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Pisa Primi investimenti nel banco e ragioni di una scelta »

I. Da Firenze a Pisa Manifattura della lana e primi investimenti nel banco pisano

2. Pisa Primi investimenti nel banco e ragioni di una scelta »

Con alle spalle i buoni risultati dell’impresa laniera, Alamanno credé bene di operare i primi importanti investimenti a lungo termine fuori Firenze, in nuove imprese dal carattere più prettamente commerciale e finanziario: così, non più tardi dell’estate del 1438, fu impiantata una prima ditta a Pisa.

La volontà da parte di Alamanno e dei suoi discendenti di fare della città marinara il punto di avvio di un’impresa finanziaria e commerciale di carattere internazionale di tutto rispetto, può essere chiarito soprattutto sulla base di considerazioni di carattere puramente economico. La lavorazione e la vendita dei panni, nell’azienda laniera di Firenze, era stata contraddistinta, nei primi decenni del secolo, da un lento incremento dei dividendi, saldamente intrecciato anche ad uno sviluppo delle attività: per quest’ultimo aspetto è chiaro che i dati da noi addotti non sono sufficienti, ma soltanto indicativi di una realtà che merita uno studio più accurato. Resta fermo, invece, che l’azienda laniera avesse realizzato una discreta disponibilità di liquidi da poter re-investire in altre imprese. La scelta di Pisa a questo punto, garantita da una accettabile base economica, fu dettata anche dalla necessità di migliorare il servizio connesso all’esportazione di panni all’estero.

L’ipotesi di una complementarietà fra produzione laniera e smercio del panno confezionato è sorretta dal fatto che le valutazioni sulla scelta di fissare un azienda fuori Firenze, avvenivano all’interno di un ramo, quello di Alamanno, che era relativamente nuovo nel panorama della mercatura e

monachino), 86 (panno di Maiorca), 88, 103 (seta); N. 232 (1448-1452), cc. 132 (lana di Garbo), 206, 208 (soantoni), 253 (cera zaciora), 190, 231, 255, 258 (lana d’Inghilterra), 30, 41 (seta stravai); N. 238 (1452- 1455), cc. 6 (grana di Valencia), 7, 194 (drappi di seta), 76, 147, 204 (panni di Essex, loesti e panni d’Inghilterra), 64, 98 (pelli passalarghe d’Inghilterra), 63 (ferro stagnato) 70 (lana matricina), 72 (montoni di Avignone), 75 (mandorle provenzali), 82 (grano), 177, 180, 215 (lana e stagno d’Inghilterra); N. 240 (1455-1463), c. 46 (panni grossi di Garbo); N. 248 (1458-1472), c. 139 (polvere di grana di Valencia); N. 250 (1464-1474), cc. 16 (biacca), 124 (lana francesca), 139 (panni di Garbo), 165 (grano); N. 254 (1471-1477), cc. 98, 121 (panni perpignani), 132 (panni di Garbo), 40, 85, 126, 131 (lana di San Matteo), 44, 90 (lana matricina), 68 (grana spagnola), 78, 140 (grano), 91 (robbia di Fiandra).

della finanza, un fatto che avrebbe poi giustificato anche una ‘timidezza’ iniziale nell’entità degli investimenti e nella dimensione geografica effettiva degli affari, che avremo modo di evidenziare e discutere anche nei paragrafi successivi.

Va tuttavia reso conto di quanta parte giocarono, sulla scelta di aprire un’azienda a Pisa, le motivazioni sociali e politiche sottese, anzi, complementari al tornaconto economico, anche a distanza di alcuni decenni dalla conquista fiorentina.

