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Vita dall’inanimato: pneuma e generazione spontanea

In De gen. an. III, 11, Aristotele tratta la riproduzione dei gasteropodi: quella categoria di animali contraddistinta dal possesso di guscio. Fin dal principio Aristotele riconosce lo statuto particolare dei gasteropodi, che sono diversi dagli altri animali “perché essi in confronto agli animali sembrano piante, in confronto alle piante sembrano animali” (πρὸς μὲν γὰρ τὰ ζῷα φυτοῖς ἐοίκασι πρὸς δὲ τὰ φυτὰ ζῴοις, ARIST., De

gen. an., III, 11, 761a 13). Ciò è probabilmente dovuto all’immobilità della maggior

parte di essi, come le vongole, che li accomuna ai vegetali per il fatto che nascono, crescono e decadono in uno stesso luogo dal cui ambiente circostante assumono il nutrimento. Questa loro caratteristica condiziona la ricostruzione del processo generativo da cui sono prodotti, per cui in un primo momento Aristotele lascia aperte diverse possibilità di spiegazione della loro ontogenesi, giacché essi sembrano poter provenire o tutti da semi, o tutti da generazione spontanea, o qualcuno dai semi e qualcuno da generazione spontanea (ARIST., De gen. an., III, 11, 761 a 14 - 20). Inoltre la loro diffusione nel mondo sublunare è esattamente opposta a quella delle piante, e li lega strettamente all’elemento acqueo. Infatti, mentre le piante sono molto diffuse sulla terraferma e poco sott’acqua, i gasteropodi sono molto diffusi sott’acqua e poco sulla terra ferma. L’acqua del mare, in particolare, ha una natura modellante, che causa la multiformità delle specie di gasteropodi rinvenibili sui fondali o sotto costa, e a

135 “L’equivoco in cui sono caduti, a mio avviso, molti commentatori, da Alessandro in poi, è di avere

creduto che l’intelletto attivo sia una mente, cioè un soggetto pensante, mentre Aristotele afferma più volte che non l’intelletto, e nemmeno l’anima, pensa, ma chi pensa è l’uomo per mezzo dell’anima, perché il pensare non è un’affezione dell’intelletto ma dell’individuo che lo possiede, in quanto lo possiede” (Ivi, pp. 6 - 7).

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differenza dell’acqua dolce possiede un gran numero di sostanze al suo interno. Infatti “è di natura calda, e ha parte di tutte le cose, dell’acqua, del pneuma e della terra, sì che vi sono presenti tutti gli esseri viventi che si producono nei luoghi secondo ciascun

elemento” (θερμὴ τὴν φύσιν ἐστί, καὶ κεκοινώνηκε πάντων τῶν μορίων, ὑγροῦ καὶ πνεύματος καὶ

γῆς, ὥστε καὶ πάντων μετέχειν τῶν καθ' ἕκαστον γιγνομένων ἐν τοῖς τόποις ζῴων, ARIST., De

gen. an., III, 11, 761b 7 – 9). È interessante sottolineare, naturalmente, che tra le tante

componenti dell’acqua marina Aristotele cita il pneuma, preparando così il terreno per il prosieguo del suo ragionamento. Gli elementi di cui egli parla riferendosi agli esseri viventi presenti nel mare sono i tre secondo cui viene tripartito il regno animale in base all’habitat di vita: aria, terra, acqua. Il mare, presentato in queste righe come un ambiente ricco di proprietà favorevoli alla vita, li possiede ciascuno in certa misura e per questo può essere l’habitat di animali che hanno elementi diversi di riferimento. La maggior parte dei gasteropodi vengono ad essere grazie ad un processo di generazione spontanea, cioè di nascita dell’animale non da un individuo preesistente, bensì da un

mix di condizioni naturali necessarie.

