• Non ci sono risultati.

1.2 Apprendimento e Argomentazione

1.2.1 Philosophy for Children (M Lipman, M Santi)

La Philosophy for Children è un movimento culturale i cui membri (filosofi, professori universitari, insegnanti, educatori) mirano a favorire lo sviluppo del pensiero critico negli studenti (la capacità di ragionamento e di giudizio) coinvolgendoli fin da piccoli in attività di ricerca filosofica. Questo curricolo nasce negli Stati Uniti ad opera di Matthew Lipman e dei suoi collaboratori e ha trovato posto, sviluppo e diffusione nel panorama pedagogico italiano grazie all’impegno di molti formatori, tra i quali Marina Santi, professore ordinario di Didattica presso il Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata dell’Università di Padova e considerata ad oggi una delle maggiori esperte a livello nazionale del curricolo P4C (Philosophy for Children).

Procederemo ora a un breve esame delle idee del fondatore di questo curricolo, a partire da quanto da lui stesso spiegato sulla sua genesi in Educare al pensiero (Lipman, 2005), per poi passare alla sua introduzione nel contesto italiano, a partire dall’opera della Santi, Ragionare con il discorso22, nella quale vengono approfon- ditamente esplorati tanto gli aspetti pratici quanto le giustificazioni teoretiche, sia 20I progetti di formazione al dibattito presenti in Italia sono, come sottolinea Cattani (2012b, p. 30) non tantissimi: "La retorica è nata nell’attuale Sicilia, un tempo Magna Grecia. La disputa è caratteristica della nostra tradizione scolastica. A dispetto di ciò, da noi manca oggi quasi del tutto una cultura ed una letteratura di formazione al dibattito".

21Come sottolineato da Cattani stesso (Cattani, 2011b, p. 10) Padova è stata la prima sede universitaria italiana ad introdurre un corso di Teoria dell’argomentazione.

22Tesi dottorale dell’autrice pubblicata per la prima volta presso La Nuova Italia nel 1995 e riedita da Liguori nel 2006 in una versione aggiornata, che sarà quella qui considerata.

filosofiche che psicologiche, di questa proposta e viene inoltre presentato, contestua- lizzato e descritto uno dei primi esempi di traduzione e implementazione critica del programma P4C in Italia.

Come è nata la P4C? Lipman spiega di inserirsi in quella corrente del pensiero pedagogico che da sempre sostiene, sia per motivi di utilità sociale che di diritto individuale alla propria realizzazione personale, che il potenziamento della capacità di pensare del bambino dovrebbe essere il compito principale della scuola e non un obiettivo di secondo livello, secondario rispetto all’acquisizione dei contenuti delle singole discipline. Questa corrente si diffonde in maniera significativa negli anni Settanta, data la crescente consapevolezza dei professionisti dell’educazione che bi- sognasse fare qualcosa per migliorare la qualità del pensiero nelle aule scolastiche, sebbene ad una chiara definizione di cosa fosse il pensiero critico non si fosse ancora giunti. Una consapevolezza che si fa ancora più forte negli anni Ottanta, quando il sistema educativo americano affronta una profonda crisi: quelli che Lipman chiama "i fondamentalisti della scuola" la accusavano di non preparare bene gli studenti, mentre gli insegnanti si difendevano dando la colpa degli esiti scadenti degli studen- ti alla società, che ne svalutava il ruolo e l’importanza. Entrambe le fazioni, però, sottolinea Lipman, convergevano nel ritenere che lo scopo dell’educazione fosse co- munque quello di instillare conoscenze. Nel frattempo, però, l’influenza del lavoro di Vygotskij e Bruner inizia a farsi sempre più forte e così sempre gli anni Ottanta vedono riuniti ad una conferenza, al Learning Research and Development Center della Università di Pittzburgh, studiosi cognitivisti, ricercatori di nuovi programmi (tra cui lo stesso Bruner) e insegnanti di abilità cognitive, al fine di escogitare nuove pratiche educative che mettessero infine davvero al centro lo sviluppo del pensiero, in particolare del pensiero critico. Ciò comportò, in prima battuta, un significativo ritorno di attenzione per l’insegnamento della logica e della filosofia - si pensi a Ennis (1969) - e nacque il progetto di logica informale - espressione probabilmente conia- ta da Gilbert Ryle (Ryle 1966) - che desiderava una logica più vicina al linguaggio naturale e al ragionamento quotidiano, più fruibile anche nelle pratiche pedagogiche. La proposta teoretica di Lipman è che la filosofia, se adeguatamente ricostruita e insegnata, abbia la capacità di produrre un miglioramento significativo del pensiero nell’educazione. "Se adeguatamente ricostruita e insegnata" significa, per Lipman, adottare la pedagogia della comunità di ricerca come metodologia di insegnamento del pensiero critico, al fine di potenziare la componente riflessiva nell’educazione. Per educare il pensiero, infatti, bisogna stimolare creatività, intraprendenza, rifles- sione, mentre l’ambiente scolastico tradizionale, fin troppo stabile e strutturato, tende ad annientare la curiosità naturale dei bambini invece che a incoraggiarla. Il paradigma standard della pratica normale, centrato sulla trasmissione della cono- scenza da chi conosce e ha l’autorità nel processo educativo, a chi non conosce e deve dunque assorbire informazioni che non possiede, deve quindi secondo Lipman essere messo in discussione: nel paradigma riflessivo da lui sostenuto, l’insegnan- te è colui che non trasmette ma guida pratiche di ricerca comunitaria, volte non all’acquisizione di informazioni, bensì "alla comprensione delle relazioni interne e reciproche tra gli argomenti oggetto d’indagine" (Lipman, 2005, p. 29). Ossia volta ad imparare a pensare. Ciò avviene grazie al fatto che in tali comunità di ricerca gli studenti sono mossi a porre domande e a dare risposte, fornendo argomenti a sup-

