• Non ci sono risultati.

I primi anni ’60 Attività armatoriali private e “di stato” »

III. Cinquant’anni di attività attraverso i bilanc

3. I primi anni ’60 Attività armatoriali private e “di stato” »

Un altro esempio, più tardo, del forte interesse del banco per le imprese di navigazione commerciali, ci viene dall’acquisto di una saettia nuova, con una stazza di 90 botti circa, effettuato in società con una compagnia altrettanto attiva a Pisa, cioè quella di Luigi e Giovanni Quaratesi e co.322. Nell’aprile del 1463 le due compagnie acquistarono da

320

Il nolo del grano ammontò a 300 fiorini (1 f. per moggio), pari a 330 fiorini, e fu pagato da Zanobi Gaddi e Antonio Popoleschi a Vanni Rucellai e co. di Barcellona: N. 271 (1444), cc. 4v, 7r.

321

In c. 81r il redattore del Libro D registra lo scarico della merce a Talamone erroneamente il 20 maggio. Da altre carte risulta invece che il periodo di sosta nel porto toscano e lo scarico della merce avvenne il 12-18 luglio: N. 271 (1444), cc. 9v-10r. Del commercio del grano accenneremo ancora di seguito.

322

“Una saettia nuova di botte LXXXX in circha e cchon suoi chorredi e ccholla sua stiva per circha botte cinquanta e cchol suo charicho di vini di botte novanta, a cchomune chom Luigi e Giovanni

Luigi Tagliacarne e fratelli di Levanto l’imbarcazione, al prezzo complessivo di 639 fiorini e 18 soldi, equamente divisi, come si evince dalla nota su un mastro, in cui si riporta che, per i Salviati, 319 fiorini e 19

soldi “sono per la 1/2 abbiamo in detta saettia”323.

Il primo aprile 1463 il banco pagò agli armatori liguri una prima rata di 106 fiorini e 13 soldi, pari ad 1/6 della cifra complessiva da corrispondere.

Un’altra rata, di 107 fiorini e 2 soldi, venne anticipata il 30 giugno, per conto del banco, dai Quaratesi di Pisa. Intanto l’imbarcazione era stata già messa in mare, con un suo padrone, Salvatore (alias Jacopo) di Pagno. L’ordine delle registrazioni non segue in questo caso l’ordine cronologico degli eventi e ciò costituisce un ostacolo alla ricostruzione degli eventi. Con certezza possiamo dire che la saettia dei Salviati-Quaratesi aveva compiuto, prima della fine dell’anno, almeno tre viaggi: i primi due dalla Corsica, di cui uno con partenza da Levanto, che avevano sempre avuto come tappa d’arrivo Roma; il terzo invece aveva avuto per meta Ischia. Non sappiamo quasi nulla della merce trasportata dalla saettia e dall’intestazione dei conti si ricava chiaramente che ad essa fosse stato assegnato essenzialmente il trasporto di vino, che era poi uno degli articoli

maggiormente richiesti sulla piazza romana324. Ma questo non doveva

essere l’unico genere alimentare stivato, perché con ogni probabilità, in uno dei viaggi di ritorno da Roma, la barca aveva caricato grano a Corneto, per poi fare rotta per Portovenere. Ad ogni modo, in due occasioni troviamo nella sua stiva sicuramente vini: brusco di Levanto, con una partecipazione al carico degli stessi Tagliacarne, e vino corsesco.

Quaratesi”; i conti relativi a questa operazione sono in: N. 280 (1462-1463), cc. 280, 290; N. 281 (1463- 1465), cc. 83, 129, 223, 314. In merito ai Quaratesi, molto attivi a Pisa sul piano dell’import-export imperniato sui suoi porti, si veda anche: S. Tognetti, Il ruolo della Sardegna, cit., in part. pp. 108-113. La stazza di questa nave, considerando quanto già detto in nota 298, doveva aggirarsi intorno alle 42 tonnellate circa.

323

N. 281 (1463-1465), c. 83a.

324

A. Esch, Le importazioni nella Roma del primo Rinascimento (il loro volume secondo i registri doganali romani degli anni 1452-1462), in Aspetti della vita economica e culturale a Roma nel Quattrocento, Istituto di Studi Romani, Roma, 1981, pp. 9-79, in part. pp. 20-23 e 71-74.

Il ricorrente utilizzo di questa piccola imbarcazione obbligò, già dopo alcuni mesi, ai primi interventi di manutenzione allo scafo. Fra dicembre e gennaio, il padrone Salvatore di Pagno effettuava alcune spese per gli arredi e la concia della nave, addebitandone il banco per la metà in suo possesso.

