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Dopo la caduta dello Stato pontificio, il rinnovamento politico e istituzionale mutò i compiti e le funzioni della amministrazione comunale bolognese. Questa disponeva adesso di nuovi e più ampi strumenti di intervento. I rappresentanti eletti nelle istituzioni locali - in maggioranza possidenti di orientamento moderato - vollero utilizzare a fondo questi strumenti. In particolare decisero di intraprendere una impegnativa politica di abbellimento urbano, dalla quale ottenere vantaggi economici, estetici e funzionali per l'intera città. Tale politica avrebbe assunto anche un valore simbolico, in quanto esprimeva con immediata evidenza le novità introdotte dai mutamenti istituzionali. Attraverso l'abbellimento urbano il gruppo dei notabili cittadini intendeva mostrare la propria capacità di andare oltre la semplice rappresentanza degli interessi di una ristretta base elettorale, legittimando la propria identità come ceto politico locale.

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2.1.1. Gli uomini e le istituzioni

Nel breve e intenso periodo della transizione politica e istituzionale, tra il 1859 e il 1860, il governo cittadino a Bologna fu caratterizzato da una grande instabilità e da continui mutamenti. Dopo il 12 giugno 1859, data della partenza da Bologna del legato pontificio, la guida dell'amministrazione fu affidata ad organismi * dotati di poteri transitori: prima la Giunta provvisoria di governo,

quindi la Commissione provvisoria municipale. Nell'ottobre 1859, mentre la guida del Governo delle Provincie delle Romagne era in mano al colonnello Cipriani, si svolsero in città le elezioni per il nuovo Consiglio comunale. Anche queste elezioni si tennero all'insegna della provvisorietà. Per realizzarle furono rispolverate in buona parte le

disposizioni contenute in un decreto del 31 gennaio 1849, emanato dalla Commissione provvisoria di governo degli Stati romani. Il Consiglio entrò in funzione il 29 ottobre, e nei mesi successivi svolse un'attività intensa e rilevante. Ma alla fine dell'anno, il nuovo governatore Farini decretò l'estensione nelle Romagne della legge comunale e provinciale del Regno di Sardegna, la cosiddetta legge Rattazzi. Così il 13 febbraio 1860 fu necessario svolgere nuove elezioni comunali. Questa volta, trattandosi di disposizioni legislative che in seguito sarebbero state estese in tutto il territorio nazionale, i poteri dell'amministrazione municipale furono definiti in modo meno incerto e precario. Quindi la transizione istituzionale si concluse con .il plebiscito per l'annessione e le elezioni politiche, nel marzo 1860^.

Il Consiglio comunale eletto nel 1859 non differiva in modo sensibile da quello dell'anno successivo. Su 69 consiglieri (quanti ne erano previsti dal vecchio decreto; mentre la legge Rattazzi fissava il numero di 60), 45 furono confermati anche nel 1860; tra questi erano compresi quasi tutti i nomi di maggior spicco. Il liberalismo moderato costituiva l'orientamento politico nettamente prevalente. I moderati formavano uno schieramento eterogeneo, che faceva riferimento a leader

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spesso divisi sulle grandi questioni nazionali . Ma in ambito locale essi condividevano interessi comuni e presentavano una certa coesione sociale. La composizione professionale dei due organismi consiliari può dirci qualcosa in proposito.

1, Le leggi e i decreti relativi alla transizione istituzionale sono riprodotti in Raccolta degli atti governativi pubblicati nelle Provincie delle Romagne e dell'Emilia. Dal 12 giugno 1859 al 18 marzo 1860, Bologna, 1860. Su questi avvenimenti cfr. inoltre I. Zanni Rosiello, L'unificazione politica e amministrativa nelle "Provincie dell'Emilia" (1859-1860), Milano, Giuffré, 1965, in part. pp. 37-76; e R. Zangheri, L 'unificazione, in Id. (a cura di), Bologna, Bari, Laterza, 1986, in part, pp. 31-41,

