fu preparato il concorso per il posto di ingegnere capo. Il procedimento fu assai rapido. Il bando, pubblicato il 28 dicembre 1859, stabiliva che le candidature dovessere essere presentate entro il 31 gennaio dell’anno successivo. La scelta definitiva era affidata al Consiglio comunale, il quale si pronunciò il

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13 febbraio . In quell'occasione toccò a Minghetti vincere le riluttanze di alcuni consiglieri, perplessi sull'opportunità che un Consiglio ormai prossimo alla scadenza procedesse ad una nomina così delicata. L'autorevolezza del leader moderato l'ebbe vinta: in quella seduta l'ingegnere perugino Corio-lano Monti fu chiamato a dirigere il rinnovato "Ufficio degli Ingegneri Comunitativi” (che in seguito fu

9 chiamato comunemente l ’ufficio tecnico) .

Con l ’approvazione del regolamento e con il concorso pubblico erano stati introdotti elementi di novità all'interno della struttura amministrativa comunale. Benché sappiamo poco (l'ho già osservato) sulle caratteristiche della amministrazione bolognese negli anni della Restaurazione, si può tuttavia affermare che gli organi deputati all'"ornato" e all'edilizia pubblica non brillavano certo per la loro

7. Entrambi i testi in Consiglio, 15 dicembre 1859, allegati, b. 2, all.C (sia il Regolamento che il Capitolato contavano 13 articoli).

8. Una copia a stampa dell' Avviso di concorso del 28 dicembre 1859, "per l'Ingegnere in Capo di questo Comune", in Consiglio, 13 febbraio Ì860, allegati, b. 2. Nel rapporto di Fagnoli sul concorso (ivi), si era fatto cenno ad un precedente concorso bandito nel febbraio 1859 e non espletato. Di questo non ho trovato altre notizie, ma la sua esistenza mi sembra confermare l'incipiente dinamismo di quegli ultimi anni pontifici.

efficienza . Esisteva un ufficio degli ingegneri, e con esso la funzione di ingegnere capo, ricoperta di fatto dal 1846 da Luigi Marchesini. Ma il ruolo^ dirigente di quest'ultimo non era mai stato sanzionato dalla amministrazione pontificia. Così nel 1859 fu possibile al nuovo Consiglio comunale non riconoscere alcun diritto a Marchesini, e questi fu messo nella condizione di dimettersi. Proprio il testo della sua "istanza di quiescenza", nella quale il vecchio ingegnere ripercorreva (con amarezza) le tappe della sua carriera , fornisce qualche indicazione utile sulle deficienze dell'organizzazione del suo ufficio: l'attività professionale privata si sovrapponeva e confondeva con gli incarichi pubblici, la divisione dei compiti non era ben chiara, lo stato delle conoscenze.sul territorio urbano sembrava assai arretrato11.

E' evidente che il nuovo regolamento segnava una svolta decisa rispetto a questo recente passato. Esso definiva (sia pure in modo sommario) l'ambito di competenze dell'ufficio tecnico, ne delineava l'organizzazione interna, gli assegnava risorse proprie. Eppure, malgrado le innegabili novità, la figura professionale dell'ingegnere

10. Cfr. ad esempio E.Gottarelli, L'urbanistica..., cit., pp.33-40? G.Ricci, cit., pp.121-122.

11. Questa disorganizzazione ebbe uno sbocco esemplare, e quasi grottesco, nel conflitto che oppose l'amministrazione comunale e il suo ingegnere capo, a proposito di una Carta dei condotti sotterranei della città: che era di sua personale proprietà, sosteneva Marchesini, per averla egli fatta senza incarico di nessuno? ma di utilità pubblica, replicava il Comune, che sembrava averne gran bisogno e ne reclamava la pronta consegna. Il conflitto si protrasse per circa un anno, e si risolse infine con un'estrema soddisfazione del vecchio ingegnere. Il 30 novembre 1861 il Consiglio deliberò di assegnargli una pensione vitalizia, nonché la somma di 3.000 lire? destinate appunto all'acquisto della sospirata carta. * Su tutte queste vicende cfr. Consiglio, 21 dicembre 1860? ivi, allegati, b. 4, all.B (lettera di dimissioni del 20 dicembre 1860), e all.C (rapporto del consigliere Succi)? Consiglio, 30 settembre, 18 % novembre, 30 novembre.1861.