Il 10 gennaio del 1464 il contabile registrò l’ultima operazione sul conto della saettia, rivelando che, nel corso dell’ennesimo viaggio da o per il porto fluviale di Roma, l’imbarcazione era andata irrimediabilmente perduta proprio sulla foce del Tevere.

A questo punto le registrazioni sul conto intestato alla saettia

cessarono325. Anche se i conti non dicono molto altro, da due poste si ricava

che l’evento portò probabilmente ad una ricomposizione delle quote di proprietà della piccola imbarcazione, non più divise per due, fra i banchi pisani dei Quaratesi e dei Salviati, ma suddivisi per tre, con l’aggiunta finale di Luigi Tagliacarne326.

La sfortunata vicenda non scoraggiò di certo i Salviati dal cercare altre forme d’investimento a livello armatoriale. In quella stessa estate, e forse anche per colmare in parte il vuoto lasciato dalla saettia persa, il banco prendeva in affitto 9 carati della saettia di un Giovanni di Jacopo detto ‘Lantico’ di Pistoia, pagando per l’acquisto della quota e le spese ad essa spettanti, 85 fiorini circa. Questo avveniva nell’agosto del 1463, quando la saettia compì al solito un viaggio a Roma. Il banco subaffittò una parte dei 9 carati a terzi e il ricavo lordo costituito dai noli ammontarono a quasi 116 fiorini. Una parte dei 9 carati fu conservata per caricare vino razzese di Riviera, che Giovanni di Jacopo aveva acquistato in Liguria e portato a Roma. Qui il vino, in 7 botti, era stato consegnato a Piero del

325

“E a dì X detto [febbraio 1464] f. ventinove s. II d. VI a oro, per tanti s’avanza in questo chonto della saettia, la quale non seghue più per esersi perduta più giorni sono in sulla foce di Roma” [10.II.1464]; o ancora: “…e perché detta saettia è perduta, ch’andò più giorni fa a traverso in sulla foce di Roma…”: N. 281 (1463-1465), c. 314a.

326

E’ quello che si intuisce da due partite, in cui viene anche segnalata la redazione di una scritta a parte avvenuta fra i tre: N. 281 (1463-1465), cc. 244b, 314a.

Torto da Pisa, che con la vendita aveva registrato un ricavo lordo di poco più di 66 fiorini327.

L’ultimo caso, in ordine di tempo, ci porta al 1459 e ci mostra il banco operare in qualità di finanziatore per le iniziative di armamento delle galee di stato e di cassa per le imprese compiute da membri della famiglia. Le prime informazioni derivano da un conto intestato a Carlo di

Jacopo Guasconi328. Questi risultava essere, in coppia con Ristoro di

Antonio Serristori329, padrone delle galere che, nell’ottobre del 1459, fecero

rotta per le Fiandre e l’Inghilterra. Carlo Guasconi aveva già avuto esperienza di viaggi nel Nord Europa, avendo ricoperto l’ufficio di scrivano

delle galee di Fiandra e d’Inghilterra nel 1445-1446330. I capitani delle galee

di Fiandra del 1459 erano Jacopo di Andrea de’ Pazzi e Averardo di

Alamanno Salviati331. Averardo sarebbe diventato, qualche anno dopo, il

titolare del banco Salviati di Firenze, mentre Jacopo amministrava, con il fratello Piero, il banco Pazzi di Firenze. Da alcune partite, ricavate dalla contabilità del banco pisano, e registrate fra l’ottobre e il novembre del 1459, ricaviamo ulteriori interessanti dettagli sul viaggio di Fiandra e d’Inghilterra. Con una lettera d’avviso del 20 novembre il Guasconi fu registrato quale debitore del banco per la rispettabile somma di 4888 fiorini circa. Di essi, 2342 fiorini erano “per lo inchanto delle ghalee di Fiandra”, mentre 2546 fiorini erano stati versati a Giorgio da Mangona e agli altri scrivani delle galee di Fiandra, “per l’armamento e provigioni d’esse ghalee”. Lo stesso giorno Carlo Guasconi notificava al banco che era però anche creditore di 1440 fiorini nei confronti di Jacopo de’ Pazzi, “per la sua parte dello’nchanto e armamento delle ghalee di Fiandra”; e di altri

327

I guadagni registrati sulla riscossione dei noli e i profitti sulla vendita del vino furono invece rispettivamente di 58 e 23 fiorini circa: N. 281 (1463-1465), cc. 130, 314, 364, 367.

