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Il pneuma connaturato e il calore vitale

È giunto il momento di inserire il pneuma connaturato all’interno del sistema psicofisiologico che abbiamo visto appartenere all’uomo. In un passo del De

generatione animalium sul quale avremo modo di tornare a più riprese, troviamo nella

forma più esplicita contenuta all’interno del Corpus Aristotelicum la messa a fuoco del collegamento esistente tra pneuma e calore vitale.

πάντων μὲν γὰρ ἐν τῷ σπέρματι ἐνυπάρχει ὅπερ ποιεῖ γόνιμα εἶναι τὰ σπέρματα, τὸ καλούμενον θερμόν. τοῦτο δ' οὐ πῦρ οὐδὲ τοιαύτη δύναμίς ἐστιν ἀλλὰ τὸ ἐμπεριλαμβανόμενον ἐν τῷ σπέρματι καὶ ἐν τῷ ἀφρώδει πνεῦμα καὶ ἡ ἐν τῷ πνεύματι φύσις, ἀνάλογον οὖσα τῷ [737a] τῶν ἄστρων στοιχείῳ.

Nel seme di tutti gli animali è presente ciò che rende fecondi i semi: ciò che è chiamato caldo. Questo però non è fuoco, né una facoltà simile al fuoco, ma il pneuma racchiuso nel seme e nella schiuma e la natura contenuta nel pneuma, che è analoga all’elemento di cui sono costituiti gli astri (ARIST., De gen. an., II, 3, 736b 30 - 737a 1).

Tralasciando per adesso l’analogia con l’etere di cui sono formati gli enti del mondo superlunare, dobbiamo sottolineare due dati fondamentali del passo riportato: il calore vitale, in quanto gioca un ruolo di primo piano nella riproduzione animale; lo sperma

114 ἡ γὰρ γιγνομένη κίνησις ἐνσημαίνεται οἷον τύπον τινὰ τοῦ αἰσθήματος, καθάπερ οἱ

σφραγιζόμενοι τοῖς δακτυλίοις (ARIST., De mem. et remin., 1, 450a 30 – 32).

115 cfr ARIST., De gen. an., I, 19, 726b 34; II, 1, 732a 18ss. 116 G. Freudenthal, op. cit., pp. 70 - 73.

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contenente pneuma, che a sua volta veicola il calore vitale. Tra le due entità esiste dunque un rapporto di inerenza a fronte del quale, richiamando l’elaborata psicofisiologia di cui il calore vitale è protagonista assoluto, qualsiasi interpretazione che considera il ruolo e lo statuto del pneuma in maniera eccentrica rispetto al resto del sistema aristotelico, quasi come un deus ex machina presente allorché ce n’è bisogno, rischia di misconoscere la fecondità euristica di quel legame.

Friedrich Solmsen ha completamente distaccato il pneuma connaturato dal resto della teoria aristotelica vedendo nel passo citato l’attribuzione al pneuma di uno statuto ontologico superiore, e dirompente rispetto alla teoria del mondo sublunare, richiesto a suo avviso per giustificare il ruolo di vettore delle facoltà cognitive individuali117. La sua operazione interpretativa è resa possibile da quella opacità concettuale del pneuma connaturato alla cui chiarificazione ci siamo proposti di dedicare questo lavoro. Infatti, solamente partendo dal presupposto che le diverse funzioni attribuite da Aristotele al

symphyton pneuma siano in certo modo contraddittorie con i capisaldi della sua

gnoseologia e cosmologia è possibile insistere su quelle caratteristiche che, se intese erroneamente, possono giustificare una sua identificazione con l’etere ed un collegamento con il nous attivo. Solmsen non riesce a riconoscere la “normalità” del

pneuma, cioè quell’insieme di caratteristiche che lo accreditano quale parte del mondo

sublunare, e inoltre trascura l’unitarietà di quella plurifunzionalità del pneuma che indagheremo nei capitoli successivi, cioè tutte le operazioni che il pneuma connaturato esplica in modo unitario all’interno del composto umano. Si tratta di una visione d’insieme del ruolo animante del pneuma di cui, invece, Nussbaum dispone nel suo trattato interpretativo sul De motu118, e che tuttavia non le permette di valorizzare il legame col calore vitale. Quest’ultimo, infatti, rimane sullo sfondo della sua interpretazione, nella quale il pneuma riveste il ruolo di “tappabuchi” epistemico usato da Aristotele per spiegare processi corporei dei quali, altrimenti, non avrebbe modo di

