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1. Primo capitolo – Quadro di riferimento teorico dello

1.1. Inquadramento dell‘aspetto teorico

1.1.5. Traduzione letteraria e linguistica discorsuale

Negli anni Novanta si supera la dicotomia tra la traduzione letteraria e quella non letteraria, quando l‘interesse della traduttologia linguistica si sposta dal testo al discorso, ossia dalla classificazione dei testi alla lingua in uso o in situazione. Pur avendo il merito di abolire confini tra i generi testuali, Snell- Hornby (1988/1995a) continua a mantenere la distinzione tra aree traduttive (la «traduzione letteraria», la «traduzione generale» e la «traduzione specializzata»). Di conseguenza, ciò sottintende l‘esistenza di diversi modi operazionali in traduzione, dovuti a diverse nature ontologiche a cui appartengono differenti tipi di testo, come il testo letterario e non letterario. Hatim e Mason (1990/1993, 199o in Sollaino, 1992 e in Scarpa, 1997: 23-28) hanno invece il merito di abolire i confini tra la traduzione letteraria e quella non letteraria nell‘ambito di un modello di analisi del processo traduttivo che mette in relazione i processi discorsuali con i problemi pratici della traduzione, a prescindere dal tipo di testo che affrontano (Hatim e Mason, 1990/1993). Di conseguenza, il testo letterario è considerato degno dello stesso trattamento teorico del testo non letterario, che rappresentava la tipologia testuale privilegiata per la traduttologia linguistica, poiché non esiste una differenza ontologica tra i due testi.

Hatim e Mason (ibid.: 1-2) scrivono che la distinzione tra ―letteratura‖ e ―non letteratura‖ è una delimitazione artificiale, poiché, se l‘uso creativo della lingua è una delle caratteristiche distintive della letteratura, anche i testi non letterari spesso ricorrono, almeno in qualche misura, a un linguaggio creativo come i testi letterari. Inoltre, non c‘è nessun dubbio che l‘attività di traduzione è varia, ma questa varietà non si può spiegare sotto forma di distinte aree traduttive (ad esempio una traduzione «religiosa» distinta dalla «letteraria» o dalla «scientifica»), ma nei termini di un unico processo comunicativo all‘interno di un

contesto sociale che comprende attività come la scrittura dei sottotitoli e il doppiaggio di film, l‘interpretazione simultanea, la traduzione di vignette, il sommario ecc. Ritenere che la traduzione richieda processi diversi dovuti a particolari campi ristretti serve solo a mascherare le analogie importanti che esistono fra i diversi tipi di traduzione. Ciò, a sua volta, impedisce un compito importante della teoria traduttiva: stabilire regolarità e incorporare funzioni diverse all‘interno di un modello generale del processo traduttivo.

Per spiegare i processi relativi a diverse attività di traduzione in una teoria generale, Hatim e Mason (1990/1993) propongono un modello in cui il punto focale sta nell‘analisi dei tratti discorsuali del testo di partenza all‘interno di un contesto sociale, che vanno poi riprodotti nel testo di arrivo in un contesto sociale diverso. Se lo si analizza, il contesto sociale è scomponibile in tre dimensioni: una dimensione «comunicativa», una dimensione «pragmatica» e una dimensione «semiotica‖». La dimensione comunicativa, basata sul concetto di registro di Halliday e dei suoi colleghi (1964), prevede due parametri principali che determinano variazioni nel discorso delle variazioni, dovute o all‘―utente‖ o all‘―uso‖. Le prime sono chiamate «varietà dialettali» e differiscono da persona a persona, principalmente dal punto di vista fonico, per motivi geografici, diacronici, sociali, di grado di intelligibilità e idiolettali. Le seconde sono invece chiamate ―registri‖ e differiscono l‘una dall‘altra principalmente per la forma linguistica (cioè per la grammatica e/o il lessico). I fattori che stabiliscono variazione nel registro sono il ―campo‖, il ―modo‖ e il ―tenore‖ del discorso. Il ―campo del discorso‖ indica la funzione sociale dell‘uso linguistico, come nel caso di una predica religiosa o di un discorso politico; il ―modo del discorso‖ indica il mezzo, scritto od orale, dell‘attività linguistica. Il ―canale‖ costituisce un aspetto importante del ―modo‖ e include veicoli come la conversazione telefonica, il saggio e la lettera commerciale, attraverso i quali si svolge la comunicazione; il ―tenore del discorso‖ indica infine le relazioni interpersonali fra l‘emittente e il destinatario, espresse in termini di formalità e informalità. Concludendo, Hatim e Mason sostengono che «l‘identificazione dell‘appartenenza di un testo ad un determinato registro rappresenta una parte essenziale dell‘elaborazione del discorso» (Hatim e Mason, 1990/1993: 55 e trad. it. in Sollaino, 1992: 91).