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E' stato possibile individuare l'attività svolta da 75 consiglieri, su un totale complessivo di 84 (v. tab. 10). Quasi la metà dei consiglieri considerati 33 rientrava nella categoria dei possidenti; indicando con questo termine ambiguo e generico coloro che probabilmente traevano la fonte di reddito principale dalla proprietà terriera. L'altra metà era divisa pressoché equamente tra gli altri gruppi. Sedici consiglieri svolgevano un'attività commerciale/ industriale o creditizia, senza che esistesse un settore merceologico prevalente. Vi ritroviamo i proprietari di due importanti lanifici e di una impresa produttrice di ferri chirurgici; due banchieri; e con loro alcuni grossi commercianti di canapa, passamaneria/ droghe/ ferro, talvolta impegnati anche sul versante della produzione (le attività di produzione e di vendita erano gestite molto spesso dalla stessa unità economica). Altri sedici appartenevano al gruppo dei professionisti e dei professori universitari. La distinzione tra queste due figure era spesso incerta, in quanto coloro che insegnavano diritto o medicina esercitavano al contempo la professione (ma in questo caso sono stati considerati come docenti). La categoria più numerosa era quella dei sei legali, dei quali uno (Giuseppe Ceneri) era professore universitario. Infine è stato considerato a parte un insieme eterogeneo di dieci "stipendiati", nel quale spiccava la presenza di tre magistrati. Ma bisogna precisare che quest'ultima è quasi una categoria residuale. I suoi componenti - insegnanti, funzionari, impiegati - erano accomunati solo dal fatto di svolgere un'attività retribuita con uno stipendio regolare (quasi sempre nella pubblica amministrazione).

Sulla delicata questione delle fonti e dei criteri utilizzati per questa classificazione professionale ho dato qualche indicazione in una apposita appendice, e avrò modo di tornare ancora più oltre, in diverse occasioni. Per il momento mi sembra necessario precisare due punti. Anzitutto bisogna tener presente che il tipo di fonti disponibili ha consentito di censire quasi tutti coloro che svolgevano attività commerciali, industriali o professionali; mentre l'appartenenza al ceto dei possidenti poteva essere colta soltanto per quegli individui che pagavano un'imposta fondiaria elevata, o che erano abbastanza noti da

poter essere citati per varie ragioni nella pubblicistica coeva. 1

Pertanto è probabile che la maggior parte dei consiglieri di cui non è stata individuata l'attiyità appartenesse al gruppo dei piccoli possidenti. In secondo luogo, è evidente che le distinzioni adottate contengono sempre un ampio margine di interpretazione soggettiva. Il problema principale si è posto ancora una volta per i possidenti. I possidenti "puri" erano rari: molti di loro svolgevano al contempo altre attività, anche se la base del loro patrimonio restava pur sempre di origine agricola. Inversamente, e questo è più importante, numerosi commercianti, professionisti, o professori universitari, erano anche possidenti. In diversi casi era assai difficile determinare quale fosse l'attività principale^.

Malgrado questi ed altri limiti, i dati di cui disponiamo mostrano con sufficiente chiarezza la netta prevalenza dei proprietari terrieri all'interno del Consiglio comunale. Se ne ha una conferma dalla analisi del nucleo più significativo della rappresentanza cittadina nel periodo della transizione: cioè dei 45 consiglieri presenti in entrambi gli organismi consiliari (quello eletto nel 1859 e quello del 1860). In questo caso la rilevazione è più completa, in quanto copre un insieme di 41 nominativi (v. tab. 11). I 18 consiglieri possidenti costituivano sempre la presenza più numerosa. Qualche cambiamento significativo si registrava invece nella distribuzione percentuale degli altri gruppi. Diminuiva il peso dei rappresentanti del mondo commerciale e industriale, che aveva solo 7 consiglieri. Mentre risultava rafforzata la presenza di professionisti e professori universitari, con 11 nomi; tra cui cinque legali (sui sei già rilevati nell'insieme più ampio). E anche nella categoria degli stipendiati - altri cinque consiglieri

3. Alcune indicazioni interessanti sulla difficoltà di definire l'identità dei professionisti che fossero anche proprietari terrieri in P. Macry, Notables, professions libérales, employés: la difficile identité des bourgeoisies Italiennes dans la deuxième moitié du XIX siècle, in "Mélanges de l'Ecole Française de Rome", 1985, n.l, in part. pp. 346-353.