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capo nasceva con una caratterizzazione ambigua e potenzialmente contraddittoria. Le sue attribuzioni ne facevano di fatto il principale responsabile tecnico di fguella che potremmo definire - con un' espressione d'oggi - la politica urbanistica comunale. Pertanto il suo lavoro assumeva pieno significato solo se considerato in una prospettiva di medio periodo. D'altra parte il modo stesso in cui si si era giunti alla sua nomina legava strettamente i compiti del nuovo impiegato ad una specifica e determinata congiuntura, quella dei grandiosi lavori straordinari. Si può supporre che se questi lavori non fossero stati già decisi, l'élite politica locale non avrebbe riorganizzato così in fretta e a fondo l'ufficio degli ingegneri. A conclusione di questo processo contraddittorio, l'ufficio si trovava a disporre di attribuzioni e compiti nuovi, ancora da sperimentare, che potevano andare oltre la semplice direzione di opere già definite da altri. Il modo in cui avrebbe operato concretamente il nuovo ufficio dipendeva in gran parte dal suo capo.

Chi era, dunque, Coriolano Monti? Laureato nel 1840 in scienze fisiche e matematiche, abilitato all'esercizio professionale come ingegnere, architetto e perito agronomo, Monti aveva lavorato a Firenze per conto del principe Demidoff. In seguito si era occupato, in Piemonte e in altre regioni italiane, di vari progetti stradali e ferroviari, realizzati solo in parte. Oltre a questi lavori egli poteva vantare una abbondante produzione di progetti, disegni e pubblicazioni varie, che spaziavano in campi assai diversi12.

Si trattava di un iter professionale ricco, ma non particolarmente prestigioso. Forse non ci si poteva attendere molto di più da un ingegnere italiano della metà del secolo. E del resto nomi e titoli degli altri sedici candidati non erano molto più convincenti. Vi * compariva tra gli altri il bolognese Giuseppe Mengoni, futuro artefice

12. Queste informazioni sono tratte dalla lettera di candidatura di Monti del 23 gennaio 1860 e dal suo Indice dei documenti, entrambi * in Consiglio, 13 febbraio 1860, allegati, b. 2.

Riccardi, anch’egli ingegnere ferroviario, nonché professore di architettura e ornato alla Accademia di Ravenna? o forse Gaudenzio Valle, l'unico che potesse vantare un'‘esperienza - a Novara - da

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ingegnere municipale . Ma nel complesso non vi era alcun concorrente che prevalesse nettamente sugli altri. La maggior parte aveva effetuato qualche lavoro in campo ferroviario. Molti sottolineavano il proprio impegno civile e politico, mostrando d'aver avuto una comune militanza risorgimentale.

Fu proprio quest'ultimo elemento a favorire la candidatura di Monti. Il curriculum dell'ingegnere perugino comprendeva tra l'altro l'elezione all'Assemblea costituente romana nel 1849. Le sue posizioni politiche gli erano costate l'esilio: prima a Firenze, poi in Piemonte. Qui, nel liberale Regno di Sardegna, aveva ricoperto diversi impieghi governativi. Di tutta l'attività professionale e civile, Monti portava ampia testimonianza in forma di lettere, attestati, pubblici riconoscimenti di stima. Da questi documenti emergeva una rete di qualificate relazioni sociali e professionali. Il rapporto di Fagnoli sull'andamento del concorso insisteva più su questi aspetti che sui lavori concretamente effettuati. Inoltre durante la discussione numerosi consiglieri confermarono di aver chiesto informazioni su Monti a Torino, dove egli risiedeva e di averne ricevuto diversi

13. Sull'attività e i titoli dei candidati cfr. il Riferimento del Sig. Conservatore Fagnoli intorno alle istanze, e documenti prodotti da diversi concorrenti per il posto d'Ingegnere in capo del Comune, in Consiglio, ivi. Ricordo inoltre che Mengoni già nel 1861 fu segnalato nel concorso di Milano che avrebbe poi condotto alla realizzazione della Galleria? cfr. P.Sica, Storia dell'urbanistica, L'Ottocento, vol.I, Bari, Laterza, 1977, pp. * 499-500.