πάντα δὲ τὰ συνιστάμενα τὸν τρόπον τοῦτον καὶ ἐν γῇ καὶ ἐν ὕδατι φαίνεται γιγνόμενα μετὰ σήψεως καὶ μιγνυμένου τοῦ ὀμβρίου ὕδατος· ἀποκρινομένου γὰρ τοῦ γλυκέος εἰς τὴν συνισταμένην ἀρχὴν τὸ περιττεῦον τοιαύτην λαμβάνει μορφήν. γίγνεται δ' οὐθὲν σηπόμενον ἀλλὰ πεττόμενον· ἡ δὲ σῆψις καὶ τὸ σαπρὸν περίττωμα τοῦ πεφθέντος ἐστίν· οὐθὲν γὰρ ἐκ παντὸς γίγνεται καθάπερ οὐδ' ἐν τοῖς ὑπὸ τῆς τέχνης δημιουργουμένοις - οὐθὲν γὰρ ἂν ἔδει ποιεῖν - νῦν δὲ τὸ μὲν ἡ τέχνη τῶν ἀχρήστων ἀφαιρεῖ, τὸ δ' ἡ φύσις. Γίγνονται δ' ἐν γῇ καὶ ἐν ὑγρῷ τὰ ζῷα καὶ τὰ φυτὰ διὰ τὸ ἐν γῇ μὲν ὕδωρ ὑπάρχειν ἐν δ' ὕδατι πνεῦμα, ἐν δὲ τούτῳ παντὶ θερμότητα ψυχικήν, ὥστε τρόπον τινὰ πάντα ψυχῆς εἶναι πλήρη· διὸ συνίσταται ταχέως ὁπόταν ἐμπεριληφθῇ. ἐμπεριλαμβάνεται δὲ καὶ γίγνεται θερμαινομένων τῶν σωματικῶν ὑγρῶν οἷον ἀφρώδης πομφόλυξ.

Tutti gli esseri che si formano in questo modo, sia in terra sia in acqua, risultano nascere con la putrefazione e la mescolanza di acqua piovana. Quando infatti l’elemento dolce si separa per costituire il principio in via di formazione, ciò che avanza assume una forma siffatta. Nessun essere però si forma dalla putrefazione, ma dalla cozione: la putrefazione e il marcio sono il residuo di ciò che si è cotto. Nulla si forma da un tutto, come neppure negli oggetti costruiti dall’arte, perché altrimenti non vi sarebbe nulla da fare. Ora invece, in un caso è l’arte che elimina le sostanze inutili, nell’altro è la natura. Gli animali e le piante si producono nella terra e nell’acqua, perché nella terra è presente l’acqua, nell’acqua il pneuma, e in questo da per tutto c’è calore animante; di conseguenza tutte le cose sono in un certo modo piene di anima. Perciò tutte le volte che essa viene circoscritta si avvia velocemente un processo di costituzione. Essa viene circoscritta ed avviene la generazione quando si riscaldano i liquidi contenenti elementi solidi, come se si trattasse di una bolla di schiuma (ARIST., De gen. an., III, 11, 762 a 18 - 27).

La generazione spontanea è basata sulla relazione dinamica di attori che abbiamo già incontrato parlando della riproduzione sessuale. Infatti il pneuma e il calore vitale si trovano a rivestire il ruolo di apportatori della forma rispetto ad una materia che è loro sottoposta, e lo fanno all’interno di un processo di cozione la cui somiglianza con quello che avviene all’interno del corpo animale è, come vedremo, evidente. Innanzi tutto bisogna premettere che in altri luoghi del De generatione animalium Aristotele

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attribuisce ad alcune specie di animali una generazione spontanea, nello specifico ad

alcuni tipi di insetti ed alle api136, tuttavia soltanto nel passo citato affronta con dovizia

di particolari il processo in sé. Per questo motivo il testo citato è estremamente originale e degno di nota, pur rimanendo anch’esso, come avremo modo di sottolineare, all’interno del quadro della dottrina aristotelica. A partire da un insieme di condizioni materiali avviene un processo di cozione che genera un residuo, quello che Aristotele chiama “la putrefazione e il marcio”. Infatti in ogni processo di cozione da cui viene ad essere un nuovo ente, sia questo naturale oppure artificiale, c’è qualcosa che viene

scartato e qualcosa che rimane sotto nuova forma137. Proprio come l’arte, che abbiamo

