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Il pavimento della chiesa di Sant’Adriano in San Demetrio Corone

S ECONDA P ARTE

IN S ICILIA E NEL MERIDIONE NORMANNO

I. L A RINASCITA DI UNA TECNICA

1. Il pavimento della chiesa di Sant’Adriano in San Demetrio Corone

Un diploma del 1088 informa che il complesso cenobita di Sant’Adriano, presumibilmente esistente già quando vi soggiornò, tra il 955 ed il 976, San Nilo di Rossano, fu donato da Ruggero Borsa all’abbazia benedettina di Cava dei Tirreni639. La maggior parte della critica ritiene che l’edificio a noi pervenuto risalga a quel periodo640. Ugualmente ascrivibile a tale contesto è il pavimento in

opus sectile.

Sessantadue riquadri pavimentali, più altre porzioni di pavimento adiacenti ai muri dell’edificio, sono realizzati con tessere di diverse varietà di marmi, tagliate

638 In Sant’Angelo in Formis il pavimento è composto da un patchwork di pezzi di diverse epoche:

sussistono porzioni di epoca romana riconducibili al tempio di Diana Tifatina, porzioni risalenti alla fase desideriana, originarie dell’edificio, e porzioni provenienti dalla chiesa di San Benedetto a Capua. In quest’ultima invece restano solo la decorazione dell’abside e qualche altro lacerto, alcune porzioni si trovano adesso in Sant’Angelo mentre la porzione più rilevante sembra essere stata individuata nella pavimentazione della Cappella del Tesoro del Duomo di Capua. Sui pavimenti in opus sectile delle due chiese e sulla complesse vicende conservative cfr.: BARRAL I ALTET 1982;SPECIALE 2003;SPECIALE 2005.

639 Il complesso ritornerà ad essere indipendente nel 1106 per iniziativa dello stesso Duca. Cfr.:

GARZYA ROMANO 1988, pp. 241-242.

640 La decorazione plastica e pittorica dell’ edificio, per quanto frammentaria, ha privilegiato il

collegamento all’epoca benedettina del cenobio (Cfr.: ORSI 1929, pp. 160-170; DI DARIO GUIDA

1999, pp. 169-177). Ad un periodo di stretta coincidenza con l’annessione all’abbazia cavense sono stati ricondotti i due mascheroni murati sull’imposta d’arco del portale occidentale, databili alla fine del sec. XI.

in forme geometriche. Quattro di essi presentano figurazioni zoomorfe dal carattere simbolico – apotropaico (Fig. 79).

I riquadri figurati, in particolare quello con il leone, hanno permesso di formulare l’ipotesi di una dipendenza stilistica e tecnico - esecutiva del pavimento dal cantiere desideriano di Montecassino, dove si trovavano figure affini641 (Fig. 80). Tale dipendenza, già supposta da Bertaux642,

viene ribadita in primo luogo da Paolo Orsi, che tra l’altro ha rilevato una sostanziale differenza tra i modelli decorativi di Sant’Adriano ed i motivi curvilinei caratteristici della produzione cosmatesca: «La linea curva e circolare appare solo in

via d’eccezione in due formelle ad elementi animali»643.

641 In particolare nel pavimento di Montecassino, nella zona presbiteriale, erano presenti dei

pannelli con figure affrontate di quadrupedi posti a guardia della tomba di San Benedetto. Questi pannelli sono oggi conservati nel Museo dell’Abbazia insieme a quel che resta di una lastra affine che Bertaux vide presso la porta della biblioteca. Cfr. BERTAUX 1904, p. 176, figg. 74 e 75; A. Pantoni, Le vicende della basilica di Montecassino attraverso la documentazione archeologica, Montecassino 1973, p. 164, fig. 84; BLOCH 1952,p. 197, fig. 225; ACETO-LUCHERINI 2001,pp. 54- 55.

642 Cfr.: B

ERTAUX 1904,p. 128-129. L’ipotesi di Bertaux trova concorde la maggior parte della critica recente (cfr. in particolare: GARZYA ROMANO 1988, pp. 268; DI DARIO GUIDA 1999, pp. 175-177).

