CONTRAPPOSIZIONI ENDEMICHE
2.13 La pax siriana degli anni Novanta
Negli anni Novanta, la situazione già socialmente e politicamente complessa in cui verteva il Paese fu presto aggravata dal tasso d’inflazione galoppante. La povertà, esacerbata da decenni di guerre e tensioni interne, diede vita a nuove rivolte, e alla vigilia delle elezioni il clima generale era ancora molto teso. La situazione era resa intollerabile dalla presenza degli eserciti stranieri e dalle forti pressioni politiche siriane. L’impasse del Governo, che non era ancora riuscito a disarmare le milizie, veniva percepita, dall’opinione pubblica, come un segno di debolezza.
I libanesi, infatti, non riuscivano a riconoscersi, ormai da decenni, in coloro che avrebbero dovuto rappresentarli, e il risultato derivante dall’intrecciarsi di povertà, sfiducia e disillusione, fu la bassissima percentuale di votanti alle elezioni, soprattutto nella zona del Monte Libano, anche a causa del boicottaggio perpetuato dalla comunità maronita218.
217 Frediani, A., “Guerre, battaglie e rivolte nel mondo arabo. Da Lawrence d’Arabia a
Gheddafi”, Newton Compton, Roma, 2011, pp. 167-168.
218 El-Husseini R., “Pax Syriana: Elite Politics in Postwar Lebanon”, Syracuse University Press,
I maroniti, infatti, si opposero duramente alle elezioni temendo lo spettro di un Parlamento fantoccio filo-siriano, anche perché allarmati dal nuovo equilibrio interconfessionale posto dagli Accordi di Taif.
Non avevano valutato con attenzione le conseguenze del loro gesto: con la loro assenza, il peso della comunità all’interno dello Stato sarebbe mutato in maniera importante, andando ad erodere ulteriormente il numero dei deputati cristiani in Parlamento.
Inoltre, nonostante le grandi famiglie delle maggiori confessioni continuassero ad imporre la propria presenza, le milizie delle comunità che sarebbero dovute sparire secondo gli accordi di Taif si erano trasformate, come accennato in precedenza, in veri e propri partiti, e i partiti sciiti, in particolare quello di Amal e Hezbollah, costituivano il blocco maggioritario, con Nabih Berri a rappresentarli pubblicamente.
E se i musulmani erano riusciti, almeno apparentemente, a trovare un accordo all’interno delle comunità e con la Siria, i maroniti erano ancora attraversati da fratture profonde, anche all’interno della loro stessa comunità219.
Infine, fra polemiche e indecisioni – si voleva evitare di creare nuovi attriti con gli Stati Uniti -, nel 1992 fu eletto Primo Ministro Rafiq Hariri, e questa scelta non rappresentava altro che un compromesso tra la Siria e i suoi alleati libanesi220.
Secondo Assad, Hariri sarebbe stato in grado di portare avanti una ricostruzione del Paese gradita agli occidentali, garantendo l’equilibrio fra le comunità musulmane, senza, però, avviare il processo di riforme politiche e istituzionali necessarie alla ripresa economica e sociale del Libano.
Eppure Hariri, appoggiato dai sunniti e sostenuto dall’Arabia Saudita, dimostrò fin dal primo momento di poter ottenere risultati anche per ciò che
219 Per approfondimenti, Minganti P., “I movimenti politici arabi”, Ubaldini, Roma, 1971.
220 Il primo Presidente della Repubblica eletto dopo Taif, René Moaward, venne assassinato
diciassette giorni dopo la sua elezione a Beirut ovest, in una zona militarmente amministrata dalla Siria. Il suo successore, Elias Hraoui, sostenne l’elezione di Rafiq Hariri. Per approfondimenti, Corm G., “Il Libano contemporaneo : storia e società”, Jaca book, Milano, 2006, pp. 240 e ss.
riguardava la politica interna, conquistando la simpatia dei cristiani grazie al suo avvicinamento alla Francia - che i maroniti continuavano a considerare come la loro protettrice - e alla sua amicizia personale con Chirac221.
Il progetto di ricostruzione economica del Paese fu incentrato sul tentativo di attirare investimenti stranieri e sul processo di privatizzazione dell’industria e dei servizi pubblici, allo scopo di ottenere liquidità da investire per la ricostruzione di Beirut. Ma la sua riforma non tenne conto del settore agricolo e delle fasce più povere della popolazione.
Le speculazioni finanziarie, una volta consumati gli effetti positivi derivanti dalla svalutazione della moneta, fecero lievitare il debito pubblico222.
In questo clima di tensione223 il dibattito parlamentare si concentrò sulla nuova legge elettorale per regolare le elezioni previste per il ’96, ma le modifiche apportate, di minima entità, non fecero che acuire le tensioni fra le comunità e creare nuovi disordini. Nel 1996, la fiducia venne nuovamente accordata ad Hariri. Il nuovo Parlamento fu caratterizzato dalla presenza di una classe dirigente lontana dalle vecchie élite, nata durante la guerra e formata da uomini d’affari arricchitisi durante il precedente mandato e, quindi, poco incline a creare alcun tipo di opposizione al governo.
La credibilità di Hariri era stata fortemente compromessa dalle sue scelte di politica economica, in quanto avevano portato ad un forte indebitamento del Paese, tanto da spingere il suo Governo alle dimissioni all’indomani delle elezioni presidenziali, quando fu eletto Presidente Emile Lahoud.
Il nuovo Governo si trovò a dover gestire una crisi profonda e a porre le basi per il risanamento di un Paese dilaniato da anni di guerre e tensioni
221 Fisk R., “Il massacro di una nazione”, Il Saggiatore, Milano, 2010, pp. 738-744.
222 Corm G., “Il Libano contemporaneo : storia e società”, Jaca book, Milano, 2006, pp. 240-250. 223 I movimenti di protesta dilagarono a macchia d’olio e Hariri adottò una politica particolarmente
repressiva, ad esempio imponendo il divieto di manifestare fino alla fine del 1995, creando profondo malcontento anche fra coloro che l’avevano sostenuto.
politiche, con Hariri all’opposizione che complicò una situazione già di per sé complessa, attraverso una campagna mediatica volta a screditare il Primo Ministro. I tentativi di riforme istituzionali voluti da Lahoud si risolsero in un nulla di fatto e, nonostante si cercasse un equilibrio attraverso la legge elettorale, i contrasti fra vecchie e nuove èlite acuivano le divisioni interne ai partiti stessi, favorendo l’emergere di leadership carismatiche, spesso prestate alla politica da altri settori224.
Eppure, nonostante i limiti ricordati, per la prima volta fu posto al centro del dibattito il problema delle relazioni fra Libano e Siria, e la necessità del ritiro delle milizie israeliane ancora presenti sul territorio.
Eletto nuovamente, Hariri - fortemente osteggiato dal Presidente della Repubblica - propose un programma contraddittorio adottando politiche keynesiane e neo-liberiste che ebbero un impatto disastroso perché non tenevano conto delle reali condizioni del Paese, piegato a livello economico e obbligato a ricorrere a prestiti internazionali per evitare la bancarotta225.
“La Seconda Repubblica, lungi dal ristabilire l’intesa nazionale e il funzionamento della democrazia, si avvia a somigliare a una repubblica delle banane, coltivata in serra dal suo potente e vicino protettore, la Siria, col pieno assenso delle forze sociali uscite in posizione di vantaggio dalla guerra e federate attorno alla schiacciante onnipresenza di Rafiq Hariri226”.
2.14 Il "risanamento" di Hariri e il congelamento della conflittualità