visto essere imitativa della natura, fa con i suoi prodotti (ad esempio per ottenere una statua di marmo parte del blocco da cui essa viene tratta diventa un residuo di scarto e parte diventa la statua propriamente detta), così la natura fa con la generazione di nuovi esseri durante il processo di generazione spontanea. Quest’ultima avviene sia in acqua che sulla terra, ma si configura come un fenomeno prettamente acquatico, nel senso che anche sulla terraferma ha luogo perché in essa è contenuta l’acqua. Abbiamo visto che Aristotele considera l’acqua marina come un ricettacolo di sostanze favorevoli alla vita, e non è azzardato supporre che principalmente si riferisca a quella marina quando parla dell’acqua che contiene pneuma. Infatti in tale pnenuma è contenuto il “calore

animante” (θερμότητα ψυχικήν) esattamente come accade al pneuma contenuto nel corpo

degli animali. Al riguardo è interessante il commento di Aristotele secondo cui tutte le

cose sono in un certo modo piene di anima (πάντα ψυχῆς εἶναι πλήρη) perché nell’acqua è

contenuto il pneuma: un rimando indiretto alla massima che lo stesso Aristotele attribuisce a Talete di Mileto, il primo “fisiologo” secondo il quadro dello sviluppo

cronologico della ricerca scientifica descritto nella Metafisica138. Nel primo libro del De

anima Aristotele critica una teoria, attribuita a Talete ma condivisa da molti, che Diego

Lanza e Mario Vegetti hanno messo, nell’ambito del loro classico commento al De

generatione animalium, in collegamento con il passo sulla generazione spontanea

appena citato139. καὶ ἐν τῷ ὅλῳ δή τινες αὐτὴν μεμῖχθαί φασιν, ὅθεν ἴσως καὶ Θαλῆς ᾠήθη πάντα πλήρη θεῶν εἶναι. τοῦτο δ' ἔχει τινὰς ἀπορίας· διὰ τίνα γὰρ αἰτίαν ἐν μὲν τῷ ἀέρι ἢ τῷ πυρὶ οὖσα ἡ ψυχὴ οὐ ποιεῖ ζῷον, ἐν δὲ τοῖς μικτοῖς, καὶ ταῦτα βελτίων ἐν τούτοις εἶναι δοκοῦσα; (ἐπιζητήσειε δ' ἄν τις καὶ διὰ τίν' αἰτίαν ἡ ἐν τῷ ἀέρι ψυχὴ τῆς ἐν τοῖς ζῴοις βελτίων ἐστὶ καὶ ἀθανατωτέρα.) συμβαίνει δ' ἀμφοτέρως ἄτοπον καὶ παράλογον· καὶ γὰρ τὸ λέγειν ζῷον τὸ πῦρ ἢ τὸν ἀέρα τῶν παραλογωτέρων ἐστί, καὶ τὸ

136 Per i primi cfr. ARIST., De gen. an., II, 1, 732 b 12 - 14; per le seconde cfr. ivi, III, 10, 759 a 9 - 11. 137 Vedi supra, p. 37.

138 Cfr. ARIST., Metaph., I, 3, 983b.

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μὴ λέγειν ζῷα ψυχῆς ἐνούσης ἄτοπον. ὑπολαβεῖν δ' ἐοίκασιν εἶναι τὴν ψυχὴν ἐν τούτοις ὅτι τὸ ὅλον τοῖς μορίοις ὁμοειδές·

Alcuni poi sostengono che l’anima si trova mescolata all’universo; partendo di qui, forse, Talete pensò che tutte le cose sono piene di dèi. Ma questa opinione comporta alcune difficoltà. Difatti per quale motivo l’anima, quando si trova nell’aria o nel fuoco, non produce un animale, ma nei composti sì, e ciò benché sembri che si trovi in una condizione migliore quando è presente negli elementi? (Si potrebbe anche chiedere per quale ragione l’anima che si trova nell’aria, sia migliore e più immortale di quella presente negli animali). Ma questa teoria porta da una conseguenza che, in un caso, è illogica, e nell’altro assurda: affermare infatti che il fuoco e l’aria sono animali è quanto mai illogico, e non considerarli animali, se l’anima si trova in essi, è assurdo (ARIST., De an., I, 5, 411a 7 - 16).