rendere conto in maniera esaustiva. Riguardo al passo da noi citato David M. Balme119,

così come Freudenthal, coglie la continuità con il resto della speculazione aristotelica, ma valorizza in modo diverso il ruolo del calore vitale. Infatti per Balme il calore vitale non è diverso dal calore del fuoco se non quanto a “purezza”, perché tra la natura inanimata e quella animata non ci sono soluzioni di continuità radicali; al contrario, per

117 F.Solmsen, The vital heat, the inborn pneuma, and the aether, “Journal of Hellenic Studies” 53 (1957),

pp. 119 - 123.

118 Aristotele, De motu animalium, cit., pp. 143 - 164.

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Freudenthal il calore vitale possiede quegli “informative movements” che ne fanno un attore sui generis della chimica del vivente. Le interpretazioni di entrambi, ad ogni modo, non attribuiscono al pneuma alcun carattere eccezionale rispetto alla chimica del mondo sublunare.

Al pari degli altri attori della psicofisiologia aristotelica, anche il pneuma è prodotto

dall’azione del calore vitale sul sangue120, e questo processo, che è continuativo, è ciò

che causa le pulsazioni nei vasi sanguigni di cui rende conto un interessante passo del

De vita et morte. ἡ δὲ συμβαίνουσα σφύξις τῆς καρδίας, ἣν ἀεὶ φαίνεται ποιουμένη συνεχῶς, ὁμοία φύμασίν ἐστιν, ἣν ποιοῦνται κίνησιν μετ' ἀλγηδόνος διὰ τὸ παρὰ φύσιν εἶναι τῷ αἵματι τὴν μεταβολήν· γίνεται δὲ μέχρις οὗ ἂν πυωθῇ πεφθέν. ἔστι δ' ὅμοιον ζέσει τοῦτο τὸ πάθος· ἡ γὰρ ζέσις γίνεται πνευματουμένου τοῦ ὑγροῦ ὑπὸ τοῦ θερμοῦ· αἴρεται γὰρ διὰ τὸ πλείω γίνεσθαι τὸν ὄγκον. παῦλα δ' ἐν μὲν τοῖς φύμασιν, ἐὰν μὴ διαπνεύσῃ, παχυτέρου [480a] γινομένου τοῦ ὑγροῦ, σῆψις, τῇ δὲ ζέσει ἡ ἔκπτωσις διὰ τῶν ὁριζόντων. ἐν δὲ τῇ καρδίᾳ ἡ τοῦ ἀεὶ προσιόντος ἐκ τῆς τροφῆς ὑγροῦ διὰ τῆς θερμότητος ὄγκωσις ποιεῖ σφυγμόν, αἰρομένη πρὸς τὸν ἔσχατον χιτῶνα τῆς καρδίας. καὶ τοῦτ' ἀεὶ γίνεται συνεχῶς· ἐπιρρεῖ γὰρ ἀεὶ τὸ ὑγρὸν συνεχῶς, ἐξ οὗ γίνεται ἡ τοῦ αἵματος φύσις. πρῶτον γὰρ ἐν τῇ καρδίᾳ δημιουργεῖται· δῆλον δ' ἐν τῇ γενέσει ἐξ ἀρχῆς· οὔπω γὰρ διωρισμένων τῶν φλεβῶν φαίνεται ἔχουσα αἷμα. καὶ διὰ τοῦτο σφύζει μᾶλλον τοῖς νεωτέροις τῶν πρεσβυτέρων·

La pulsazione che avviene nel cuore, e che come sembra si produce sempre di continuo, è simile agli ascessi quanto al movimento che questi compiono con dolore, a causa del fatto che il mutamento del sangue avviene contro natura, finché con la maturazione non si ha la suppurazione. Questa affezione è simile all’ebollizione. L’ebollizione avviene quando il liquido è trasformato in vapore (pneuma) dal calore, e si solleva perché la massa diventa maggiore. La cessazione degli ascessi, qualora non evaporino, quando il liquido diventa più denso, è la putrefazione, mentre nel caso dell’ebollizione si ha la fuoriuscita dal recipiente. Nel cuore l’ammassarsi del liquido che continuamente proviene dal nutrimento produce la pulsazione, quando si solleva verso il mantello più esterno del cuore. E questo avviene sempre di continuo, poiché sempre di continuo vi fluisce il liquido dal quale si genera la natura del sangue, che si fabbrica in primo luogo nel cuore (ARIST., De vit., 26, 479b 27 - 480a 8, trad. di L. Carbone).