643

Cfr.: ORSI 1929, pp. 167. Davanti all’ingresso occidentale della chiesa si trova uno dei quattro riquadri figurati, conservato solo in parte. È possibile comunque riconoscervi un leone ed un serpente che si contendono una preda. La scena, con un chiaro riferimento simbolico al contrasto tra il bene ed il male, può trovare un confronto iconografico in alcuni capitelli a stampella conservati nel Museo di Mileto che raffigurano leoni, draghi e serpenti in lotta. Cfr.: DI DARIO

GUIDA 1999, pp. 173-175.

Fig. 79. San Demetrio Corone (Cs), chiesa di Sant’Adriano, pavimento in opus sectile,

particolari dei riquadri con figure zoomorfe.

Fig. 80. Montecassino, Museo dell’Abbazia, lastra con decorazione figurata in opus sectile, 1071 ca. Da Aceto-Lucherini 2001.

Orsi pone poi l’attenzione sulle epigrafi romane presenti tra le tessere in opera, riconducibili al reimpiego di materiale lapideo di epoca classica proveniente presumibilmente dal vicino sito di Copia Tauri (Sibari).

La presenza dell’iscrizione Bartolomeus D S, - interpretata da Orsi Bartolomeus

d(e) s(uo) (fecit) - comprendente nella stesura della formula dedicatoria una serie

di caratteri latini di foggia normanna e due lettere greche (Fig. 81), permette di ascrivere il pavimento all’epoca normanna644.

Gli anni della dipendenza benedettina, tra il 1088 ed il 1106, entro i quali si presume sia stato eseguito il pavimento, coincidono con l’epoca di costruzione della chiesa di San Benedetto a Capua, consacrata da Pasquale II nel 1108.

Per quanto frammentaria, la pavimentazione della chiesa desideriana mostra nei brani superstiti una notevole affinità con molte delle porzioni del pavimento di Sant’Adriano (Figg. 82 e 83).

Entrambi i pavimenti, pregiati per l’uso di marmi di epoca classica dalle diverse colorazioni, sembrano essere realizzati da artigiani non ancora sufficientemente allenati nell’accostamento cromatico e nella disposizione delle tessere. Tra i marmi, oltre ai bianchi, preponderanti sono il cipollino caristio, il giallo antico di

644

Cfr. BOZZONI 1999, p. 298. L’autore colloca il pavimento agli inizi del secolo XII, collegandolo alla presenza dei benedettini.

Fig. 82. Capua, chiesa di San

Benedetto, pavimento in opus sectile. Fine XI – inizi XII secolo

Fig. 83. San Demetrio Corone,

chiesa di Sant’Adriano, pavimento in opus sectile. Fine XI – inizi XII secolo.

Fig. 81. San Demetrio Corone, chiesa di Sant’Adriano, pavimento in opus sectile.

Numidia, la breccia gialla, il greco scritto, il bigio antico ed il pavonazzetto. Nel mosaico capuano raramente si osservano tessere di porfido rosso e verde antico, mentre queste sono completamente assenti a Sant’Adriano645. Le stesure pavimentali sono caratterizzate dunque da toni freddi, ravvivati qua e là dai gialli. Considerando la dimensione e le forme degli elementi è probabile che gli artigiani abbiano impiegato materiali lapidei provenienti da pavimentazioni più antiche che condizionarono l’arrangiamento delle tessere. I motivi ornamentali sono molto semplici, riconducibili alla tradizione di origine classica e scarsamente variati. Spesso si osservano inoltre estese porzioni dove sono combinate tra loro tessere diverse a formare un patchwork confuso, disorganico, che lascia supporre una mancata organizzazione delle superfici (Fig. 84).

In alcuni casi potrebbe trattarsi di rimaneggiamenti avvenuti in epoche successive, tuttavia allestimenti simili si riscontrano in diverse zone, anche dove la stesura dei riquadri pavimentali sembra originaria646.

Le stesse considerazioni, valide anche per la chiesa di San Benedetto, potrebbero essere fatte per quel che resta del pavimento di Sant’Angelo in Formis. Quest’ultimo, nelle sue porzioni originarie, identificate da Xavier Barral I Altet nei riquadri della navatella settentrionale prossimi alla protesis647, presenta le medesime caratteristiche nel trattamento delle superfici e negli accostamenti cromatici. Le immagini geometrizzanti visibili a Sant’Angelo, raffiguranti alberi (Fig. 85), rimanderebbero ancora una volta alla contrapposizione tra il bene ed il male648, espressa in modo più esplicito nei leoni e nei serpenti di Sant’Adriano649.