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ritroviamo ancora i tre magistrati individuati in precedenza. Infine, un'ulteriore conferma della prevalenza dei proprietari proviene dall'esame delle attività £ei "conservatori" e degli assessori: cioè di quello che potremmo definire, in modo grossolano, il potere esecutivo comunale (v. tabella 12). Su un totale di 14 individui identificati, 7 erano possidenti. I commercianti e gli industriali erano soltanto due, i professionisti tre. A questi si aggiungevano un magistrato e un funzionario statale (di un assessore non è stata identificata 1'attività)

Da questi dati possono trarsi due considerazioni generali. La prima appare piuttosto scontata e riguarda il carattere "notabilare" della rappresentanza politica cittadina. La prevalenza dell'agricoltura nell'economia e nella società bolognesi trovava una corrispondenza immediata anche all'interno del Consiglio comunale. Utilizzando le puntuali definizioni elaborate in proposito da Farneti, potremmo dire che il consigliere-possidente si configurava come un classico esempio di "politico-notabile": egli "traduce(va) il proprio potere nella

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società civile all'interno della società politica" . E' evidente che questo tipo di rappresentanza era favorito dalla ristrettezza del suffragio censitario. La seconda considerazione si riferisce alle potenziali novità introdotte dalla presenza di legali e magistrati. All'interno di questo gruppo abbiamo registrato la proporzione più rilevante di consiglieri presenti in entrambe le rappresentanze consiliari. Questo dato mi sembra significativo.L'aumento percentuale e la presenza costante dello stesso nucleo di professionisti introduceva una pur lieve complicazione nel meccanismo di rappresentanza notabilare. Forse - lo vedremo meglio più oltre - le professioni legali si proponevano di trarre vantaggio da un percorso di carriera politica.

4. P. Farneti, Classe politica, in Id. (a cura di), Politica e società, Firenze, La Nuova Italia, 1979, p.231. Per una definizione più articolata del termine notabile cfr. Id. Sistema politico..., cit., pp*95-98.

Ma per cogliere l ’esistenza di reali elementi innovativi nel sistema politico locale del periodo della transizione, occorre affrontare una questionp di fondo: in che misura esisteva una continuità tra questo sistema politico e quello del periodo pontificio? Purtroppo lo stato della ricerca su Bologna negli anni della Restaurazione non consente di effettuare una comparazione rigorosa. Mi limiterò' a delineare qualche ipotesi, soffermandomi in particolare su alcuni casi individuali.

Abbiamo visto che le élites economiche del periodo pontificio mantennero la loro posizione di primo piano anche dopo l'Unità. Vale la pena di ricordare i nomi di Bevilacqua, dei fratelli Pizzardi, di Marsili: possidenti che detenevano la leadership economica nell'ultimo decennio della Restaurazione, e che ritroviamo tra i protagonisti anche negli anni successivi. Rispetto alla continuità della vita economica, la rappresentanza politica locale conobbe in apparenza un ricambio più significativo. Dei 36 consiglieri presenti nel ristretto organismo consiliare del gennaio 1859, solo 11 furono eletti in almeno una delle due elezioni successive. Gli uomini maggiormente legati al governo pontificio scomparvero dalle prime file della scena politica. Invece entrarono nel Consiglio del 1859-60 alcuni esponenti liberali, che negli ultimi anni di potere pontificio si erano mostrati assai critici nei confronti della amministrazione comunale: come Minghetti, Gioacchino Pepoli, Tanari, Camillo Casarini5 . Con loro furono eletti