La pulsazione del sangue è paragonata sia agli ascessi che all’ebollizione di un liquido in generale: entrambi fenomeni nei quali gioca un ruolo di primo piano la cozione, o il riscaldamento operato dal calore, che genera l’aumento del volume del liquido in ebollizione. Ma mentre nel primo caso l’ascesso giunge a suppurazione in assenza di evaporazione, e nel secondo caso il liquido riscaldato fuoriesce dal recipiente, nel cuore l’ebollizione del liquido destinato a diventare sangue, cioè un prodotto del nutrimento sottoposto a vari processi di cozione, genera la pulsazione giacché si solleva verso il mantello più esterno del cuore. Sotto un punto di vista fisico l’ebollizione è precisamente il farsi pneuma di un fluido sottoposto all’azione del calore. Pertanto, quando Aristotele si riferisce al pneuma chiamandolo “aria calda”, compie una

affermazione perfettamente in linea con la sua teoria fisica (τὸ δὲ πνεῦμά ἐστι θερμὸς ἀήρ,

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ARIST., De gen. an., II, 2, 736a 1), e vedere in esso un prodotto della cozione che avviene nel cuore, anziché un deus ex machina svincolato dai presupposti del sistema aristotelico, ci permette di ricostruire la sua plurifunzionalità senza rinunciare alla coerenza del sistema speculativo. Tuttavia il pneuma prodotto in sede cardiaca, per quanto sia comparabile al vapore (hatmis) che osserviamo nelle ebollizioni del mondo fisico a noi circostante, se ne discosta sotto un aspetto importante. Infatti il vapore si separa dal liquido in ebollizione, mentre il pneuma rimane presente nel liquido, sia esso il sangue o lo sperma, sotto forma di piccole bollicine, producendo un fenomeno chimico analogo a quello dell’ebollizione del latte, che una volta oltrepassati i trenta

gradi centigradi aumenta di volume riempiendosi di piccole bollicine121.

Anche l’affermazione di Aristotele secondo cui il sangue è mantenuto fluido fin

quando all’interno dei vasi sanguigni subisce l’influsso del calore (Ἐν δὲ τοῖς σώμασιν

ὑγρόν ἐστι διὰ τὴν θερμότητα τὴν ἐν τοῖς ζῴοις, ARIST., De part. an., II, 4, 651a 12)122 è

spiegabile solamente riconoscendo l’inerenza del pneuma in esso. Infatti seguendo i principi della chimica aristotelica il calore dovrebbe, attraverso l’evaporazione della componente acquosa del fluido, condurre alla sua solidificazione perché rimarrebbe solamente la componente terrosa. Se ciò non accade è perché, come abbiamo visto, non c’è propriamente evaporazione, bensì inerenza del pneuma nel liquido in cui si produce grazie alla cozione. Il pneuma, prodotto continuamente in sede cardiaca e presente in tutti i vasi sanguigni, è ciò che impedisce la coagulazione del sangue. La presenza nel

pneuma di calore vitale lo rende il principale veicolo di questo fondamentale attore

corporeo, che non essendo una sostanza bensì una qualità ha sempre bisogno di un sostrato a cui inerire. Nel pneuma, in quanto aria calda dotata di calore vitale, riconosciamo gli echi semantici che abbiamo rilevato nel capitolo I, sintetizzati con coesione nel contesto dell’ilomorfismo aristotelico attraverso il riconoscimento di una plurifunzionalità strumentale che Aristotele sancisce esplicitamente nelle ultime pagine del De Generatione Animalium, un’opera che, riteniamo, appartiene alla fase più matura della sua speculazione.