La dimensione pragmatica regola l‘intenzionalità che determina l‘appropriatezza di una forma linguistica rispetto al conseguimento di una finalità comunicativa e si trova alla base delle scelte compiute nell‘ambito del campo, del tenore e del modo. I fenomeni relativi a questa dimensione sono spiegati attraverso la Teoria degli Atti Linguistici di John Austin (1962), le massime di Grice (1975 e 1978) e i concetti di ―implicatura‖, ―inferenza‖ e ―presupposizione‖ conversazionale. Il significato di un testo è percepito come qualcosa che viene negoziato fra colui che lo produce e colui che lo riceve. Inoltre, si attribuisce un‘importanza fondamentale al significato inteso dal parlante/scrittore, poiché regola scelte relative alle strutture linguistiche nelle quali il testo trova una realizzazione. Alla nozione del ―significato del parlante/scrittore‖ si affianca infine il ―significato dell‘ascoltatore/lettore‖, che avanza ipotesi per formare la sua interpretazione, utilizzando gli indizi, ossia le strutture linguistiche, organizzati da parte del parlante/scrittore per l‘interpretazione del suo testo. In breve, le nozioni pragmatiche del modello di Hatim e Mason propongono una definizione dinamica del significato in cui «i producenti ed i riceventi collaborano e comunicano, avanzando delle ipotesi riguardo l‘ambiente (sic) cognitivo condiviso» (Hatim e Mason, 1990/1993: 100 e trad. it. in Sollaino, 1992: 169).

La dimensione semiotica stabilisce l‘interazione tra i ―testi‖ in quanto segni, che, grazie al principio di intertestualità, si concatenano a formare ―discorsi‖ percepiti all‘interno di ―generi‖. Il ―genere‖ è la forma dei testi determinata dalle convenzioni che riflettono le funzioni e gli obiettivi implicati in particolari occasioni sociali, nonché gli scopi che i partecipanti perseguono in tali occasioni (per esempio un editoriale giornalistico o una ricetta culinaria); il ―discorso‖ riflette l‘atteggiamento dei partecipanti nei confronti di una specifica attività o occasione (per esempio ―valutativo‖ per una recensione o ―impegnato‖ per un discorso ideologico); il ―testo‖ è l‘insieme di funzioni comunicative strutturate per un particolare obiettivo retorico. Per concludere, solo per mezzo della dimensione semiotica i parametri delle dimensioni comunicativa e pragmatica, come il campo, il modo, il tenore e l‘intenzionalità, «iniziano a giocare un ruolo genuino nelle transazioni comunicative» (ibid.: 101 e trad. it. in ibid.: 170).