5. Minghetti, Pepoli e Tanari erano stati i firmatari nel 1858 di un documento d'accusa contro gli sprechi delle finanze comunali? cfr. L. Lanzi, Il Consiglio comunale di Bologna tra politica ed amministrazione (1804-1860), Tesi di laurea, Facoltà di lettere e filosofia, Corso di laurea in lettere moderne, a.a. 1972-73 (relatore U. Marcelli), pp. 311-328 (questa tesi - sia detto per inciso - fornisce alcune tra le poche informazioni disponibili sull'amministrazione comunale di Bologna durante la Restaurazione). Casarini era stato uno degli animatori della Società Nazionale bolognese? molte informazioni sulla sua attività politica negli ultimi»anni pontifici in F.S.Trincia, Casarini, Camillo, in Dizionario biografico degli italiani, cit., voi.21,

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altri nuovi rappresentanti, esponenti delle élites economiche e professionali cittadine, meno noti fuori dai confini comunali. Ad esempio i commercianti ed imprenditori Rodolfo Audinot (forse il più conosciuto del gruppo). Paolo Lollini, Filippo Manservisi, Egidio Succi? gli avvocati Gaetano Berti e Napoleone Brentazzoli, gli ingegneri Carlo Brunelli e Giacomo Cazzani.

Ma se invece concentriamo l'attenzione sul percorso compiuto da altri personaggi di rilievo, allora emergono alcuni elementi di significativa continuità, che temperano la prima impressione di un ricambio della rappresentanza politica. Degli otto conservatori dell'ultima amministrazione pontificia, sei erano stati confermati anche nelle rappresentanze successive. Alcuni casi sono particolarmente significativi di questa continuità. Enrico Sassoli - possidente e conservatore anziano e il già ricordato Marsili, furono eletti conservatori anche nel nuovo Consiglio del 1859. Luigi Pizzardi, onnipresente, fu eletto "senatore" del Comune nel 1859 (la legge transitoria prevedeva che l'elezione del senatore - il capo del'amministrazione - fosse effettuata dagli stessi consiglieri). Nel 1860 fu nominato sindaco e restò in questa carica fino alla fine del 1861, primo sindaco di Bologna dopo l ’annessione. Il conte Giovanni Malvezzi Medici, ancora un noto possidente, avrebbe ricoperto la carica di assessore negli anni successivi. Tra gli altri consiglieri destinati ad essere riconfermati in seguito, anche senza ricoprire cariche particolari, vanno ricordati Bevilacqua - un altro notabile presente dappertutto? e Giuseppe Ceneri, avvocato e docente universitario di diritto civile (uno dei sei conservatori del 1859): entrambi molto attivi nel periodo della transizione. A sanzionare questo sottile ma robusto filo di continuità della rappresentanza politica, nel marzo > 1860 giunse la nomina a senatori del Regno di Pizzardi, Bevilacqua, Malvezzi. Con loro entrarono in Senato anche il conte Giovanni

1978, pp.186-190. Ovviamente su questi e su tanti altri personaggi * citati in queste pagine avrò modo di tornare ancora.

Gozzadini, un altro grande possidente; e Antonio Montanari, docente di storia negli annj. pontifici e "reggente" dell'Università dopo il 1859, un liberale moderato che aveva avuto una parte di rilievo nel processo

1 g di annessione delle Romagne .

E' probabile che anche l'esame più attento delle istituzioni della società civile negli anni della Restaurazione rafforzi e qualifichi meglio questa immagine di continuità. Ad esempio, da una lettura sommaria del "Diario ecclesiastico" - una sorta di annuario della Bologna pontificia - alcuni dei personaggi ricordati si ritrovano nelle commissioni amministrative degli ospedali e di altre istituzioni di assistenza^. Nel 1859 e nel 1860 Bevilacqua e Sassoli erano rispettivamente il presidente .e il vice presidente del Conservatorio dei SS. Gioacchino ed Anna. Già nel 1851 Bevilacqua presiedeva la Commissione centrale di pubblica beneficienza, affiancato tra gli altri ancora da Sassoli e da Paolo Silvani. Futuro direttore della Banca delle quattro legazioni, quest'ultimo, nonché consigliere comunale nel 1859 e nel 1860. Altre informazioni utili potrebbero venire dagli elenchi dei vari ordini di "camerieri segreti" del pontefice, riportati

6. Su Montanari cfr. M. Rosi (a cura di), Dizionario del Risorgimento nazionale, voi. IV, Milano, Vallardi, 1937, ad nomen. Segnalo inoltre che alle elezioni politiche del marzo 1860 furono eletti in Parlamento Gioacchino Pepoli, Carlo Berti Pichat, Minghetti, Audinot, Tanari; cfr. R. Zangheri, L'unificazione, cit., p. 41.