ἐπεὶ καὶ τὸ τῷ πνεύματι ἐργάζεσθαι τὰ πολλὰ εἰκὸς ὡς ὀργάνῳ - οἷον γὰρ ἔνια πολύχρηστά ἐστι τῶν περὶ τὰς τέχνας, ὥσπερ ἐν τῇ χαλκευτικῇ ἡ σφύρα καὶ ὁ ἄκμων, οὕτω καὶ τὸ πνεῦμα ἐν τοῖς φύσει συνεστῶσιν.

121 G. Freudenthal, op. cit., pp. 106 - 114.

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È anche verisimile che la maggior parte delle cose sia fatta col pneuma come con uno strumento: come alcuni oggetti nelle arti sono utili in vario modo (nell’arte del forgiare il martello e l’incudine) così anche il pneuma in ciò che si costituisce naturalmente (ARIST., De gen. an., V, 8, 789b 8 – 10).

Altrettanto significativo è che subito prima di questo riconoscimento della strumentalità molteplice del pneuma Aristotele ribadisca, circa il fenomeno della dentizione, la preminenza della causa finale sulle altre. Fine, strumenti corporei, analogia tecnica e ilomorfismo si incontrano nelle poche righe citate e coinvolgono il

pneuma connaturato. Jaeger123, per giustificare l’assenza di una estesa ed

onnicomprensiva teoria del pneuma nelle opere aristoteliche, ha sottolineato che quando Aristotele parla di esso lo fa dando per scontato che i suoi lettori o uditori condividano con lui una comune conoscenza delle operazioni che gli sono attribuite, la quale rende superfluo qualunque ulteriore approfondimento. Inoltre la maggior parte degli studiosi, indipendentemente dalla posizione assunta circa il rapporto del pneuma col calore vitale, hanno altresì visto nella speculazione sul pneuma una teoria aperta, che Aristotele non ebbe modo di completare conferendole sistematicità. Ciascuna di queste posizioni interpretative ha una sua legittimità, giacché è un dato di fatto che nonostante l’importanza attribuita da Aristotele al pneuma connaturato manchi un’analisi unitaria della sua plurifunzionalità e della sua genesi. Tuttavia sembra più fruttuoso dal punto di vista interpretativo limitarci a prendere atto di questa assenza, e sondare, come stiamo facendo, il grado di compatibilità del pneuma connaturato e delle sue diverse funzioni con il retroterra speculativo di Aristotele. Per farlo compieremo una ricognizione delle tre funzioni attribuite da Aristotele al pneuma, e lo faremo ordinandole in base alla complessità delle facoltà a cui fanno riferimento: riproduzione (facoltà vegetativa), sensazione (facoltà sensitiva), locomozione (facoltà locomotoria). Soltanto in questo modo è possibile tentare di offrire una risposta al quesito con il quale abbiamo aperto la nostra trattazione.

123 W. Jaeger, “Das Pneuma im Lykeion”, in Scripta minora, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1960,

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Capitolo quarto

Di genitore in figlio: il pneuma nei processi riproduttivi

1. Il pneuma nella generazione sessuale

Nelle pagine dedicate ad inscrivere il pneuma all’interno della complessa psicofisiologia aristotelica abbiamo già affrontato in parte il ruolo che esso riveste nella generazione animale, come componente del liquido seminale che veicola il calore vitale. Come prima tappa della ricognizione della sua plurifunzionalità, è necessario ora vedere nel dettaglio come il pneuma agisce nella riproduzione sessuale e mettere a fuoco il contesto complessivo di riferimento. Da esso emergerà che il pneuma, una volta compiutosi il processo di fecondazione nel quale opera come vettore del calore vitale, svolge un ruolo importante ad un livello di vitalità ancora minimale, quello proprio dell’embrione in fase di strutturazione.