645

Fatta eccezione per una piccola porzione incongrua che presumibilmente non faceva parte dell’originaria pavimentazione.

646 Situazioni analoghe si osservano anche nei resti del pavimento di San Benedetto a Capua, in

particolare nei riquadri della navatella meridionale rinvenuti sotto la pavimentazione moderna e tuttora visibili, mentre nell’abside, dove il pavimento appare meglio conservato e più organicamente composto, il patchwork di alcune porzioni potrebbe essere riconducibile a rimaneggiamenti avvenuti già nel corso del secolo XII. Un restauro esteso del pavimento della chiesa di Sant’Adriano viene eseguito tra il 1956 ed il 1958 da Francesco Barracchia (cfr. MARTELLI 1956, pp. 161-167).

647 Cfr.: B

ARRAL IALTET 1982,p. 57-58, fig. 2.

648 Cfr.: ivi, p, 59: «La présence de deux arbres volontairement inégaux mais situés l’un à côté de

l’autre, fait immédiatement penser, par la place privilégiée qu’ils occupent en face de l’autel, à l’opposition iconographique bien connue : arbre bon/arbre mauvais, arbre vif/arbre sec, soit du Bien et du Mal, de l’Eglise et de la Synagougue, de la Vie et de la Mort».

Fig. 84. San Demetrio Corone, chiesa di

Sant’Adriano, pavimento in opus sectile. Fine XI – inizi XII secolo. Particolare.

Certamente i pavimenti delle chiese campane in origine mostravano maggiore organicità e compostezza di quello calabrese che, per quanto rimaneggiato, presenta ancora chiaramente una intelaiatura del tessuto pavimentale piuttosto disomogenea, caratterizzata da una mancata corrispondenza tra superfici decorate e spazio architettonico.

Fa da contrasto la notevole

abbondanza di marmi antichi in opera, provenienti per la maggior parte da cave greche. Camminando sul pavimento di Sant’Adriano si ha la sensazione di calpestare una disordinata collezione di

marmi (Fig. 86) che fa bella mostra di sé nel rispetto dei principi estetici del tempo, per i quali la materia possedeva un determinato valore aldilà della sua lavorazione650.

Tra i marmi fanno eccezione le tessere bianche, la maggior parte delle quali sono in realtà costituite da un calcare

compatto conosciuto col nome di palombino. Il palombino non è un marmo vero e proprio; di esso soprattutto non se ne conosceva la natura mineralogico – petrografica, identificata risolutivamente in seguito alle ricerche condotte da chi scrive attraverso l’analisi di una vasta gamma di campioni di tessere in opera in

649 La scarna iconografia del pavimento di Sant’Adriano, in virtù dei significati simbolico-

apotropaici delle figure, può essere sintetizzata nella contrapposizione tra il dualismo bene-male, rappresentato dai leoni e dai serpenti, ed il numero della Trinità, rintracciabile nelle spire del serpente raffigurato nel riquadro settentrionale. Diversi autori hanno dato la stessa interpretazione (ORSI 1929, pp. 169; DI DARIO GUIDA 1999, p. 175). Altri (CURINO,DE MARCO,BAFFA,PRIORI, 1996) rintracciano nel serpente settentrionale (fig. 79) la chiave di lettura dell’intero programma: il male si chiude in se stesso attraverso le sue spire. Da una tale angolazione appare evidente che il riquadro occidentale, prossimo all’ingresso della chiesa e raffigurante la lotta tra leone-bene e serpente-male, funge da monito verso i fedeli, mentre il leone collocato al centro e rivolto verso l’abside, rappresenterebbe il trionfo del bene verso il quale gli stessi fedeli sono invitati a dirigersi.

650

Sull’argomento in particolare cfr.: Marmo e splendore. Architettura, arredi liturgici, Spoliae, CLAUSSEN 2000.

Fig. 85. Basilica di Sant’Angelo in Formis,

pavimento in opus sectile. 1072-1087. Particolare della navatella settentrionale.

Fig. 86. San Demetrio Corone, chiesa di

Sant’Adriano, pavimento in opus sectile. Fine XI – inizi XII secolo. Particolare.

pavimentazioni medievali del meridione651. Non sono ancora state individuate le cave di estrazione del litotipo in questione, ma la sua identificazione potrà consentire la formulazione di nuove ipotesi sulla sua provenienza e sul suo impiego da parte delle diverse maestranze di marmorari che operarono nel medioevo.