Il modello di Hatim e Mason (1990/1993 e 1990 in Scarpa, 1997: 24-26) prevede anche una tipologia testuale che, al contrario di quelle precedenti, non utilizza la letterarietà o la non

letterarietà né come categoria testuale né come area traduttiva. Secondo questa tipologia, ogni testo è percepito come la realizzazione concreta di un tipo ideale, determinato dalla sua funzione dominante. Esistono tre principali tipi di testo: ―espositivo‖, ―argomentativo‖ e ―istruttivo‖, ciascuno suddiviso in vari sottotipi. Il tipo di testo ―espositivo‖ presenta i concetti, gli oggetti o gli eventi in modo non valutativo. Il sottotipo esposizione ―concettuale‖ organizza i concetti in termini di analisi e sintesi ―descrittiva‖ e si focalizza su oggetti e situazioni, mentre il sottotipo esposizione ―narrativa‖ mette l‘enfasi sulla disposizione di azioni e avvenimenti. Il tipo di testo ―argomentativo‖ valuta concetti e credenze in termini di falso/vero o positivo/negativo. Il tipo di testo ―istruttivo‖ è infine incentrato sulla formazione del comportamento futuro del lettore. Un esempio del sottotipo ―facoltativo‖ è il testo pubblicitario, mentre i contratti giuridici o i trattati appartengono a quello ―non facoltativo‖. Concludendo, Scarpa (1997: 28) scrive che la tipologia testuale di Hatim e Mason, basata sul principio dell‘unità nella varietà, rappresenta attualmente quella più accreditata nell‘ambito della traduttologia.

Per mostrare che i confini tra il testo letterario e quello non letterario sono artificiali, Hatim e Mason (1997: 1-13) confrontano le strutture dei testi letterari con quelle dei testi non letterari. Per esempio, anche se il romanzo Schindler‘s Ark di Thomas Keneally e un rapporto tecnico sui climatizzatori appartengono a due tipologie testuali differenti, cioè rispettivamente a quella del testo letterario e a quella del testo tecnico, entrambi contengono le strutture testuali della ―controargomentazione‖, in cui l‘argomento esposto trasmette una debole convinzione e prepara il terreno per l‘opposizione che segue (ibid.: 2-7). In modo simile, il discorso di un pubblico ministero americano ricorre a una serie di costruzioni passive e impersonali per evitare un‘accusa diretta contro l‘imputato, così come Albert Camus ricorre a transitività e agentività nel romanzo L‘étranger per processare il narratore Meursault (ibid.: 7-11). È ovvio che esistono strutture comuni tra il testo letterario e quello non letterario sia negli ―originali‖ sia nelle traduzioni; di conseguenza sono artificiali non solo i confini tra il testo letterario e quello non letterario, ma anche quelli tra la traduzione letteraria e quella non letteraria.

Per ricapitolare, a partire dagli anni Novanta nella traduttologia linguistica si supera la dicotomia tra il testo letterario e non letterario, perché il concetto di testo o discorso non lo permette più. Di conseguenza, come qualsiasi altro tipo di

testo anche il testo letterario può essere preso in considerazione nell‘analisi linguistica. Hatim e Mason (1990/1993) propongono un modello destinato all‘analisi traduttiva di testi sia letterari sia non letterari, visti come realizzazioni di un discorso socio- culturale. Mentre per qualcuno questo modello «incorpora e allo stesso tempo supera gli studi sulla traduzione che lo hanno preceduto» (Sollaino, 1992: i), qualcun altro è più scettico sulla sua utilità:

Although Hatim and Mason propose foundations for a model of analyzing texts, they deal with a large number of concepts. It is not clear that their approach constitutes a model that can be ‗applied‘ in the conventional sense of the term. Alternatively, the authors proposals can be taken as a list of elements to be considered when examining translation. (Munday, 2001: 101)

A prescindere da questi commenti, si può affermare con discreta certezza che oggi la posizione di Hatim e Mason, secondo la quale la distinzione tra il testo letterario e non letterario è artificiosa (Hatim e Mason, 1990/1993: 2) e fuorviante (Hatim e Mason, 1997: 3), è più che convincente non solo nella traduttologia linguistica ma anche in quella letteraria.

1.1.6. La traduzione letteraria e l’approccio eclettico di