Diego Lanza ritiene che il passo sulla generazione spontanea sia assai problematico, e la teoria della circoscrizione del pneuma nell’acqua sia portata avanti da Aristotele come una semplice ipotesi, lasciata inindagata nel dettaglio a causa della sua problematicità. Tale problematicità è dovuta a quello che lo studioso ritiene sia il nucleo concettuale dell’intero passo:“L’anima è nel pneuma, a questo accade di essere circoscritto nella materia, di qui si forma la vita”. Questo ragionamento cadrebbe sotto le stesse critiche che abbiamo appena visto venire rivolte da Aristotele a quanti concepiscono l’anima mescolata al resto dell’universo. Al riguardo dobbiamo compiere però alcune precisazioni. In primo luogo non è affatto evidente che la spiegazione della generazione spontanea sia presentata da Aristotele come un’ipotesi di lavoro priva di qualsiasi validità. In secondo luogo il passo del De anima che critica Talete è un passo contenente osservazioni di Aristotele ad una dottrina il cui principale errore è essere priva, al pari delle altre dottrine criticate nel primo libro del De anima, di quell’apparato ontologico-concettuale che Aristotele ritiene indispensabile per concepire nel modo corretto il rapporto anima-corpo. Pertanto le critiche del De anima, rivolte ad una dottrina non ilomorfica, che non conosce i concetti ontologici fondamentali per Aristotele (come atto e potenza), non toccano affatto la teoria della generazione spontanea di De gen. an., III, 11. Infatti in quest’ultimo passo la struttura concettuale aristotelica è ben presente sottotraccia, così come lo è nel resto dell’opera biologica in cui il passo si trova. Anziché derubricare il passo sul fenomeno della generazione spontanea a ipotesi di lavoro subito messa da parte, così da evitare di mettere in discussione l’unità concettuale dell’opera, è più opportuno interrogarci su quali siano i termini di compatibilità che il passo possiede con il resto del lavoro di Aristotele e con la sua dottrina ilomorfica. Per farlo proseguiamo sulla scia della comparazione istituita da Lanza tra i due passi che abbiamo citato: la generazione spontanea da una parte, e dall’altra la critica di Aristotele alla teoria dell’anima diffusa nell’universo, che impropriamente possiamo riferire per praticità a “Talete”.

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Per Talete l’anima si trova mescolata in tutte le cose, e lo è propriamente in quanto anima: se il fuoco ha un’anima, allora vive ed è un animale. Per Aristotele, invece, tutte

le cose sono piene di anima “in un certo modo” (τρόπον τινὰ), ma quale precisamente? Si

tratta ancora una volta del modo di essere della potenza: quella che un processo di generazione (o in-formazione) sia messo in moto dalla cozione di un insieme di determinate sostanze materiali, tra cui il pneuma che è veicolo dell’anima-forma. Inoltre l’anima di cui parliamo non è l’anima di tutti i viventi, ma quella di certuni soltanto, la quale essendo una forma ha bisogno di un veicolo, il pneuma. Il processo di generazione spontanea è analogo a quello della riproduzione sessuale che riguarda animali e uomini. Tuttavia, a differenza di quest’ultima nella quale il calore vitale contenuto nel pneuma esercita la cozione, nella prima il principio animante e ciò che lo circonda vengono circoscritti e riscaldati a loro volta, formando come una matrice il cui aspetto esterno è paragonato da Aristotele ad una bolla di schiuma: un paragone che ancora una volta richiama sia il carattere aeriforme e dinamico posseduto dal pneuma, sia la pervasività del processo di cozione nel mondo sublunare. È dunque un calore esterno, quello dell’ambiente a sua volta condizionato dal Sole, ad attivare quel mix di fattori da cui emerge la bolla di cozione nella quale si genera, spontaneamente, una nuova vita. Il ruolo del Sole nel processo di generazione spontanea non ha alcunché di anomalo rispetto alle premesse del sistema aristotelico, ed anzi: è parte integrante di quell’insieme di relazioni analogiche che legano la generazione spontanea e la generazione sessuale. Infatti Aristotele sottolinea nella Metafisica che “di un uomo [sono] causa gli elementi – fuoco e terra – come materia, e la forma propria, e inoltre qualcos’altro fuori: p.e. il padre, e al di là di queste cose il Sole e il cerchio obliquo, che sono né materia né forma né privazione né simili per forma [al generato], bensì motori (ἄλλως δ' ἐνεργείᾳ καὶ δυνάμει διαφέρει ὧν μὴ ἔστιν ἡ αὐτὴ ὕλη, ὧν ‹ἐνίων› οὐκ ἔστι τὸ αὐτὸ εἶδος ἀλλ' ἕτερον, ὥσπερ ἀνθρώπου αἴτιον τά τε στοιχεῖα, πῦρ καὶ γῆ ὡς ὕλη καὶ τὸ ἴδιον εἶδος, καὶ ἔτι τι ἄλλο ἔξω οἷον ὁ πατήρ, καὶ παρὰ ταῦτα ὁ ἥλιος καὶ ὁ λοξὸς κύκλος, οὔτε ὕλη ὄντα οὔτ' εἶδος οὔτε στέρησις οὔτε ὁμοειδὲς ἀλλὰ κινοῦντα, ARIST., Metaph., VI, 5, 1071 a 13 - 17)”. La causa motrice del mondo sublunare è esterna ad esso e si trova nei cieli. Il padre, col suo seme composto da pneuma, è solamente il motore prossimo di una catena causale che si origina nel mondo superlunare, dal quale, inoltre, il Sole emana il calore necessario a mantenere attivo l’intero ciclo vitale. Per questo motivo nel De generatione animalium Aristotele insiste su questo rapporto osmotico del calore animante superlunare e sublunare.

