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Il pavimento della chiesa di San Menna in Sant’Agata dei Got

S ECONDA P ARTE

IN S ICILIA E NEL MERIDIONE NORMANNO

I. L A RINASCITA DI UNA TECNICA

2. Il pavimento della chiesa di San Menna in Sant’Agata dei Got

In una lapide murata sulla parete d’ingresso di San Menna è registrato il giorno della consacrazione della chiesa, celebrata da Pasquale II il 4 Settembre 1110653. La piccola basilica, collocata in un luogo poco lontano da Sant’Angelo e da Capua, realizza un altro esempio di architettura “cassinese”654.

Osservando l’edificio è possibile scorgere discendenze nello sviluppo volumetrico e nel sistema delle tre absidi. Distintiva in tal senso l’abside centrale che richiama per ampiezza quella di Sant’Angelo in Formis e quella di San Benedetto a Capua,

653

Cfr.: CIELO 1980,p. 91; IANNOTTA 2005,p. 6-8.

654 Cfr.: G

LASS 1991, pp. 30: «Even when Benedectine patronage was not directly involved, the firmness of its imprint often can be perceived. A case in point is S. Menna at S. Agata dei Goti». La fondazione della chiesa, congiunta con la traslazione delle reliquie di San Menna, è legata per certi aspetti al culto dei santi patroni, incoraggiato in quei tempi da Montecassino. Cfr.: COWDREY

1986,pp. 79-81. Le reliquie di San Menna, eremita del Sannio del tardo VI secolo, erano state da poco recuperate dal Monte Taburno e traslate nella cattedrale di Caiazzo, ricostruita in quegli anni dal conte Rainolfo d’Alife e dal figlio Roberto. Essi si rivolsero ad Oderisio di Montecassino (1087-1105) per la stesura di una Vita di San Menna. Nella prefazione dell’opera, scritta da Leone Marsicano, è sottolineata la grande fiducia riposta da Roberto nell’autorità della reputazione dell’abbazia di Montecassino (auctoritate nominis loci nostri plurimum fidens). In seguito il conte Roberto avrebbe trasferito le spoglie del santo a Sant’Agata dei Goti e fondato la chiesa di San Menna. Cfr.: CIELO 1980,p. 91. Cfr. anche D’ONOFRIO-PACE 1981, p. 41-73; GLASS 1991, pp. 30- 34.

entrambe forgiate sul modello desideriano della renovatio e della rinascenza paleocristiana (Fig. 92).

L’ascendenza cassinese è confermata a San Menna da altri elementi, in particolare dal portale d’ingresso, che richiama nella fisionomia e nell’ornato il modello desideriano655, nonchè dalla presenza del piano rialzato in corrispondenza della zona presbiteriale656.

Ma la traccia più consistente di renovatio è il pavimento in opus sectile.

Laddove le chiese di committenza desideriana hanno lasciato solamente delle tracce, la chiesa di San Menna offre un documento eccezionale che consente di definire nitidamente la qualità e la padronanza raggiunte dalle maestranze che si andarono formando nei cantieri legati a Montecassino.

655 Cfr.: G

LASS 1991, p. 34.

656 Leone Ostiense informa che la soprelevazione del presbiterio a Montecassino era dovuta alla

presenza, al di sotto dell’altare, dell’antico sepolcro di San Benedetto, riscoperto proprio da Desiderio durante i lavori di edificazione dell’abbaziale (cfr.: Chronica Monasterii Casinensis, III 27, vv. 46-57, in ACETO-LUCHERINI 2001,p. 48).

Fig. 92. Planimetrie a confronto.

Da sinistra, in senso antiorario:

Pianta ipotetica di Montecassino (da Urban 1975); Sant’Angelo in Formis (da D’Onofrio 1974); San Benedetto a Capua (da Speciale 1997); San Menna (da D’Onofrio 1981).

Per quanto non completo in tutte le sue parti, il pavimento appare oggi in ottimo stato657 . Il primo elemento che salta all’occhio è la straordinaria varietà di marmi. Aldilà della reperibilità del materiale, la qualità e l’abbondanza dei marmi in opera, in particolare del porfido, forniscono un riscontro diretto delle facoltà del committente, il conte Roberto, che aveva procurato le spoglie del santo e commissionato la Vita di San Menna scritta da Leone Marsicano 658.