328

N. 279 (1459-1462), c. 72.

329

S. Tognetti, Da Figline a Firenze. Ascesa economica e politica della famiglia Serristori (Secoli XIV- XVI), Firenze, Opus libri-Comune di Figline Valdarno, 2003, passim.

330

N. 275 (1446-1449), cc. 80, 240. In quella occasione le galee rientrarono nell’estate del 1446 e dalle nostre fonti apprendiamo che il padrone di una di esse era Niccolò di Giovanni Nasi, che ben presto ripartì per la Catalogna (1447). Il Mallett, di fatto, lo segnala in entrambi i casi come padrone di galere grosse dirette a Barcellona e nel Nord Europa: The florentine galleys, cit., p. 161.

331

1960 fiorini nei confronti di Averardo Salviati, “per la sua parte dello inchanto e spese fatte nello armamento nelle ghalee di Fiandra”. Le somme furono poi registrate in dare sul conto dei banchi Pazzi e Salviati di Firenze – quest’ultimo aveva allora ragione sociale Francesco di Alamanno Salviati e fratelli332.

A questo punto però ci viene in soccorso una registrazione del maggio 1468, ricavata da un libro dei Salviati di Firenze, da cui apprendiamo gran parte dei retroscena:

Charati XI di 48 participiano nelle ghalee di Fiandra, che partirono l’anno 1459, ritornorono l’anno 1460, chapitano Niccholò Cerretani. De’ quali charati, due n’attiene a’ nostri di Pisa, charati due a’ nostri di Bruggia, charati due a’ nostri di Londra, e charati cinque, che ssono il resto di detti charati XI, a noi, deono dare, a dì XVIIII° di maggio, f. mille dieci s. II d. X a oro, per tanti ne toccha a detti XI charati di f. 4407 s. XVII d. XI a oro. Sono creditori Jacopo de’ Pazi, Charlo Guaschoni e Francesco Salviati e fratelli, maonieri per charati 48 in dette ghalee per loro e altri; per denari ànno messi in detta maona, pe’ bisogni della maona, chome appare creditori al Libro rosso della maona, tenuto per Charlo Guaschoni, cioè Jacopo de’ Pazzi a 28 di f. 1190.0.5 a oro, e Charlo Guaschoni a 139 di f. 1193 s. 16 d. 2 a oro, Francesco Salviati e fratelli a 45 di f. 2024 s. 1 d. 4, ch’è in tutto f. 4407 s. 17 d. 11 a oro. Che a partire per charati di 48 ne tocha per charato f. 91 s. 16 d. 7 23/48, sicché a charati 11 ne toccha detta quantità, chome appare al Giornale a 98. In questo

Charlo Guaschoni per detto chonto avere 321 ..….. f. MX s. II d. X 333

332

N. 279 (1459-1462), cc. 72, 12, 66.

333

In sostanza tutte le aziende Salviati allora attivate avevano preso parte all’impresa, che del resto, oltre a promettere buoni guadagni, le coinvolgeva tutte direttamente su un piano organizzativo. Si delineava in questo senso un quadrilatero, per mezzo delle aziende Salviati, all’interno del quale Firenze e Londra erano i due poli principali, con la prima che inviava ordinativi alla seconda, per l’acquisto di lana inglese e Pisa e Bruges a fare da “porti” di transito, con il compito di sovrintendere al carico e allo scarico della merce.

Dal medesimo conto da cui abbiamo estratto la precedente partita apprendiamo inoltre che altri 11 carati furono rilevati da una delle maggiori aziende fiorentine, quella di Francesco Neroni (Francesco di Nerone di Nigi di Nerone Dietisalvi) e co. 334.

Gli stessi Neroni avevano potuto contare, in precedenza, sull’intervento finanziario dei Salviati di Pisa, che avevano anticipato gran parte delle spese, come si vede dalle seguenti partite, ricavate per l’appunto

da un libro di conti della ditta Francesco Neroni e co. di Pisa335:

MCCCCLVIIII°

Francesco e Giovanni Salviati e conpagni di Pisa deono avere ……….……… E a dì II di novembre f. dumilatrecento quaranta uno s. XVI d. VI a oro, sono che tanti faciaron buoni