porto della propria posizione e a mettere in discussione quella altrui. Un’attenzione questa, al processo di ricerca come pratica educativa, che era già stata suggerita da Dewey (Dewey, 1910) e anche Mead (Mead, 1910) sottolineava l’importanza della dimensione sociale per i processi di apprendimento del bambino, e dunque del ruolo profondamente educativo della conversazione come interscambio di idee ed esperien- ze, guidata da genitori o insegnanti. Una conversazione non manipolativa che giunge fin dove giunge la ricerca stessa, non comunque in maniera disordinata e incoerente, ma nella forma di un dialogo disciplinato dalla logica: così si potenzia il ragiona- mento tramite l’esercizio!23 Seduti in cerchio, faccia a faccia, i bambini negoziano i punti di vista e portano argomenti pro e contro quelli da loro sostenuti, pratica che risulterà poi loro molto utile anche da adulti, maturi cittadini di una società quanto più possibile democratica e inclusiva. Secondo Lipman, infatti, per educare i bam- bini alla pace e contro la violenza, non basta coltivare in loro reazioni emotive pro o contro determinate situazioni, o cercare di convincerli di quanto sia bella e buona la pace, e di quanto sia invece una cosa brutta e cattiva la guerra. Serve insegnare loro a mettere in azione pratiche che costruiscano la pace e disinneschino situazioni di violenza potenziale, ossia insegnare loro a dialogare insieme, facendo loro apprezzare il piacere della collaborazione intellettuale e dell’interscambio di idee in un clima di ascolto reciproco, sereno e rispettoso della diversità di opinioni e idee. Tale lavoro cognitivo serve anche a rafforzare la loro capacità di giudizio ed autocritica, di modo che imparino a pensare con la propria testa, ma che siano anche sempre pronti a rimettersi in discussione nel confronto con altri.

La P4C privilegia una strutturazione di questo tipo: lettura di una storia in cui vengono accennati temi di rilevanza filosofica in un modo che possa suscitare l’inte- resse dei bambini, stimolarli a sollevare domande e a darsi risposte su tali questioni e a discuterle. L’insegnante deve aiutare i bambini ad esprimersi, a saper riconoscere quando intervenire, a formulare ipotesi e definizioni e a far emergere le assunzio- ni implicite di una data posizione, ad imparare a chiedere ragioni e ad individuale errori di ragionamento, ecc. Il testo da cui si parte per la discussione durante tali attività di ricerca è spesso un racconto in cui i personaggi possiedono le abilità di pensiero di cui gli allievi tendono ad appropriarsi anche a partire da un desiderio di identificazione con gli eroi del racconto e quindi di ricostruzione dei processi intellet- tuali da loro messi in atto. Questi racconti riportano in molti casi una conversazione fra i personaggi, in gran parte anch’essi bambini, che sollevano coraggiosamente i loro dubbi e curiosità sotto forma di domande, ognuno con il proprio stile, chi più timido chi più esuberante, e ascoltano con attenzione gli interventi degli altri. Così i bambini-alunni sono stimolati a coinvolgersi essi stessi in un processo dialogico simile a quello del racconto, compiendo, almeno inizialmente senza accorgersene, svariati atti mentali, e dunque esercitando numerose abilità di pensiero, di cui prendono sempre maggior consapevolezza con il progredire delle attività24.