7. Il "Diario ecclesiastico per la città e diocesi di Bologna", Bologna, 1818 ss., costituiva una sorta di annuario della Bologna pontificia. In esso venivano riportati i nomi dei professionisti attivi in città, dei docenti universitari e degli accademici, degli amministratori di istituti di istruzione e assistenza. Mancavano però - il che mi sembra significativo - informazioni di qualsiasi genere sulle istituzioni amministrativi e sulle attività commerciali e industriali. Il "Diario" fu pubblicato con cadenza quasi annuale dal 1818 al 1859. I fascicoli apparsi dopo l'Unità erano dedicati quasi esclusivamente alle istituzioni • ecclesiastiche locali,

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dall'"Almanacco" dello Stato pontificio . Ma lo stato della ricerca su quegli anni - lo ripeto - non ci consente di andare oltre questo livello impressionistico/ finche perché non è facile cogliere appieno il valore di queste cariche ad affiliazioni.

Finora ho parlato molto di uomini e poco di istituzioni. Ne è emerso un quadro in cui la rappresentanza politica locale alle soglie dell'unificazione nazionale era dominata dalla presenza di un ceto di proprietari terrieri. Tale presenza rifletteva in gran parte gli interessi e gli equilibri di potere dell'economia locale e manteneva una certa continuità con le amministrazioni del periodo pontificio. Ma parlare di relativa continuità tra le amministrazioni pontificie e quelle unitarie limitandosi a . considerarne i rappresentanti - gli uomini, appunto - rischia di essere fuorviante. Bisogna tener presente che nel breve periodo compreso tradii giugno 1859 e il marzo 1860 la "rottura11 più significativa nel sistema politico avvenne al livello delle istituzioni. Ho già ricordato che in quei mesi fu estesa alla provincie emiliane la legge sarda sull'ordinamento comunale e provinciale. Si trattava di una legge emanata dal governo Rattazzi, utilizzando i pieni poteri che gli erano stati concessi per lo stato di guerra. Negli anni successivi essa fu estesa progressivamente a tutto il territorio nazionale. Può' apparire paradossale parlare di "rottura" per una legge che nel giudizio degli storici - e di molti contemporanei - è stata vista piuttosto come un congelamento, se non un arretramento, rispetto alla normativa esistente ad esempio in Lombardia. Ma l'ordinamento locale dello Stato pontificio era molto più arretrato, e

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8. Cfr. "Notizie per l'anno ... (Almanacco dello Stato pontificio)", Roma, 1855 ss. (ma la pubblicazione esisteva anche nei decenni precedenti). Le informazioni fornite da questo "Almanacco" si riferivano in particolare alle istituzioni statali. Per Bologna venivano forniti i nomi dei membri della Delegazione, dei "consultori", e poche altre informazioni sull'Università e la * Banca delle quattro legazioni.

rispetto a questo la • legge Rattazzi costituì una profonda 9

innovazione •

Le leggi principali che regolavano gli ordinamenti locali pontifici negli anni precedenti l ’unificazione erano state emanate nel novembre 1850. Esse erano parte integrante di una più ampia iniziativa di riforma delle istituzioni pubbliche, avviata da Pio IX dopo il "ritorno all'ordine" del 1849. Uno degli obiettivi della riforma era far sì che "Le rappresentanze e le amministrazioni municipali (fossero) regolate da più larghe franchigie e (...) compatibili cogl'interessi locali dei comuni"1^. Se si fa riferimento alla normativa preeesistente, questo obiettivo fu certamente raggiunto. La legge del 1850 rendeva elettivo il Consiglio comunale e assegnava ai Comuni poteri più ampi Ma si trattava pur sempre di avanzamenti assai limitati, in particolare per quanto riguardava i meccanismi elettorali. L ’art. 58 stabiliva che il numero degli elettori doveva essere pari a sei volte il numero dei consiglieri comunali; questi ultimi, nelle

