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1. Primo capitolo – Quadro di riferimento teorico dello

1.1. Inquadramento dell‘aspetto teorico

1.1.16. Per riassumere

Dando particolare enfasi al periodo dopo la seconda guerra mondiale, nei paragrafi precedenti sono stati discussi i maggiori sviluppi teorici relativi alla traduzione letteraria nella civiltà occidentale. Dall‘antichità fino alla seconda metà del Ventesimo secolo, la traduzione letteraria era d‘importanza fondamentale per chi praticava o teorizzava il tradurre. Cicerone, Orazio, George Chapman, Nicolas Perrot D‘Ablancourt, John Dryden e Wilhelm Humboldt hanno, per esempio, speculato sulla traduzione dei classici. San Girolamo e Martin Lutero hanno invece riflettuto sulla traduzione dei libri sacri. In questo periodo, ragionare sulla traduzione non significava altro che esprimersi sulla traduzione letteraria. Quando tra gli anni Cinquanta e Settanta lo studio della traduzione diventa una branca della linguistica, l‘attenzione degli

studiosi si rivolge esclusivamente alla traduzione di testi non letterari. Di conseguenza, i linguisti come Nida, Mounin e Catford affrontano la traduzione letteraria solo in modo marginale, se non tra le righe. L‘esclusione categorica dei testi letterari dallo studio della traduzione crea l‘idea che il tradurre riguardi due attività diverse di due processi distinti e richieda due tipi di competenze separate: una valida per la traduzione e l‘altra per la traduzione letteraria. A partire dagli anni Settanta del Novecento, con lo spostamento graduale di interesse dalle relazioni interlinguistiche a quelle intertestuali, la lingua letteraria viene presa in considerazione nelle tassonomie testuali traduttive. Tra coloro che si occupano dello sviluppo di una tipologia testuale destinata alla traduzione vediamo Neubert, Reiss, Newmark e Snell-Hornby. Questi studiosi con varie tassonomie spiegano sia la traduzione non letteraria sia quella letteraria e progressivamente concepiscono la differenza tra linguaggio letterario e altri linguaggi come una tendenza più che una regola . Negli anni Settanta, i partecipanti al ―seminario di traduzione americano‖ nelle loro pratiche e nei loro insegnamenti della traduzione letteraria non utilizzano le teorie della linguistica testuale, ma ricorrono a una serie di concetti provenienti dal campo letterario. Esempi al riguardo sono il principio di una ―perfetta‖ comprensione e una ―corretta‖ riformulazione di Ivor Armstrong Richards e l‘idea dell‘ispirazione divina e il concetto del linguaggio universale di Ezra Pound. Sempre negli stessi anni, gli esponenti dei Translation Studies, come Holmes, Lefevere, Toury e van den Broeck, operano nel campo della letteratura comparata, per elaborare una teoria e un metodo descrittivo nell‘ambito della traduzione letteraria. Negli anni Ottanta, nell‘ambito della traduttologia funzionale tedesca si nota la Skopostheorie di Hans Vermeer, secondo cui il modo in cui un testo viene tradotto dipende più dallo scopo del testo d‘arrivo che dalla natura del testo di partenza. Di conseguenza, lo stesso ―originale‖ potrebbe essere tradotto in modi diversi in conformità a vari scopi che la traduzione deve realizzare. Diversi studiosi affermano che i principi della Skopostheorie sono validi solo per i testi non letterari, perché i testi letterari non hanno uno scopo ben preciso, mentre altri pensano che anche se la Skopostheorie non è irrilevante per la traduzione letteraria, alcuni dei suoi principi devono essere riconsiderati prima di applicarli pienamente a questo genere. Vermeer stesso obietta invece che i testi letterari non hanno uno scopo. Negli stessi anni Ottanta, il descrittivismo

rivolge invece la sua attenzione ai prodotti e alle decisioni dei traduttori nella traduzione letteraria per capirli e spiegarli. Ricorre al concetto della ―norma traduttiva‖ per interpretare le decisioni del traduttore. Se si conosce la norma dominante, è possibile valutare la sua decisione relativa a un atto traduttivo. Le norme sono determinate dai fattori sociali e ideologici. Di conseguenza, l‘equivalenza traduttiva è un concetto relativo, costruito culturalmente e quindi definito storicamente. Un precursore del descrittivismo è Anton Popovič che vuole classificare gli ―slittamenti‖ nella traduzione letteraria. Grazie alla Teoria Polisistemica di Even-Zohar, l‘analisi traduttiva non si percepisce più come un‘attività isolata che consiste solo in un confronto linguistico tra il testo di partenza e quello di arrivo, ma come un‘indagine che paragona questi testi considerando anche i contesti della produzione letteraria dell‘―originale‖ e della traduzione. In questo modo si cerca di capire come le traduzioni funzionino collettivamente in un contesto storico e sociale. Oltre al concetto di norma traduttiva, dal canto suo Toury contribuisce al descrittivismo con la sua enfasi sull‘empirismo e su un metodo rigido. Negli anni Novanta si supera la dicotomia tra la traduzione letteraria e quella non letteraria, quando l‘interesse della traduttologia linguistica si sposta dal testo al discorso. Di conseguenza, come qualsiasi altro tipo di testo anche il testo letterario può essere preso in considerazione nell‘analisi linguistica. Hatim e Mason, che propongono un modello destinato all‘analisi traduttiva del testo sia letterario sia non letterario, visti come realizzazioni di un discorso socio-culturale, hanno il merito di abolire i confini tra questi due tipi di traduzione. Negli anni Novanta, la ―svolta culturale‖ presuppone invece che lo studio della traduzione letteraria sia lo studio dell‘interazione culturale. Per capire questa interazione, è indispensabile analizzare le traduzioni letterarie come ―riscrittura‖, in relazione al potere, all‘ideologia, alle istituzioni e alla manipolazione. Nell‘ambito della traduttologia culturale sono particolarmente attivi i decostruzionisti femministi e postcolonialisti. Né i primi né i secondi fanno una distinzione tra il discorso letterario e non letterario. Nonostante ciò, tra i generi letterari le femministe sono particolarmente coinvolte con la écriture féminine che inventa una lingua femminile inafferrabile dal discorso maschilista dominante e i postcolonialisti con la hybrid writing, che si osserva nella lingua degli autori postcoloniali sotto forma di eredità multilingue del colonialismo o di lingua perduta dei migranti.

Concludendo, oggi la traduzione letteraria è definita da molti come un testo letterario che possiede caratteristiche e qualità letterarie e come tale non rappresenta una categoria formale e ontologica, ma storica e ideologica che ha una funzione sociale e politica.