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apprezzamenti . La sua nomina, insomma, sembrò premiare il personaggio pubblico, ancor più che il tecnico capace. E' probabile che i consiglieri comunali, be^n consapevoli di quanto fossero ampie le attribuzioni assegnate all'ufficio degli ingegneri, volessero premunirsi dal rischio di futuri conflitti di competenze tra rappresentanza politica e professionisti municipali.

2.2.3. La normativa sull * esproprio

Se per reperire i mezzi finanziari e le competenze tecniche era stato necessario elaborare nuovi strumenti di intervento, in campo normativo l'amministrazione municipale poteva servirsi di un'arma già esistente: l'editto pontificio del 1852 sulla espropriazione per causa di pubblica utilità. L'editto rimase in vigore nei territori già pontifici fino alla emanazione della legge nazionale del 1865. A Bologna fu applicato in diverse occasioni, dando luogo a lunghe discussioni, critiche, vertenze.• Per comprendere le ragioni di questi conflitti, bisogna analizzare il contenuto e le caratteristiche essenziali della legge pontificia.

L'editto regolava le modalità delle espropriazioni, che si rendevano necessarie per la realizzazione dei lavori di pubblica utilità15. Il testo però non definiva in modo esplicito quali fossero

14. Cfr. il Riferimento ... Fagnoli..., cit. Le informazioni furono richieste dal consigliere Francesco Ramponi ad un altro bolognese, lo scienziato Giambattista Ercolani, esule in Piemonte per sfuggire alla repressione pontificia, che di lì a poco sarebbe tornato a Bologna e vi avrebbe svolto un ruolo di rilievo. Oltre a Ramponi, altri cinque consiglieri affermarono di aver avuto

informazioni favorevoli su Monti (Consiglio, 13 febbraio 1860). 15. Editto Antonelli Sull'espropriazione coattiva de' fondi rustici ed

urbani, a causa di pubblica utilità, e liquidazione de' respittivi diritti, 3 luglio 1852 , n.2, in "Raccolta delle leggi ...", cit., voi.VI, p.II, Roma 1852, pp.16-28.

i lavori di "pubblica utilità"; si limitava soltanto a stabilire che le espropriazioni necessarie dovevano essere precedute da un "sovrano decreto" (art.l). In questo modo la dichiarazione di pubblica utilità era affidata, in modo vago ed implicito, alla assoluta discrezionalità

16 del potere centrale

Fissato questo principio basilare, l ’editto indicava le procedure da seguirsi per effettuare l'espropriazione e per determinare le relative indennità. Erano previste due fasi principali. La prima comprendeva la pubblicazione del piano esecutivo dei lavori, le modalità da rispettare per gli eventuali reclami e per la loro risoluzione (artt.2-6). La seconda fase riguardava la determinazione delle indennità da pagarsi agli espropriati e la regolazione delle eventuali controversie (artt.7-15). In particolare l'art. 15 consentiva agli espropriati di .ricorrere contro le decisioni dell'ente espropriante relative all'ammontare delle indennità, presentando i propri reclami dinanzi ai "Magistrati del contenzioso amministrativo"1^. L'articolo precisava però che la pendenza di questo

16. Cfr. al riguardo le osservazioni di G.Roehrssen, La dichiarazione di pubblica utilità, in U.Pototschnig (a cura di), L'espropriazione per pubblica utilità, Vicenza, Neri Pozza, 1967, pp.55-56.