9. Sulla legge Rattazzi cfr. G. Candeloro, Storia dell1 Italia moderna, voi. V, La costruzione dello Stato unitario. 1860-1871, Milano, Feltrinelli, 1978 (I ediz. 1968), pp. 109-112; G. De Cesare, L'ordinamento comunale e provinciale in Italia dal 1862 al 1942, Milano, Giuffré, 1977, pp. 10-18.

10- Moto-Proprio di Sua Santità sull'organizzazione del Governo, ed istituzione del Consiglio di Stato, e consulta di Stato per la finanza, 12 settembre 1849, n. 29, in "Raccolta delle leggi e disposizioni di pubblica amministrazione nello stato pontificio", voi. Ili, Roma/ 1851, pp. 63-68.

11. Legge sui comuni e loro amministrazione, Editto Antonelli del 24 novembre 1850, n.67, in "Raccolta delle leggi...", cit., pp. 262- 290. Su questa legge, e in genere sull'ordinamento locale dello Stato pontificio durante la Restaurazione, cfr. L.Toth, Gli ordinamenti territoriali e l'organizzazione periferica dello Stato pontificio, in Studi in occasione del centenario. Voi I. Scritti sull'amministrazione del territorio romano prima dell'Unità, (a cura dell'amministrazione provinciale di Roma), Milano, Giuffré, 1970, pp. 97-148; E.Roteili/ Gli ordinamenti locali dell'Emilia Romagna preuni tar ia/ in Id., L'alternativa delle autonomie, ‘ Milano, Feltrinelli, 1978, in part. pp. 107-115.

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città con una popolazione superiore a 20.000 abitanti, sarebbero stati trentasei (art.4). Ciò* significava che a Bologna e nelle altre città maggiori il corpo elettorale era formato da appena 216 individui. Non solo: due terzi degli elettori dovevano far parte "dei maggiori estimati nei libri censuari del comune come possidenti di fondi rustici od urbani"; gli altri sarebbero stati scelti tra coloro che pagavano la più alta quota di imposte municipali (artt.59, 60). La formazione della Magistratura - 1'"esecutivo" della amministrazione municipale - era soggetta a restrizioni ancora più forti. La nomina dei magistrati e del senatore era effettuata dal cardinale legato, che operava le sue scelta sulla base di terne di candidati proposte dai consiglieri. I magistrati dovevano "appartenere alle famiglie più cospicue per antichità e possidenza" (artt. 95-98). Invece l'editto pontificio appariva più avanzato nel determinare quali dovessero essere le competenze comunali. Queste risultavano piuttosto ampie, forse anche in paragone ad altri

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Stati italiani . L'elenco delle "Attribuzioni del consiglio e della magistratura" era accurato, anche per evitare qualsiasi possibile conflitto con le competenze di prerogativa statale (artt.13-25). Ma le iniziative comunali erano poi imbrigliate in una rete di controlli degli organi centrali, che ne limitavano di fatto ogni reale

• 13 autonomia

Rispetto alla legislazione pontificia, il carattere innovativo e la "superiorità" della legge Rattazzi erano evidenti soprattutto nel

14 livello di partecipazione politica consentito in ambito locale . Il

12. Questa almeno è l'opinione di L.Toth, cit., p.129; che però appare un po' troppo indulgente nei riguardi della normativa pontificia. 13. Il controllo delle autorità tutorie era regolato in

particolare dall'altro Editto Antonelli sul Governo delle Provincie e amministrazione provinciale, 22 novembre 1850, n.65

(in "Raccolta delle leggi...", cit., pp. 238-260.)

14. La valutazione della superiorità di un ordinamento locale rispetto ad un altro in base al livello di partecipazione politica % consentita è tratta da E.Roteili, Gli ordinamenti locali..., cit.,