Nel primo capitolo del De generatione animalium Aristotele colloca l’opera nel panorama della sua speculazione biologica, sottolineando la sua complementarietà al De

partibus animalium. Infatti, mentre quest’ultimo è stato dedicato principalmente alle

cause formale, materiale e finale riguardanti le parti degli animali con l’esclusione di quelle finalizzate alla riproduzione, l’opera sulla generazione sarà caratterizzata dall’attenzione per la causa efficiente e concluderà l’analisi delle parti corporee

trattando quelle rimaste in sospeso: gli apparati riproduttivi (τὸ δὲ περὶ ταύτης σκοπεῖν καὶ

τὸ περὶ τῆς γενέσεως τῆς ἑκάστου τρόπον τινὰ ταὐτόν ἐστιν· διόπερ ὁ λόγος εἰς ἓν συνήγαγε, τῶν μὲν περὶ τὰ μόρια τελευταῖα ταῦτα, τῶν δὲ περὶ γενέσεως τὴν ἀρχὴν ἐχομένην τούτων τάξας, ARIST.,

De gen. an., I, 1, 715a 8 - 10). Abbiamo già sottolineato che negli esseri viventi la

causa formale e la causa finale tendono a coincidere, giacché l’anima è finis qui e finis

cui dell’intero organismo il quale, in riferimento ad essa, si struttura per performarne le

operazioni124, e che secondo la teoria ilomorfica forma e materia devono essere integrati

in maniera inestricabile125. Ebbene, al principio dell’ontogenesi di un vivente si dà un

momento nel quale forma e materia si incontrano provenendo da due percorsi differenti: il concepimento. In tutti gli animali all’interno del cui genere esiste una differenza tra

124 Vedi supra, cap. 2, pp. 45 - 47. 125 Vedi supra, cap. 2, par. 2.

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sesso maschile e sesso femminile la forma, considerata qui principalmente in quanto causa efficiente, è contenuta nel seme maschile, mentre la materia è fornita da quello femminile. Ciò è evidente, secondo Aristotele, allorché si osserva come e da dove si genera il seme. Rifiutando la cosiddetta teoria pangenetica, secondo cui il seme è un estratto derivante da ogni parte del corpo e per questo motivo è in grado di riprodurre un corpo ad esso simile, Aristotele espone la teoria epigenetica, secondo cui il seme è un residuo generato dalla cozione operata dal calore vitale sul nutrimento. “È d’altra parte più logico che siano simili l’estremo alimento che giunge alle parti e ciò che è il superfluo di questo, come spesso ai pittori avanza del colore simile a quello adoperato” (εὐλογώτερον γὰρ ὅμοιον εἶναι τὸ προσιὸν ἔσχατον καὶ τὸ περιγιγνόμενον τοῦ τοιούτου, οἷον τοῖς γραφεῦσι τοῦ ἀνδρεικέλου πολλάκις περιγίγνεται ὅμοιον τῷ ἀναλωθέντι , ARIST., De gen. an.,

I, 18, 725a 28 - 29): con questa analogia Aristotele sottolinea la parentela esistente tra il residuo che apporta il nutrimento alle parti corporee (il sangue) ed il residuo seminale. Quest’ultimo, come ogni residuo, possiede all’interno dell’organismo una sua collocazione specifica. Infatti il residuo sottoposto a ripetuti processi di cozione può diventare mestruo nell’utero, sperma nei genitali, e latte nelle mammelle.

Dopo aver riconosciuto il modo in cui si genera il seme e quali sono i suoi luoghi corporei, Aristotele sottolinea il ruolo strumentale posseduto dal liquido spermatico rispetto alla natura in esso contenuta, e lo fa utilizzando una delle sue potenti analogie euristiche riferite al mondo delle technai.

καὶ ἡ μὲν ψυχὴ ἐν ᾗ τὸ εἶδος καὶ ἡ ἐπιστήμη κινοῦσι τὰς χεῖρας ἤ τι μόριον ἕτερον ποιάν τινα κίνησιν, ἑτέραν μὲν ἀφ' ὧν τὸ γιγνόμενον ἕτερον, τὴν αὐτὴν δὲ ἀφ' ὧν τὸ αὐτό, αἱ δὲ χεῖρες τὰ ὄργανα, τὰ δ' ὄργανα τὴν ὕλην. ὁμοίως δὲ καὶ ἡ φύσις ἡ ἐν τῷ ἄρρενι τῶν σπέρμα προϊεμένων χρῆται τῷ σπέρματι ὡς ὀργάνῳ καὶ ἔχοντι κίνησιν ἐνεργείᾳ, ὥσπερ ἐν τοῖς κατὰ τέχνην γιγνομένοις τὰ ὄργανα κινεῖται· ἐν ἐκείνοις γάρ πως ἡ κίνησις τῆς τέχνης.