23In Dewey (1938b), Dewey già identificava, molto correttamente secondo Lipman, la metodologia della ricerca con la logica.

24L’aspetto del coinvolgimento dei bambini viene ritenuto da Lipman di primaria importanza: secondo il fondatore della P4C sono infatti le emozioni che rendono il pensiero interessante, che lo dirigono e gli danno profondità, che influenzano la prospettiva secondo cui esso si struttura, insomma che lo informano in maniera essenziale, ed è dunque necessario tenerne debito conto quando ci si propone di potenziarlo, essendo i nostri giudizi pregni di una dimensione emotiva che

Così i bambini imparano a formulare domande, chiedere argomenti a supporto di una tesi, elaborare ipotesi e accettare critiche ragionevoli, cercare di chiarire concetti poco definiti, organizzare le informazioni, ed infine ad auto-correggersi nell’esercita- re tali abilità sempre meglio. Essi vengono incoraggiati ad esprimersi liberamente sull’argomento di discussione e sono motivati a cercare vie proprie per affrontarlo e prospettive nuove da cui guardarlo.

L’intuizione di Lipman, che il lavoro di potenziamento del pensiero critico dovesse cominciare nelle aule scolastiche fin dai primi gradi dell’istruzione, si è dimostrata negli anni veramente feconda. Essa ha acquisito una fama di livello globale, nonché subito diverse personalizzazioni ad opera di molti estimatori. Tra questi possiamo ricordare Gareth Matthews, il cui metodo consisteva nel fornire ai bambini solo l’inizio di una storia di sapore filosofico, con l’intento di provocare la discussione e di far sì che fossero i bambini stessi a decidere come poteva continuare, come si può osservare nel suo famoso libro Dialogues With Children (Matthews, 1984). La proposta di un tale curriculum è stata estesa negli anni anche a studenti più grandi e ai genitori stessi degli alunni coinvolti, che vengono spesso essi stessi invitati a partecipare a gruppi di discussione su argomenti di stampo filosofico.

Nell’introdurre il curricolo nel contesto italiano, la Santi (Santi, 2006) ne rie- samina ed approfondisce i vantaggi per l’apprendimento e le radici teoretiche, sot- tolineandone ulteriormente le giustificazioni filosofiche e psicologiche nel modo che segue.

Per quanto riguarda l’ambito filosofico, Santi sottolinea che tale proposta può contare su una forte e lunga tradizione, che vede nel filosofare, inteso come confron- to dialettico originato dalla meraviglia e dallo stupore dell’esistente, il luogo ideale per imparare a diventare protagonisti della realtà, mentre per quanto concerne il campo dei saperi psicopedagogici, considerata la relazione fra processi cognitivi di costruzione della realtà e argomentazione, il riferimento dovrebbe essere, secondo la Santi, il costruttivismo sociale. Non esistendo, infatti, una definizione univoca del pensare né, di conseguenza, un concetto universalmente condiviso di cosa siano ragione e razionalità e dei loro criteri e opponendosi ad alla visione di un pensiero forte, assolutistico e fondazionista, inteso come "specchio della realtà"25, che odo- ra di metafisica, La P4C sembra infatti rifarsi a quella di un pensiero debole, la cui attività consisterebbe in un processo ermeneutico, continuo e mai concluso, di interpretazione del reale e argomentazione dell’interpretato, non potendosi, infatti, considerare il processo di pensiero come una realtà isolabile, uniforme e lineare, bensì in cui soggetto e oggetto del processo di pensiero si influiscono reciprocamente, es- sendo entrambi parte di una realtà conoscitiva più complessa di cui sono componenti inscindibili26.

Santi sottolinea, dunque, che il processo di discorso-ragionamento può essere quindi compreso come una pratica argomentativa condivisa. Il processo argomenta- tivo segue le regole della logica informale e non va confuso con i processi di dimo- ne è indisgiungibile.

25Metafora presente in Rorty (1979), trad. It. Rorty (1986).

