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Stato e minoranze, un conflitto inevitabile

Il mondo contemporaneo presenta spunti molteplici al geografo che voglia riflettere sul rapporto tra Stato e minoranze. Si parla di Dialogo e di Scontro, spesso identificando le culture come terminali dell'uno o dell'altro ambito politico. Ma davvero sono le culture ad essere responsabili degli Scontri, tanto che declinati in termini linguistici, religiosi o storici? Non sarà forse che l'assenza di riflessione geografica contraddistingua il nostro tempo e impedisca di vedere come il problema principale sia la declinazione delle culture in termini politici più che le culture prese di per sé stesse?

88 Habermas J. e Taylor C., op. cit., p. 37. 89 Marconi M., op. cit., p. 96.

Tra le tante cose curiose che i moderni fanno, una sarebbe sembrata davvero troppo a una mentalità antica: considerare la cultura come qualcosa di statico, sempre uguale a sé stessa e slegata dall'azione pratica degli "acculturati", politicamente valevole solo in quanto dottrina astratta fatta di categorie desunte dai libri di qualche autore importante90. Samuel Huntigton seppe individuare bene che era necessario porre fine al pregiudizio idealistico che separava cultura e politica, purtuttavia dando vita a una considerazione ancora astratta e quindi anche astorica delle culture. L'immaginario geografico di Huntigton è un'opera riduzionista, pronta a creare bacini di entusiasmo politico a scala terrestre nell'ordine di miliardi di persone, tralasciando particolarità, storie e inimicizie alquanto significative. Appare così il blocco islamico, quello occidentale e quello ortodosso. Ma il limite più evidente di Huntington non è stato tanto il riduzionismo, che pure ne spiega il successo dal punto di vista commerciale e che meriterebbe un caso studio a sé, bensì la sua considerazione della cultura come qualcosa di astratto e slegato dalla concretezza vissuta.

Andare al concreto significa considerare la cultura come un'idea, una forma visibile avrebbe detto Platone, che prende plasticamente la forma dell'attore di turno. Non è possibile operare una valutazione sull'Islam prescindendo dalle condizioni politiche in cui versano i regimi arabi. D'altro canto, sarebbe superbo e superficiale al tempo stesso cercare un principio armonico astorico nella cultura occidentale senza valutare il peso che in essa esercitano le forme politiche occidentali.

Ecco allora scoperto che il cosiddetto scontro di civiltà non è certo un problema delle culture prese "di per sé", quanto piuttosto della loro declinazione politica contemporanea, ossia, se preferiamo, di un percorso che la cultura occidentale in primis ha preso ad un certo punto della sua storia. L'ente che cambia il nostro modo di vivere la politica è lo Stato moderno, che crea parametri di normalità e standard d'azione, mettendo in modo una macchina fatta di uniformazione e omologazione. Lo Stato moderno, come ente burocratico e terzo, si costituisce rispetto alla società, che nasce nel momento stesso in cui nasce lo Stato, divenendo subito

oggetto delle politiche statali ma al tempo stesso fonte di legittimità per le stesse91.

Lo Stato moderno ha sempre cercato, in tutte le sue varianti e fino ad un recente passato, di uniformare il suo spazio e il suo territorio, rendendolo normale rispetto al principio di sovranità, necessariamente univoco e unico. A questa spinta omologatrice, sin a partire da dopo la seconda guerra mondiale sembra aver dato una pronta risposta la nascita di quello che potremmo chiamare, per semplificare, lo Stato post-moderno, che anzi rispetto al suo predecessore riconosce le differenze, sia nel senso di rendersi neutrale rispetto ad esse (dunque permettendogli di essere), che nel senso di attuare discriminazioni positive per proteggerle92.

I modelli di integrazione, autonomia o assimilazione riscontrano numerosi limiti nei paesi occidentali, e di fatto, per ogni modello, non c'è paese europeo che negli ultimi anni non abbia visto una recrudescenza da parte delle proprie minoranze. Per una corretta impostazione del problema va specificata innanzitutto una distinzione territoriale: le minoranze etniche hanno un territorio di stanziamento privilegiato, che invece manca alle minoranze dovute a recente immigrazione. Questo fa sì, in termini di rapporti di potere, che chi ha un territorio di stanziamento prevalente abbia più facilità nel determinare un proprio peso e maggiore riconoscibilità rispetto al centro politico. Oltretutto, per uno Stato moderno, che agisce territorialmente, è più facile riconoscere un diritto a un territorio specifico che a un gruppo. Nel primo caso, infatti, ci sono minori possibilità di ledere il principio egualitario, cardine del diritto territoriale, dato che si tratterà di devolvere poteri, non di differenziare i cittadini sulla base dei diritti acquisiti o da acquisire.