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ἡ δὲ τοῦ ἡλίου θερμότης καὶ ἡ τῶν ζῴων οὐ μόνον ἡ διὰ τοῦ σπέρματος, ἀλλὰ κἄν τι περίττωμα τύχῃ τῆς φύσεως ὂν ἕτερον, ὅμως ἔχει καὶ τοῦτο ζωτικὴν ἀρχήν.

Il calore del Sole e quello degli animali, non solo quello che si trasmette per mezzo del seme, ma anche qualsiasi residuo cui capiti di averne la natura pur essendo diverso, ugualmente hanno un principio vitale (ARIST. De gen. an., II, 3, 737 a 3 – 6).

I caratteri generali della nascita della vita, consistenti in calore vitale, anima-forma, materia-sostrato, cozione e pneuma, sono presenti nella generazione spontanea e l’intera dottrina non cade affatto sotto la scure delle critiche che Aristotele muove, altrove, alla dottrina ilozoista di “Talete”.

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Capitolo quinto

Psicofisiologia dei sensi a distanza: il pneuma, i sensori e i sensibili

1. I sensi a distanza: vista, udito, olfatto

Il pneuma connaturato opera anche nelle dinamiche psicofisiologiche della facoltà sensitiva, nel contesto della trasmissione delle affezioni sensibili dai sensori periferici al sensorio centrale, svolgendo un ruolo di veicolo analogo a quello che abbiamo visto rivestire all’interno della prima fase del processo riproduttivo: il concepimento. Tuttavia non possiamo affrontare questa funzione sensitiva del pneuma senza intraprendere preventivamente una ricognizione di cosa è e di come si articola la facoltà sensitiva in Aristotele, giacché solamente in rapporto a quell’insieme possiamo riconoscerne pienamente l’importanza e il significato. In parte, durante la descrizione del perimetro dell’ilomorfismo all’interno del quale si colloca l’operatività molteplice del pneuma connaturato, abbiamo tracciato le coordinate della trattazione aristotelica della facoltà

sensitiva140. Ora dobbiamo procedere ad un’analisi più dettagliata di essa, per mettere a

fuoco sia le peculiarità di ciascun sensorio sia la loro unitarietà, valorizzando la dimensione psicofisiologia che contraddistingue l’intero processo sensitivo.

In De an., II, 5, Aristotele abbandona la trattazione della facoltà nutritiva, e incomincia una disamina della facoltà sensitiva assai elaborata, che occupa la restante parte del secondo libro dell’opera e prosegue fino al terzo capitolo del terzo libro. Il fatto che alla facoltà sensitiva sia dedicato un numero di pagine decisamente superiore a quello dedicato alle altre facoltà, sia all’interno del De anima che all’interno dei Parva

Naturalia, nei quali il solo De sensu et sensibilibus occupa circa un terzo della silloge, è

già di per sé un’indicazione dell’importanza attribuita da Aristotele alla sensazione. Quest’ultima fornisce, del resto, all’essere vivente le fondamenta ontologiche e gnoseologiche su cui poggiano tutte le altre facoltà superiori. Infatti per l’uomo, sulla base delle phantasiai che derivano dalla sensibilità, si innalza attraverso l’esperienza l’intera piramide cognitiva delle sue facoltà.