Tessere di palombino sono impiegate abbondantemente in molti dei riquadri pavimentali, in particolare per motivi ornamentali di tradizione classica che lasciano supporre un reimpiego tal quale di tessere antiche riadattate per

la pavimentazione medievale (Fig. 87). Tra questi motivi ricorre il micromodello costituito da tessere esagonali e triangolari che formano stelle a sei punte, diffuso nelle pavimentazioni di età imperiale e presente anche in Santa Maria Antiqua. Lo stesso micromodello può essere

individuato nel rilievo settecentesco del pavimento medievale di Montecassino e, nobilitato dall’impiego del porfido, appare anche a Sant’Angelo in Formis (Fig. 88). Le porzioni meglio conservate del pavimento di Sant’Adriano mostrano in effetti forti attinenze con i cantieri desideriani. I brani più aulici, caratterizzati dall’utilizzo dei marmi più preziosi accostati tra loro con maggiore perizia

651

Per una descrizione strutturale e tessiturale del calcare denominato palombino si veda l’appendice in fondo al presente volume.

Fig. 87. San Demetrio Corone, chiesa di Sant’Adriano,

pavimento in opus sectile. Fine XI – inizi XII secolo. Riquadro realizzato prevalentemente in marmo caristio e calcare bianco palombino.

Fig. 88. Basilica di Sant’Angelo in Formis,

pavimento in opus sectile. 1072-1087. Particolare della navatella settentrionale.

per la composizione di motivi ornamentali più sofisticati, dimostrano una certa continuità tra la tradizione romana, le fabbriche desideriane e le produzioni immediatamente successive ad esse652 (Figg. 89 e 90).

Il pavimento di Sant’Adriano testimonia pertanto una prima fase di sviluppo della tecnica del mosaico in opus sectile legata al cantiere di Montecassino.

Il motivo in opus spicatum illustrato in figura 86 è impiegato con coerenza in otto riquadri pavimentali della navata centrale. Oltre che mostrare attinenze con il repertorio classico, forse determinate intrinsecamente dall’utilizzo di tessere provenienti da pavimentazioni più antiche, il motivo sembra alludere ad un percorso preferenziale che accompagnava il fedele. Un percorso privilegiato, riscontrabile proprio nella pavimentazione dell’abbaziale desideriana, e che in seguito distinguerà anche la produzione cosmatesca. Altri motivi più complessi sembrano dimostrare l’intervento diretto di artigiani che, per quanto poco addestrati, conoscevano le

elaborazioni delle maestranze che operarono a Montecassino (Fig. 91). È possibile che qualcuno dei monaci addestrati nella scuola istituita da Desiderio fu inviato a Sant’Adriano

652

Molti di questi motivi ornamentali compaiono anche nel repertorio di motivi ornamentali delle pavimentazioni cosmatesche.

Fig. 89. Basilica di Sant’Angelo in

Formis, pavimento in opus sectile. 1072-1087. Particolare della navatella settentrionale.

Fig. 90. San Demetrio Corone, chiesa di

Sant’Adriano, pavimento in opus sectile. Fine XI – inizi XII secolo. Particolare.

Fig. 91. San Demetrio Corone, chiesa di Sant’Adriano,

pavimento in opus sectile. Fine XI – inizi XII secolo. Particolare.

su richiesta dei benedettini di Cava dei Tirreni quando la chiesa niliana passò sotto la loro giurisdizione. Ma è anche plausibile che la moda di Montecassino sia giunta a Sant’Adriano per opera di qualche benedettino di Cava che, aggiornato sulle novità, avrebbe potuto assoldare artigiani locali non addestrati al pari di quelli cassinesi.

In entrambi i casi il pavimento di Sant’Adriano non può essere visto come il prodotto provinciale animato dallo svilupparsi di una nuova moda.

Esso dimostra piuttosto come sia possibile rintracciare gli embrioni di una rinascita nelle sue prime formulazioni, e fornisce l’opportunità di seguire con maggiore nitidezza il fluire della linea, sinuosa ed altalenante, tracciata dal rinnovamento e dall’evoluzione di una tecnica che, senza l’intervento dell’abate Desiderio, sarebbe andata incontro ad un lento e già avviato tramonto, precludendo il rifiorire di un arte straordinaria come l’opus sectile.

Una prima cresta dell’onda è rappresentata dalla pavimentazione della chiesa di San Menna.