Sia l’anima, nella quale si trova la forma, sia la scienza muovono le mani o qualche altra parte secondo un certo impulso, diverso da cui sorgono risultati diversi, uguale da cui sorgono risultati uguali, e le mani muovono gli strumenti e gli strumenti la materia. Similmente anche la natura nel maschio degli animali che emettono sperma si serve dello sperma come di uno strumento provvisto di capacità di trasformare in atto, come si muovono gli strumenti per i prodotti dell’arte, perché in essi vi è in qualche modo l’impulso dell’arte (ARIST., De gen. an., I, 22, 730b 17 - 20).

Come esiste una catena causale che va dall’anima al prodotto della poiesis, passando attraverso l’uso di strumenti corporei (le mani) e artificiali (gli attrezzi) nei quali è infuso un impulso finalizzato alla realizzazione di una determinata forma, allo stesso modo l’anima degli animali spermatici di sesso maschile si serve dello sperma come di uno strumento per realizzare, nel mestruo femminile, la forma di cui è apportatrice. Ed è il calore vitale, lo strumento corporeo par excellence, veicolato dal pneuma contenuto

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nel seme, ciò che viene trasferito al mestruo femminile insieme alla forma di cui è strumento: qualsiasi ulteriore distinzione tra forma e materia diventa a questo punto fuorviante perché, così come nel resto del mondo fisico ci sono trasferimenti di forma da un composto all’altro, ci troviamo di fronte ad un processo di in-formazione, o assimilazione di una forma, completamente naturale. Aristotele non esita a sottolineare che il maschio non contribuisce affatto alla quantità del materiale dell’embrione, la

quale è fornita interamente dalla femmina126. Infatti Aristotele è particolarmente chiaro

sul fatto che la componente acquosa e fluida dello sperma si volatilizza dopo aver

trasmesso la forma127. Ciò che il maschio fornisce è la cosiddetta potentia conformandi,

l’impulso che una volta impresso nella materia ne avvia la strutturazione secondo la forma veicolata. Il frutto del concepimento così costituito si posiziona ad un livello di vitalità ancora minimale, e sotto un certo aspetto paradossale perché non possiede ancora, pienamente, ciò che contraddistingue un essere vivente: l’anima nella sua operatività effettiva, cioè correlata ad un corpo strutturato in parti strumentali.

Ancora una volta la dottrina dell’atto e della potenza aiuta Aristotele a chiarire concettualmente il quadro delineato. Infatti l’embrione è un animale soltanto potenzialmente, giacché trae il proprio nutrimento e si mantiene in vita grazie al corpo

all’interno del quale risiede, cioè quello materno (Ἐπεὶ δὲ δυνάμει μὲν ἤδη ζῷον ἀτελὲς δέ,

ἄλλοθεν ἀναγκαῖον λαμβάνειν τὴν τροφήν· διὸ χρῆται τῇ ὑστέρᾳ καὶ τῇ ἐχούσῃ ὥσπερ γῇ φυτόν, ARIST, De gen. an., II, 4, 740a 24 - 25). Il rapporto tra embrione e madre è assimilato a quello esistente tra una pianta e il terreno nel quale essa affonda le radici (ὥσπερ γῇ φυτόν), con la differenza radicale che mentre la pianta possiede un’anima vegetativa in

atto, l’embrione è, come abbiamo visto, in uno stato solamente potenziale. Contrariamente ai vegetali, l’embrione possiede in potenza anche l’anima sensitiva assieme alla facoltà motoria, che contraddistinguono gli animali più complessi e si accompagnano alla tendenza (orexis). Tuttavia nel processo di strutturazione del soma

organikòn c’è un punto di snodo fondamentale nel quale l’embrione giunge a possedere

quel primum, centrale nel corpo in via di formazione, dal quale il resto dell’organismo si sviluppa come una periferia rispetto al suo centro, e dal quale tutti i movimenti si propagano e ritornano: il cuore.