τὰ μὲν οὖν ἄλλα ταῖς φαντασίαις ζῇ καὶ ταῖς μνήμαις, ἐμπειρίας δὲ μετέχει μικρόν· τὸ δὲ τῶν ἀνθρώπων γένος καὶ τέχνῃ καὶ λογισμοῖς. γίγνεται δ' ἐκ τῆς μνήμης ἐμπειρία τοῖς ἀνθρώποις· αἱ γὰρ

140 Vedi supra, cap. 2, par. 3.

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πολλαὶ μνῆμαι τοῦ αὐτοῦ πράγματος [981a] μιᾶς ἐμπειρίας δύναμιν ἀποτελοῦσιν. καὶ δοκεῖ σχεδὸν ἐπιστήμῃ καὶ τέχνῃ ὅμοιον εἶναι καὶ ἐμπειρία, ἀποβαίνει δ' ἐπιστήμη καὶ τέχνη διὰ τῆς ἐμπειρίας τοῖς ἀνθρώποις·

Orbene, mentre gli altri animali vivono con immagini sensibili e con ricordi, e poco partecipano dell’esperienza, il genere umano vive, invece, anche d’arte e di ragionamenti. Negli uomini, l’esperienza deriva dalla memoria: infatti, molti ricordi dello stesso oggetto giungono a costituire un’esperienza unica. L’esperienza, poi, sembra essere alquanto simile alla scienza e all’arte: in effetti, gli uomini acquistano scienza e arte attraverso l’esperienza (ARIST., Metaph., I, 1, 980 b 27 -981 a 3).

Al principio delle sua trattazione sulla sensibilità nel De anima, Aristotele sottolinea che la sensazione consiste in un determinato tipo di mutamento, cioè in un’alterazione

qualitativa del percepiente da parte del sensibile percepito (ἡ δ' αἴσθησις ἐν τῷ κινεῖσθαί τε

καὶ πάσχειν συμβαίνει, καθάπερ εἴρηται· δοκεῖ γὰρ ἀλλοίωσίς τις εἶναι, ARIST., De an., II, 5,

416b 32). Tale alterazione, come sottolinea altrove, non si dà mai senza il corpo,

giacché è “un movimento dell’anima attraverso di esso” (ἡ δὲ λεγομένη αἴσθησις ὡς

ἐνέργεια κίνησίς τις διὰ τοῦ σώματος τῆς ψυχῆς ἐστι, ARIST., De somn., 1, 454a 9 - 10). Premessa dunque la completa aderenza dell’aisthesis all’ilomorfismo, due problemi permettono ad Aristotele di approfondire la struttura di fondo della facoltà sensibile: in primo luogo Aristotele cita le opinioni di certi suoi predecessori illustri, nello specifico

Empedocle e Democrito141, secondo cui la natura di ciò che percepisce e di ciò che è

percepito è caratterizzata dal principio in base al quale “il simile subisce l’azione del simile” (τὸ ὅμοιον ὑπὸ τοῦ ὁμοίου πάσχειν, ARIST., De an., II, 5, 416b 33); in secondo

luogo si domanda perché i sensi non percepiscano, oltreché i sensibili, anche i propri

organi sensori, i cui elementi costitutivi sono gli stessi dei sensibili percepiti142.

ἔχει δ' ἀπορίαν διὰ τί καὶ τῶν αἰσθήσεων αὐτῶν οὐ γίνεται αἴσθησις, καὶ διὰ τί ἄνευ τῶν ἔξω οὐ ποιοῦσιν αἴσθησιν, ἐνόντος πυρὸς καὶ γῆς καὶ τῶν ἄλλων στοιχείων, ὧν ἐστιν ἡ αἴσθησις καθ' αὑτὰ ἢ τὰ συμβεβηκότα τούτοις.

Si presenta però un problema: perché non si ha sensazione degli stessi sensori, ovvero perché questi ultimi, senza gli oggetti esterni, non percepiscono, benché in essi si trovino il fuoco, la terra e gli altri elementi, i quali sono oggetti di sensazione in se stessi e nei loro accidenti? (ARIST., De an., II, 5, 417a 3 - 5, trad. di G. Movia).