334

Ibid. Interessanti riferimenti ai Neroni e alla loro importanza non soltanto nel commercio internazionale e nella manifattura della lana e della seta sono contenuti nel recente: L. Boschetto, Tra Firenze e Napoli. Nuove testimonianze sul mercante-umanista Benedetto Cotrugli e sul suo Libro dell’arte di mercatura, in “Archivio Storico Italiano”, CLXIII, 2005, pp. 697-706. Le sorti economiche della famiglia sarebbero mutate quando Francesco di Nerone fu condannato all’esilio in Sicilia nel 1466, dopo avere sostenuto il tentativo, fallito, di Luca Pitti di contrastare a Firenze Piero di Cosimo de’ Medici: Palmieri Matteo, Annales (in appendice al Liber de Temporibus, a cura di Scaramella G., Città di Castello, 1906-1915, R.I.S. XXVI, Parte I), pp. 183-184.

335

Il libro è inventariato come Libro rosso con segno de’ Salviati, che si crede segreto di Francesco di Nerone. Un primo esame del libro, di cui sono compilate soltanto 45 carte su 143, ha invece rivelato una prevalenza dei conti sicuramente riconducibili proprio all’impresa delle galee di Fiandra del 1459, cosa che porta a credere che il libro fosse destinato – con le registrazioni che arrivano fino al 1464 – alla sola gestione finanziaria di questo viaggio. Per le partite trascritte di seguito, facciamo notare almeno lo sconto del 10% applicato sul pagamento anticipato ai Consoli del mare: N. 21 (1459-1464), c. 2v-3r.

loro per Consoli del mare, per l’onchanto dele ghalee di Fiandra, chome apare in questo, a chonto

de’ deti Consoli a 3 ……….. f. II/M CCCXLI s. XVI d. VI

Chonsoli del mare del Chomune di Firenze deono dare, a dì II di novembre f. dumila trecento quarantuno s. XVI d. VI a oro, per loro a’ 5 Ghovernatori di Pisa e per noi da’ Salviati di Pisa chreditori in questa 3 E sono per l’onchanto delle ghalee di Fiandra che chostorono f. 2150 larghi, di che s’abatte X per cento, perché li paghasimo inanzi, che furono f. 1935 larghi, a 21 per cento cho’ la partita montorono f. 2341 s. 16 d.

6 a oro, cioè ……….………….. f. II/M CCCXLI s. XVI d. VI

Il libro dei Neroni (N. 21), da cui è tratta la presente partita, costituisce una fonte di prima mano sull’impresa delle galee comunali di Fiandra del 1459. Da esso rileviamo maggiori informazioni su quale fosse effettivamente la suddivisione delle quote fra i vari caratisti. La tabella che segue riassume in sintesi alcuni dei dati desunti da più conti relativi alla maona che gestiva l’impresa. E’ verosimile che dietro i nomi dei Neroni, ma soprattutto del Guasconi e di Jacopo de’ Pazzi, si celassero altri piccoli investitori, parzionari delle galee, così com’è evidenziato per le quote dei Salviati. Molto interessante è poi il dato relativo al carico delle galee, fra cui spicca la lana contisgualda, cioè del Cotswold, che costituì, per valore, la merce più importante. Ad occuparsi della fornitura di materia greggia in Inghilterra fu il banco Salviati di Londra che ne caricò sulle due galee 404½ sacchi, che comportarono costo e spese per l’astronomica somma di 14752 fiorini di suggello. Se poi a questi aggiungiamo i costi e le spese di altre 533 pezze di panno soantone per 1283 fiorini, di 293 pezze di panno di Essex per 880 fiorini, di 88 pani di piombo per 851½ fiorini e di 47 pezzi di stagno per 1030 fiorini, l’importo registrato in Inghilterra dai Salviati di

Londra, per le merci caricate, da addebitare ai committenti, arrivò a sfiorare i 19mila fiorini d’oro336.

Tab. XXV. Impresa della galee di Fiandra. 1459-1460.

Socio caratista Carati rilevati Costo e spese per la lana caricata

(In fiorini di suggello)

Francesco e Giovanni di Alamanno Salviati e co. di Pisa

2 ---

Francesco di Alamanno Salviati e fratelli di Firenze

5 ---

Eredi di Jacopo Salviati e co. di Londra 2 --- Giovanni di Alamanno Salviati e Piero da Rabatta

e co. di Bruges

2 ---

Francesco Neroni e co. di Firenze 11 --- Totale 22 6315.16.9 Jacopo de’ Pazzi 13 3732.1.9 Carlo di Jacopo Guasconi

(padrone delle galee di Fiandra)

13 3732.1.9

Totale 48 13780.0.3