26Sulla scia dei lavori di Mead (2010) e Vygotskji (1998), l’autrice evidenzia, infatti, con parti- colare accento il ruolo della comunicazione e dell’interiorizzazione nell’apprendimento cognitivo: il pensare è visto come un’azione sociale, che nasce e si sviluppa nella condivisione.

strazione e di deduzione della logica formale, che sono impersonali, indipendenti dal contesto, non negoziabili perché necessari e quindi definitivi. Il ragionamento che guida l’argomentazione è situato, sempre rivedibile e dalle conclusioni sempre rine- goziabili, così come sempre lo sono le ragioni portate a supporto di tali conclusioni, un processo open-ended, sempre socialmente condiviso e condivisibile, dall’imposta- zione più euristica che algoritmica. L’argomentazione, infatti, ha a che fare con inferenze di probabilità, ove le conclusioni non sono dedotte in maniera necessaria da delle premesse, ma supportate e giustificate da ragioni, che le rendono accettabili e condivisibili, sebbene non univocamente ed universalmente certe. Si potrebbe dire che il processo argomentativo consiste proprio in questa ricerca di ragioni a sostegno o contrarie alle varie posizioni in gioco e dunque il pensiero che si sviluppa tramite questi processi di argomentazione, come sottolinea Lipman (2005), è al tempo stes- so pensiero critico e creativo, perché è un processo critico di creazione-costruzione condivisa di visioni di mondo, un processo generativo socialmente situato, che at- traverso il continuo vaglio critico di ragioni, idee e credenze, tratte da un costante lavoro di interpretazione del reale, permette la formazione mai completa di nuove ragioni, idee e credenze.

Esso assume quindi la forma del dialogo, sia che esso abbia luogo fra più persone, sia che invece assuma la forma di una conversazione con se stessi, nella riflessione. Un dialogo che è esplorazione della realtà, investigazione delle ragioni proprie e altrui, delle altrui prospettive, ricerca condivisa e collaborativa, volta semplicemente ad andare fin dove l’argomentazione la può condurre, essendo il ragionamento, con le sue dinamiche e le sue regole, il protagonista, e non i singoli parlanti. Una dinamica argomentativa così intesa, essenzialmente giustificativa ed esplicativa, è un valido strumento di ragionamento cooperativo, in cui anche interlocutori provenienti da diversi background culturali e sociali possono coinvolgersi nel ricercare una posizione negoziata comune e dunque accettabile per tutti. Dunque il sostenere fin da piccoli nei bambini lo sviluppo di questa capacità, come la P4C si propone, permetterebbe loro un più efficace inserimento nelle attuali società plurali.

Questo curricolo comprende il filosofare proprio come un esempio paradigma- tico di pratica argomentativa che permette, tramite la discussione comunitaria, la costruzione cooperativa della conoscenza. La filosofia viene intesa qui non come un’ulteriore disciplina da aggiungere ad un curricolo già denso, ma come attività trasversale alle già esistenti discipline, al fine di armonizzarle in un percorso intel- lettuale uniformemente orientato a favorire lo sviluppo della riflessione razionale e della ragionevolezza argomentativa.

Il filosofare come attività argomentativa da proporre ai bambini dunque, ma di che tipo esattamente? La Santi nel testo sottolinea che essa è un tipo di attività che permetta di mettere in discussione, idee, credenze e punti di vista, valutarli criticamente, non al fine di trovare soluzioni non più discutibili o verità certissime, ma di imparare ad assumersi la responsabilità di giustificare con ragioni quanto si afferma, per quanto incerto possa essere, e a sperimentare la meraviglia ed il piacere del porre domande e tentarne la risposta. La P4C suggerisce che questo si possa ottenere a scuola, dal punto di vista metodologico e didattico, trasformando le classi in piccole comunità di ricerca, concepite come già il Peirce suggeriva (Peirce ,1877), in cui le credenze acquisite vengono scosse dal dubbio, che muove la ricerca fino a