In primo luogo è innegabile che i Salviati andassero a colmare parte del vuoto lasciato, per varie ragioni, dal ceto mercantile eminente pisano; ragioni che possiamo sintetizzare sulla base dell’intervento su tutte le forme del capitale: esilio, imposto o volontario, dello stesso ceto mercantile cittadino; e ‘politica economica’ occhiuta, attuata dai Fiorentini, e tesa a mortificare qualsiasi concorrenza imprenditoriale a livello industriale. A fare da sfondo a questi eventi è il panorama di una città già impoverita finanziariamente, secondo un processo già avviato ben prima della conquista. A modificare il quadro generale, poi, a poco servirono anche i provvedimenti fiorentini, successivi al 1406. Mai davvero sistematici nei primi decenni di dominazione, avrebbero dovuto risollevare su un piano demografico la città ed economicamente il suo contado, attraverso un più razionale sfruttamento44. E’ evidente poi che, in un centro urbano dalle

tradizioni municipali e mercantili profondamente radicate, il pesante intervento della Dominante nei gangli del sistema statale e fiscale cittadino,

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Questi ed altri sono i temi alla base di alcuni dei lavori di Giuseppe Petralia: ‘Crisi’ ed emigrazione dei ceti eminenti a Pisa durante il primo dominio fiorentino: l’orizzonte cittadino e la ricerca di spazi esterni (1406-1460), in I ceti dirigenti nella Toscana del Quattrocento, Atti del V e VI Convegno (Firenze, 10- 11.XII.1982 e 2-3.XII.1983), Firenze, Papafava, 1987, in part. pp. 302 e sgg.; idem, Pisa laurenziana: una città e un territorio per la conservazione dello “Stato”, in La Toscana al tempo di Lorenzo il Magnifico. Politica Economia Cultura Arte, Convegno di Studi promosso dalle Università di Firenze, Pisa e Siena, 5-8.XI.1992, Comitato nazionale per le celebrazioni del V centenario della morte di Lorenzo il Magnifico, Pisa, 1996, pp. 955-980. Sul “crollo” trecentesco delle attività marinare e commerciali, associato al deterioramento della rete idrografica, causa dell’impaludamento di vaste zone del contado pisano, con i tentativi lenti e deboli dei Fiorentini nel Quattrocento, si veda: M. Della Pina, La formazione di un nuovo polo demografico nella Toscana dei Medici: Pisa e “contado” tra XV e XVII secolo, in “Ricerche di Storia Moderna”, III, Pisa, 1984, pp. 1-56.

dovette assestare un colpo terribile al tessuto sociale pisano, con effetti verosimilmente visibili ancora negli anni Trenta. Ciò, è stato detto, avveniva sulla base di un inquadramento amministrativo, da parte di Firenze, ben preciso in tutti i suoi domini e dunque su più larga scala; un esercizio politico autoritario, si potrebbe dire tipicamente fiorentino, dal momento che fu inedito, nelle sue forme, anche rispetto ai casi della

Lombardia viscontea e della dominazione veneziana sulla terraferma45.

Sul piano economico questo forte controllo dovette chiaramente irrigidire il ruolo della città tirrenica a quello di avamposto di Firenze, nel corso di un secolo, poi, in cui la repubblica gigliata compiva, attraverso il sistema statale di navigazione, sforzi concreti, nel tentativo di dare una più precisa strutturazione dei suoi traffici marittimi, che non furono sempre premiati dal successo46.

Pertanto, sul finire del terzo decennio del secolo, agli occhi dei Salviati, doveva presentarsi una città che, ormai, per i mercanti di Firenze non aveva quasi nulla della piazza straniera, ma che appariva, sotto molti aspetti, vera ‘appendice istituzionale fiorentina’ – cosa che prescinde anche da qualsiasi considerazione sulla presenza fisica, anche se massiccia, della