La risposta ai due problemi sollevati riposa sotto le categorie dell’atto e della potenza. Infatti sia la facoltà sensibile che i sensori possiedono le modalità dell’essere

secondo l’atto e secondo la potenza (διχῶς ἂν λέγοιτο καὶ ἡ αἴσθησις, ἡ μὲν ὡς δυνάμει, ἡ δὲ ὡς

ἐνεργείᾳ. ὁμοίως δὲ καὶ τὸ αἰσθητόν, τό τε δυνάμει ὂν καὶ τὸ ἐνεργείᾳ, ARIST., De an., II, 5, 13 - 14), e la prima modalità si attiva solamente qualora si instauri una correlazione tra la facoltà sensibile ed il sensibile in atto. La sensazione, dunque, si ha propriamente

141 cfr. ARIST., De an., I, 2, 405 b 15; 5, 410 a 23ss; II, 4, 416 a 29 - 30.

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quando entrambi i termini del rapporto si trovano reciprocamente correlati nella modalità dell’atto, mentre rimane latente quando l’azione del sensibile sul sensorio è assente, come nel caso del sonno. Per approfondire concettualmente l’attivazione del sensorio da parte del sensibile, Aristotele ribadisce la sinonimia dei termini “essere mosso” , “subire” ed “agire”, perché come già sappiamo qualsiasi cosa operi un’azione su un’altra ne subisce a sua volta una retroazione che la muta. Inoltre “ogni essere che

subisce un’azione ed è mosso, lo è ad opera di un agente che è in atto” (πάντα δὲ πάσχει

καὶ κινεῖται ὑπὸ τοῦ ποιητικοῦ καὶ ἐνεργείᾳ ὄντος, ARIST., De an., II, 5, 417 a 17), giacché

per assumere una determinata qualificazione è necessaria l’azione di un ente che già la possieda. Di conseguenza Aristotele, criticando le teorie dei suoi predecessori che professano il principio della somiglianza tra sensibile e sensorio, conclude che colui che

subisce un’azione da un agente gli è dissimile in potenza ma simile in atto (πάσχει μὲν

γὰρ τὸ ἀνόμοιον, πεπονθὸς δ' ὅμοιόν ἐστιν, ARIST., De an., II, 5, 417 a 20).

Aristotele, confermata l’applicazione della coppia atto-potenza alla correlazione sensibile-sensorio, conduce un ulteriore chiarimento sui termini di questo rapporto. Infatti, così come l’atto si articola secondo una duplice modalità, quella di atto primo e atto secondo alla quale abbiamo fatto riferimento trattando la definizioni dell’anima-

forma143, anche la potenza si articola nello stesso duplice modo. I reciproci rapporti tra

le quattro modalità or ora delineate, che vanno conseguentemente applicati anche alla correlazione sensibile-sensorio, la quale in tal modo viene arricchita di una dimensione più profonda, possono essere sintetizzati in una tabella utile a tener presente la forte continuità ontologica sussistente tra di esse.

Potenza prima

Atto primo Potenza seconda Atto secondo

Capacità di acquisire una forma Acquisizione e possesso della forma Capacità di esercitare l’operatività propria di quella forma Esercizio dell’operatività della forma posseduta

Il passaggio dalla potenza (prima o seconda) all’atto (primo o secondo) consiste in ciò che la tradizione ha chiamato alteratio perfectiva, cioè un’alterazione che realizza una data possibilità intrinseca ad un ente, e che Aristotele ha definito come un

mutamento “verso le acquisizioni e la natura dell’ente” (ἐπὶ τὰς ἕξεις καὶ τὴν φύσιν,

143 Vedi supra, pp. 44 - 46.

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ARIST., De an., II, 5, 417 b 16)144. Al riguardo Aristotele porta l’esempio del passaggio

dal possesso del sapere al suo uso effettivo, e quello del passaggio da uno stato di

inoperosità al concreto lavoro di costruzione di un edificio145. In entrambi i casi si tratta

dell’attivazione di una potenza seconda, cioè di un atto secondo consistente nell’esercizio di una data acquisizione. Queste complesse distinzioni concettuali, una