Proteggere le minoranze etniche significa, pensando fino in fondo il concetto di protezione, rinunciare a stabilire una gerarchia valoriale, permettendo a ognuna di esprimersi all’interno del perimetro dello Stato. Partendo da questo presupposto, ogni politica “protezionista” non potrà scegliere quali comunità proteggere e quali no, dovendo accettare tutte quelle che si professano tali, in nome di quel relativismo culturale che ha

91 Habermas J. e Taylor C., op. cit., p. 67. 92 Kymlicka W., op. cit., p. 51.

già privato lo Stato della capacità di scegliere. Nessuno Stato ovviamente applica fino in fondo una politica siffatta, in quanto Stato-nazione. Lo Stato moderno ha bisogno di una base di valori condivisi sui quali compiere le proprie scelte in tema anche di protezione delle culture: questo perché ogni Stato, in quanto esiste, è già una scelta di valori, dato che si sarà dotato di norme e istituti inevitabilmente dotate di senso. Un pieno riconoscimento delle minoranze, di ogni minoranza, è quindi impossibile, perché questo porterebbe dritto allo scioglimento della ragion d’essere dello Stato- nazione93.

La protezione delle culture si avvicina anche al concetto di separazione delle stesse, per il tramite di ghettizzazioni, riserve o addirittura pulizie etniche. Non è un caso che le riserve e le pulizie etniche siano un fenomeno del tutto contemporaneo, mentre lo stesso ghetto prende forma consistente nello stesso evo storico. La separatezza, come forma di gestione di una minoranza, si afferma con le strutture dello Stato-nazione: essendo in questo caso lo Stato espressione di una sola comunità, in un certo ambito territoriale, le altre comunità dovranno essere separate, delimitate, perché non rispondenti al principio politico che organizza il territorio. Quando lo Stato è multi-etnico e, come nel caso del Libano, esiste uno Stato ma non la ragione politica che organizza il territorio, comunque osserviamo la delimitazione del territorio in base a “confini invisibili”. Questo accade nel momento in cui ogni comunità etnica vuole far prevalere, anche nel suo ristretto spazio, il principio di autodeterminazione, ossia la capacità politica soggettiva di essere autonomamente artefici dei propri interessi94.

Le minoranze etniche tendono col tempo ad essere conglobate all’interno dell’organismo statale da parte del gruppo dominante, soprattutto a causa, nel corso del Novecento, della politica di nazionalizzazione condotta dai governi col fine di rendere omogeneo il tessuto interno dello Stato. Le minoranze hanno invece ottime possibilità di rimanere integre in caso di collocazioni geografiche impervie, che ne consentono una certa indipendenza. Sotto questo punto di vista si pensi anche all’esempio del Montenegro all’epoca del dominio dell’Impero Ottomano lungo tutto il

93 Habermas J. e Taylor C., op. cit., p. 87. 94 Kymlicka W., op. cit., p. 56.

perimetro balcanico. La piccola regione riuscì a mantenersi indipendente e a conservare il suo orgoglioso sistema di governo basato sull’autorità dei vescovi-principi, dove elemento nazionale e religioso andavano a mescolarsi in maniera inestricabile.

Lizza ricorda come una delle motivazioni fondamentali allo scoppio della prima guerra mondiale fu quella delle minoranze etniche, che d’altronde si ritrova alla base di molti scontri lungo tutta la modernità politica europea. La mancata aderenza tra Stato e nazione ha suscitato per quasi duecento anni la ricerca di un’omogeneità interna che ha portato alla strenua lotta tanto per la ricongiunzione nazionale che per l’autodeterminazione della stessa95.

Glazer ricorda, giustamente, come i gruppi etnici negli Stati Uniti abbiano sempre combattuto per la difesa del gruppo umano piuttosto che del territorio di appartenenza, ossia secondo una logica inevitabilmente meno legata al luogo d’appartenenza, che d’altronde era tale da un tempo troppo scarso per creare un senso di identificazione culturale con esso. Processo diverso negli Stati europei, che nel fenomeno territoriale hanno sempre avuto riconosciuta parte della loro appartenenza. In questo senso si presenta particolarmente complessa l’accettazione di nuovi immigrati, data appunto la maggior stratificazione culturale del vecchio continente96.

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