componente mercantesca fiorentina all’interno della cinta urbana47. A

questo punto ben si inquadra la decisione dei Salviati – e forse, come loro,

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Dove erano garantite maggiori autonomie locali: G. Chittolini, Ricerche sull’ordinamento territoriale del dominio fiorentino agli inizi del secolo XV, in La formazione dello Stato regionale e le istituzioni del contado. Secoli XIV-XV, Milano, Unicopli, 2008 (2005), pp. 225-265 (il caso di Pisa e del suo contado è discusso nelle pp. 232-238). La condizione di stretto assoggettamento di Pisa e del suo contado al dominio fiorentino sembra tuttavia essersi progressivamente attenuata, soprattutto nel corso della seconda metà del secolo: E. Fasano Guarini, Città soggette e contadi nel dominio fiorentino tra Quattro e Cinquecento: il caso pisano, in Ricerche di Storia Moderna, I, Pisa, Pacini, 1976, pp. 24-28. Si vedano anche le considerazioni più recenti in: G. Petralia, Fiscality, politics and dominion in florentine Tuscany at the end of the Middle Ages, in Florentine Tuscany. Structures and practices of power, ed. by W. J. Connell and A. Zorzi, Cambridge, Cambridge University Press, 2000, pp. 65-89; per un dato statistico sul contado pisano può essere utile anche: R. Castiglione, Le imposte sul contado pisano tra il XIV ed il XV secolo, in “Bollettino Storico Pisano”, LXXVI, 2007, pp. 92-97. Interessante è poi la disamina compiuta da Stephan R. Epstein, sui cambiamenti prodotti anche nel sistema doganale interno ai confini della Repubblica, e gli effetti sulle ‘strutture di mercato’ dei mutamenti relativi all’imposta indiretta: Market structures, in Florentine Tuscany, cit., pp. 90-121.

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M. E. Mallett, The Florentine galleys in the fifteenth century, Oxford, Clarendon Press, 1967, pp. 44, 92, 97, 144-152.

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Si vedano i Fiorentini presenti a Pisa all’indomani della conquista in: B. Casini, Operatori economici stranieri a Pisa all’indomani della dominazione fiorentina (1406-1416), in Studi in memoria di Federigo Melis, Vol. III, Napoli, Giannini Editore, 1978, pp. 194-195.

anche di altre famiglie (Quaratesi, da Rabatta e Capponi fra gli altri) – di stabilire non una semplice filiale, come poté avvenire, negli anni successivi, per Bruges, Londra e Costantinopoli, ma invece un sicuro baricentro delle proprie attività commerciali.

Si deve dunque credere che Pisa, nel corso dei primi 30-40 anni di assoggettamento, avesse assunto sempre più le sembianze di un guscio vuoto, da asservire, almeno da un punto di vista economico, alle scelte del momento, provenienti spesso dall’alto?

In base alle nostre fonti la risposta è negativa. Più avanti vedremo che, anche se il tessuto socio-economico a Pisa uscì in parte frantumato dall’intervento oppressivo della politica fiorentina, ben altro avveniva all’estero. Una consistente componente pisana, infatti, ancora non totalmente radicata in alcune delle maggiori piazze commerciali e finanziarie mediterranee (Barcellona, Palermo, Marsiglia), vitalizzava l’antica rete delle relazioni commerciali che Pisa aveva intrattenuto in queste aree dell’Europa. Si tratterà di figure isolate nelle nostre fonti, dalle quali però traspare una forte intraprendenza. Significativamente, saranno soprattutto loro a garantire una prima mediazione fra gli ancora inesperti figli di Alamanno di Jacopo e il mondo della più prestigiosa mercatura internazionale, distinguendosi, nelle nostre fonti, in maniera più chiara rispetto ad altri operatori, come punti ancora pulsanti di una koinè finanziaria mediterranea non ancora perduta.

In ultimo, poi, merita una più giusta collocazione anche il settore della concia, la cui sopravvivenza fu di certo garantita da precise scelte politiche a livello industriale della Dominante, ma che fu in buona parte lasciato nelle mani di un ceto imprenditoriale soprattutto locale. Di esso non è mai stata messa sufficientemente in luce la consistenza dei mezzi con i quali operavano gli interlocutori dei Salviati a Pisa, cuoiai ma anche pellicciai e tutti coloro che rappresentavano quello che oggi chiameremmo ‘indotto’, come i numerosi calzolai segnalati nelle nostre fonti. A tal

proposito, queste ultime lasciano trasparire una certa intraprendenza, nel panorama economico urbano, di una serie di operatori legati all’industria conciaria, presenza che si traduce anche in una forte incidenza nel reddito dell’azienda Salviati, come si vedrà. Questa presenza si materializzò in maniera diretta, con operatori che agivano spesso in stretta simbiosi con l’azienda Salviati, a loro volta necessari per garantire loro l’approvvigionamento estero di pelli e semilavorati; e sia in maniera indiretta, lasciando intravedere, fra le pieghe di questi affari, un notevole sforzo in termini di capitali investiti da parte di questi operatori, sebbene

spesso in forma di credito, concesso anche dal nostro banco48.

II. Storia e struttura interna della compagnia.