17. Il contenzioso amministrativo era regolato principalmente da due leggi: Istituzione di un Consiglio di Stato, editto Antonelli del 10 settembre 1850, n.38, in "Raccolta delle leggi ...", cit., voi. IV, p.IIr Roma 1851, pp.96-102; Sull'esercizio della giurisdizione contenziosa negli affari amministrativi, editto Antonelli del 2 giugno 1850, n.78, ivi, vol.V, Roma, 1852, pp.160- 166. Quest’ultimo costituiva in sostanza il regolamento della legge sul Consiglio di Stato (previsto all'art. 19). Esso stabiliva tra l'altro che gli affari del contenzioso amministrativo di Provincie e Comuni sarebbero stati decisi in primo grado dalle Congregazioni governative dei delegati ed in seconda istanza dai Consigli di legazione (art.9). Per una analisi sommaria dei due editti (ritenuti poco innovativi), cfr. E.Esposito, Il contenzioso amministrativo nello Stato Pontificio, in Studi in occasione:.., cit., in part. pp. 245-248.

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contenzioso non avrebbe potuto ritardare l ’esecuzione dei lavori.

Gli articoli successivi indicavano altre questioni di dettaglio, trascurabili ai fini de,l nostro discorso. Ma tra le Disposizioni conclusive vi era l'articolo 27, che poneva invece un problema delicato, sul quale occorre soffermarsi. L ’articolo 27 assegnava alla pubblica amministrazione la facoltà di procedere a l l 1 esproprio totale di un intero immobile. Ciò significava che nell'esproprio potevano essere comprese anche quelle parti residuali dell'immobile, che non erano strettamente necessarie per l'esecuzione dell'opera pubblica. Ma la facoltà di procedere all'espropriazione totale (per zone) poteva essere esercitata solo in base ad una complicata valutazione economica: bisognava verificare che le spese da pagarsi all'espropriato per compensarlo del deprezzamento subito dal residuo, e per coprire i costi delle nuove costruzioni, fossero risultati uguali (o superiori) alla metà del valore attribuibile al residuo stesso. Solo in questo caso era legittimo, in quanto si presentava più conveniente sul piano economico, richiedere l'esproprio dell'intero immobile.

E' evidente che le disposizioni dell'articolo 27 offrivano alle amministrazioni pubbliche uno strumento formidabile per l'esecuzione di lavori edilizi? e vai la pena di notare, per inciso, che nessuno degli

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Stati preunitari prevedeva disposizioni analoghe . Ma questo articolo

18. Cfr. C.De' Bosio, Della espropriazione e degli altri danni che si recano per causa di pubblica utilità, p.II, Venezia, 1857, pp. 145-150. L'espropriazione per zone era stata prevista per la prima volta dalla legge francese del 1850 sull' Assainissement des logements insalubres - che però la finalizzava solo ad obiettivi di risanamento - e dalla legge federale svizzera del 1852. Per quanto riguarda gli Stati italiani, occorre ricordare che una vera e propria legge sull'espropriazione esisteva soltanto nel Regno di Sardegna e nel Ducato di Modena. Negli Stati restanti si ebbero soltanto normative speciali per meterie e casi specifici. Per un quadro della legislazione italiana nella prima metà dell'Ottocento lo studio più completo è quello citato di De' Bosio, che nella prima parte (Venezia, 1856) riproduce anche una gran quantità di testi legislativi (con particolare attenzione per il Lombardo Veneto). Ma cfr. anche F.Accame, Della espropriazione in causa di pubblica utilità, Genova, 1853, che analizza la legge piemontese

introduceva anche una contraddizione insanabile all*interno della legge pontificia. Vediamo in che modo. Ho già osservato che l'editto prevedeva, due distinte fas,i procedurali. Nelle disposizioni relative alla prima fase, che riguardavano l'esproprio in senso stretto, veniva individuato il termine perentorio di quindici giorni per presentare reclami ed osservazioni sul piano esecutivo dei lavori. Il termine decorreva dalla pubblicazione del piano (artt. 3 e 6). Dopo che le autorità competenti si erano pronunciate definitivamente sul piano esecutivo e sulle relative osservazioni, poteva avviarsi la seconda fase, quella dell'indennizzo. A quel punto gli uffici tecnici ("gl'ingegneri") potevano redarre le perizie necessarie per determinare le indennità da pagarsi agli espropriati. Ora, per decidere se valersi ò no dell'art. 27, l'ente espropriante doveva disporre proprio di queste perizie. In esse venivano stimate le spese da sostenere per