nuove credenze. In queste comunità ogni componente, ogni bambino, fa esperienza dell’essere visto e ascoltato dai suoi pari e dagli insegnanti, di poter esprimere il proprio giudizio e misurarlo con quello degli altri contando sul rispetto e l’atten- zione di chi lo ascolta e sulla possibilità di poter auto-correggersi senza incorrere in punizioni o umiliazioni di sorta, imparando dunque a sentirsi considerato e anche apprezzato nel suo mettersi in gioco insieme ad altri con le proprie opinioni e idee. Ha modo così di sviluppare un buon senso di sé, imparando a stimarsi senza per forza abbassare gli altri, suoi compagni di avventura in quel meraviglioso viaggio che è la conoscenza. Impara, in breve, le basi di quella che da adulto sentirà chiamare la convivenza civile. In queste comunità il rapporto insegnante-alunno viene modi- ficato rispetto alla lezione tradizionale, quindi anche l’insegnante tradizionale deve essere condotto in un processo di revisione delle proprie prospettive pedagogiche di riferimento e delle proprie metodologie didattiche. L’obiettivo primario della lezione non deve essere più il far apprendere una disciplina specifica, ma far imparare a pensare, e questo significa, per un’insegnante, rimettere in gioco la propria identità e la propria funzione, riconoscendo gli alunni come i veri protagonisti del processo di insegnamento-apprendimento e non sé. Anche l’insegnante diviene un co-ricercatore, al più una guida, attento alla correttezza procedurale dell’argomentazione e neutrale, invece, dal punto di vista contenutistico.

Alla Santi si deve una delle prime applicazioni - forse la prima in assoluto - della P4C in Italia e la traduzione di alcuni degli strumenti didattici utilizzati nel curricolo, disponibili allora solo in lingua inglese. Soffermarsi brevemente su questa esperienza potrebbe aiutare a capire l’attuarsi concreto delle dinamiche finora de- scritte. Gli obiettivi generali della P4C, assunti in questo studio, erano lo sviluppo di atteggiamenti democratici, competenze comunicative, abilità di pensiero e di ra- gionamento, attitudini, disposizioni, atteggiamenti critici e creativi nei confronti del mondo e della conoscenza, e il testo adottato come racconto-guida la storia Kio e Gus (Lipman 2000), che ha a tema il rapporto con l’ambiente (sebbene entri in gioco anche quello della diversità, dato che Gus è una bambina cieca), tradotta in italiano proprio in occasione di tale studio e ad opera dell’autrice stessa. Nello studio sono stati coinvolti trentuno bambini della scuole elementari: tredici frequentati la secon- da elementare, dieci la terza, otto la quarta, tutti di età compresa fra i sette ed i nove anni. Le insegnanti coinvolte erano tre, tutte volontarie perché già sensibilizzate al tema, che sono state preparate a gestire le attività tramite un training settimanale di due ore, avvenuto nel mese di ottobre, all’inizio dell’anno scolastico, continuati poi come incontri di aggiornamento e confronto sulle attività svolte durante il periodo di sperimentazione. Le tre insegnanti, ed i rispettivi bambini, appartenevano a tre scuole diverse della zona del Polesine. Le sessioni di filosofia si tenevano una volta a settimana per circa un’ora, molto meno rispetto a quanto indicato dalla proposta americana, che ne prevedeva due o tre a settimana, per circa cinquanta minuti. La prima parte di ogni sessione serviva a costruire le basi del dialogo, attraverso la lettura di un brano della storia e una sua prima contestualizzazione: dopo la lettura ai bambini viene dato qualche minuto per leggere silenziosamente di nuovo il brano ed esprimere cosa vi hanno trovato di problematico, strano, interessante, ed in ba- se ai loro interventi viene delineata un’agenda di discussione, ossia una lista degli argomenti che si vorrebbe trattare, che viene scritta sulla lavagna o su un grande

foglio bianco, assieme al nome del bambino che ha proposto la singola questione. Da questa lista poteva poi partire la discussione: la raccomandazione alle insegnan- ti era che l’enfasi non dovesse essere data tanto alle risposte corrette, quanto alle buone argomentazioni a supporto, al buon ragionamento, alle buone domande, os- sia alla ragionevolezza dei processi in gioco. E che anche le eventuali correzioni di ragionamento avvenissero in maniera quanto più possibile socratica, ossia tramite domande che aiutassero a far emergere la consapevolezza dell’errore, più che una sua esplicitazione diretta. Ne risultò che i bambini erano in grado di sollevare e vagliare questioni filosofiche, e che il racconto e il dialogo comunitario favoriscono questa sensibilità alla dimensione filosofica della realtà; che il filosofare assieme dava l’opportunità ai bambini di divenire più consapevoli della struttura argomentativa del proprio ragionare e quindi anche dei propri discorsi; che il grado di complessità e coerenza delle argomentazioni era aumentato, così come il grado di collaborazione