Nel pavimento di San Menna subentra un elemento nuovo: la presenza di un’asse centrale che contraddistingue l’impiantito e gioca un ruolo determinante nella formulazione dell’intera stesura pavimentale (Fig. 93).

La corsia preferenziale, che sembrava apparire in nuce nei riquadri in opus

spicatum di Sant’Adriano, qui riceve

una enunciazione compiuta e ben definita dal susseguirsi di riquadri della medesima dimensione caratterizzati dalla presenza di dischi di granito e porfido che realizzano di fatto una fila ininterrotta dall’ingresso al presbiterio. Ma all’interno di ciascun riquadro i dischi sono combinati con altri elementi e legati da bianche fasce marmoree secondo diversi modelli di disegno che richiamano direttamente gli esemplari cassinesi concepiti su prototipi bizantini.

657 Nel corso dell’ultimo restauro, terminato nel 2005, le abbondanti lacune presenti in diversi

riquadri pavimentali sono state integrate con tessere marmoree monocromatiche collocate rispettando i motivi geometrici del corrispettivo riquadro. Danni cospicui alla pavimentazione potrebbero essere avvenuti in seguitò al terremoto del 1711 che provocò il crollo parziale del soffitto. La chiesa venne ristrutturata intorno al 1799. In quell’occasione furono realizzati dei pilastri di rinforzo che celarono alla vista le colonne originali. Bertaux vide la chiesa in quelle condizioni, riconoscendo la presenza di colonne e capitelli sotto i «pilastri massicci murati intorno alle colonne della navata» (Cfr. E. Bertaux, Per la storia dell’arte nel Napoletano: S. Agata dei Goti, in «Napoli Nobilissima», V, 1986, pp. 3-9, in part. p. 5, in cui si trova anche un disegno della chiesa eseguito dallo stesso Bertaux). Con i restauri eseguiti tra il 1955 ed il 1957 l’edificio ha riacquistato il suo aspetto originario.

658 Cfr. supra, p. 173, nota 651.

Fig. 93. Sant’Agata dei Goti (Bv), chiesa di

San Menna, pavimento in opus sectile, 1110. Veduta d’insieme.

Nel borgo medievale di Sant’Agata dei Goti, diversamente da Roma, mancava un sostrato culturale, una pur minima continuità della tradizione musiva, perciò è probabile che le maestranze, presumibilmente formate a Montecassino, abbiano fedelmente perseguito il modello desideriano. D’altra parte confrontando la pavimentazione con il disegno di Gattola si riscontrano notevoli corrispondenze non solo nell’impaginazione del tessuto pavimentale e nei micromodelli utilizzati, ma anche nella organizzazione delle superfici, nei macromodelli ornamentali. Il riquadro più esteso di San Menna, collocato al centro della navata, è analogo ai due riquadri centrali dell’abbazia desideriana, composti da grandi dischi circondati da una corona di otto dischi più piccoli659 (Figg. 94 e 95).

Anche l’accorgimento di riempire gli spazi angolari con elementi a forma di mandorla o di goccia sembra essere una soluzione sperimentata nel cantiere cassinese; diversi riquadri composti tramite l’impiego di elementi del genere mostrano marcate affinità con alcuni dei riquadri del Gattola (Figg. 96 e 97).

659 Il riquadro mostra forti analogie con il pavimento della Santa Sofia di Nicea (1056 ca.), dove il

pannello centrale (3,60 per 3,60 m) è composto da una cornice di quadrati e rettangoli che racchiude una composizione di tredici dischi, annodati tra loro insieme ad altri dischi più piccoli attraverso una banda intrecciata di marmo bianco. Il pavimento di Nicea «provides a new example of the forms of decoration characteristic of the floor mosaics of the middle Byzantine period» (cfr.: EYICE 1963, p. 374).

Fig. 94. Pavimento della chiesa abbaziale di

Montecassino. 1066-1071. Disegno eseguito nel 1713. Particolare. Da Bloch 1952.