οὕτω καὶ ἐν τῷ κυήματι τρόπον τινὰ πάντων ἐνόντων τῶν μορίων δυνάμει ἡ ἀρχὴ πρὸ ὁδοῦ μάλιστα ἐνυπάρχει. διὸ ἀποκρίνεται πρῶτον ἡ καρδία ἐνεργείᾳ. καὶ τοῦτο οὐ μόνον ἐπὶ τῆς αἰσθήσεως δῆλον (συμβαίνει γὰρ οὕτως) ἀλλὰ καὶ ἐπὶ τοῦ λόγου· ὅταν γὰρ ἀπ' ἀμφοῖν ἀποκριθῇ δεῖ

126 ARIST., De gen. an., I, 21, 730a 21-23. 127 ARIST., De gen. an., II, 3, 727a 7-16.

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αὐτὸ αὑτὸ διοικεῖν τὸ γενόμενον καθάπερ ἀποικισθὲν τέκνον ἀπὸ πατρός. ὥστε δεῖ ἀρχὴν ἔχειν ἀφ' ἧς καὶ ὕστερον ἡ διακόσμησις τοῦ σώματος γίγνεται τοῖς ζῴοις.

Così anche nel prodotto del concepimento, pur essendoci in un certo modo tutte le parti, il principio si trova nella migliore disposizione. Per questo il cuore è il primo ad acquistare in atto una propria forma distinta. E ciò non solo è evidente all’osservazione (perché i fatti si svolgono così), ma è anche conforme al ragionamento, perché quando l’animale che si sta formando si è separato da entrambi i genitori deve governarsi da sé, come un figlio che ha lasciato la casa paterna. Deve pertanto possedere il principio dal quale anche in seguito si sviluppa per gli animali la ordinata disposizione del corpo (ARIST., De gen. an., II, 4, 1 -.9).

Successivamente alla sua formazione, a partire dal cuore si sviluppa una disposizione

del corpo ordinata (ἡ διακόσμησις), cioè rispettosa della forma specifica tramandata

durante il concepimento. Il rilievo aristotelico sull’osservazione diretta dello sviluppo fetale, quasi sicuramente animale e non riferito a feti di esseri umani, getta inoltre luce sulla metodologia impiegata da Aristotele nello studio del vivente, evidenziando un uso assai fruttuoso delle categorie concettuali aristoteliche, che guidano l’osservazione senza sostituirsi in alcun modo ad essa.

La forma, inoltre, non si realizza nella materia in modo perfettamente speculare a come è presente nel genitore che la fornisce: sussistono, riscontrabili alla semplice osservazione, differenze individuali evidenti e, trasversale rispetto alle singole specie, la basilare differenza sessuale tra maschio e femmina. Quest’ultima, secondo Aristotele, non è veicolata né dalla forma fornita dal padre né dalla materia fornita dalla madre, sicché la sua giustificazione risulta oltremodo necessaria per garantire la stabilità dell’impalcatura concettuale costruita intorno al fenomeno della riproduzione negli animali dotati di sperma. Il confronto con la tradizione è centrale nella speculazione aristotelica, e su questa come su molte altre tematiche affrontate nel De generatione

animalium il principale interlocutore di Aristotele è Democrito di Abdera128. A questo riguardo bisogna sottolineare che non possediamo frammenti contenenti le dottrine fisiologiche di Democrito, bensì solamente testimonianze posteriori, che tuttavia ci permettono di ricostruire la sua dottrina in modo significativamente coerente e complessivo. Infatti la concordanza delle testimonianze è garanzia di una ricostruzione verosimile della dottrina democritea soprattutto perché molte di esse appartengono a tradizioni dossografiche diverse. Non è quindi problematica la constatazione che le ricerche sulla generazione degli animali ricoprirono un ruolo nient’affatto secondario nel sistema democriteo, sicché il grammatico Trasillo, nel suo catalogo degli scritti

128P.-M. Morel, “Aristote contre Démocrite”, in Luc Brisson, Marine-Hélène Congourdeau, e Jean-Luc

Solère (a cura di), L’embryon: formation et animation, antiquité grecque e latine tradition hébraïque, chrétienne et islamique, Vrin, Paris 2008, pp. 43 - 57.

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democritei, raccoglie ben tre libri sotto la dicitura “cause relative agli animali”129. Per

spiegare la nascita di individui di sesso maschile e femminile Democrito utilizzò la cosiddetta dottrina dell’epikrateia, cioè della concorrenza e della predominanza di un seme sull’altro. In quali termini Democrito declinasse questo rapporto concorrenziale