Fig. 95. Sant’Agata dei Goti (Bv),

chiesa di San Menna, pavimento in opus sectile, 1110. Particolare

Tra i macromodelli presenti a San Menna, alcuni dei più raffinati, come il motivo fitomorfo collocato davanti all’ingresso del coro (Fig. 98) e il motivo a quincunx disposto davanti alle scale del presbiterio (Fig. 99), sembrano evocare

esplicitamente modelli classici bizantini. La naturalezza con la quale il marmo si flette nella linea curva, avvolgendo di spire il porfido o disegnando morbidi petali di Tenario e Caristio, oltre che estasiarci, dà la misura della padronanza magistrale raggiunta nel cantiere di San Menna. Le maestranze giunte per auspicio del conte Roberto si rivelano ben addestrate, organizzate, sicuramente coordinate.

Gli elementi che permettono di riconoscere l’impronta di un maestro sono ravvisabili nella organizzata predisposizione dell’intelaiatura reticolare, dosata sulla simmetria assiale del pavimento, nella congruenza tra superfici decorate e spazi architettonici, nel dosaggio sapiente dei colori in disposizioni cromatiche ben calibrate (Fig. 100).

Fig. 96. Sant’Agata dei Goti (Bv),

chiesa di San Menna, pavimento in opus sectile, 1110. Particolare. bordi appaiono nuove possibilità

Fig. 97. Pavimento della chiesa

abbaziale di Montecassino. 1066-1071. Disegno eseguito nel 1713. Particolare. Da Bloch 1952.

Fig. 98. Sant’Agata dei Goti (Bv),

chiesa di San Menna, pavimento in opus sectile, 1110. Particolare.

Fig. 99. Sant’Agata dei Goti (Bv),

chiesa di San Menna, pavimento in opus sectile, 1110. Particolare.

Fig. 100. Sant’Agata dei

Goti (Bv), chiesa di San Menna, pavimento in opus sectile, 1110. Particolare.

Nei riquadri centrali le campiture in opus sectile degli spazi interstiziali sono realizzate impiegando tessere più piccole, ricavate esclusivamente da quattro litotipi pregiati: il porfido rosso antico, il porfido verde antico, il giallo antico di Numidia ed il bianco palombino660. L’impiego di tessere piccole, frutto di maggiore perizia, conferiva alla compagine musiva la duttilità necessaria per seguire l’andamento delle linee curve.

Il pavimento di San Menna dimostra con vigore che subito dopo le esperienze cassinesi sono attive in Campania maestranze di mosaicisti. Pasquale II consacra due chiese, San Benedetto e San Menna, i cui cantieri dovettero procedere contestualmente. Negli stessi anni a Roma sarebbe già attivo Paulus661. Alcuni riquadri pavimentali delle navatelle di San Menna ricordano le porzioni supersiti dei pavimenti di committenza desideriana (Fig. 101).

È probabile che il pavimento di Capua fosse in origine assimilabile a quello di Sant’Agata dei Goti; in effetti anche a San Benedetto v’erano dischi di porfido, oggi in opera nella cappella del Tesoro del Duomo di Capua662.

A San Menna lavorò

verosimilmente un maestro formatosi nei cantieri desideriani, giunto in possesso

di capacità progettuali e padronanza tecnica magistrali, in grado di portare a compimento un’opera lontana dalla disordinata declinazione calabrese.

Non siamo in grado di stabilire se il suo destino lo abbia condotto a Roma, oppure lo abbia portato a Salerno o in qualche altro centro della Costa d’Amalfi.

Possiamo senz’altro affermare che nel cantiere di San Menna la tecnica dell’opus

sectile è giunta a piena maturazione.

660 Si tratta dello stesso litotipo bianco impiegato anche nella pavimentazione di Sant’Adriano. 661 Paulus, capostipite della famiglia dei Cosmati, tra il 1108 ed il 1110 firma i plutei in opus

sectile della Cattedrale di Ferentino (cfr.: MATTHIAE 1983,col. 839).

662 Cfr.: S

PECIALE 2005,pp. 1184-1188.

Fig. 101. A sinistra: porzione originaria della

pavimentazione della chiesa di San Benedetto a Capua (fine XI – inizi XII secolo);

a destra: Sant’Agata dei Goti (Bv), chiesa di San Menna, pavimento in opus sectile, 1110. Particolare.