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Con l’espressione “jazz poetry” ci si riferisce a forme poetiche che prevedono una performance con l’accompagnamento di una jazz band o, al contrario, a poesie che colgono aspetti peculiari della jazz performance; la jazz poetry, quindi, è un particolare genere poetico che prevede l’imitazione della musica jazz nel suo ritmo e nel suo stile.

Al fine di illustrare i maggiori poeti jazz, si è preso in considerazione Jazz Poetry. From the

1920s to the present (1997), scritto da Sascha Feinstein e pubblicato da Praeger Publishers.

Il genere emerge negli Stati Uniti negli anni Venti e trova la sua massima espressione tra la comunità afroamericana. Tuttavia, anche numerosi poeti bianchi si sono lasciati ispirare dalla musica black per scrivere le loro poesie.

Tra questi, nel 1920 Vachel Lindsay pubblica The Golden Whales of California, raccolta di poesie in cui compare il componimento The Apple Blossom Snow Blues. La poesia inizia e si conclude con una particolare descrizione della musica jazz, paragonata a “the fall of a pile of dishes in the kitchen”. Nel 1926, l’autore pubblica Going-to-the-Stars, raccolta in cui compaiono i componimenti The Jazz of This Hotel e A Curse for the Saxophone. In essi, troviamo la visione del poeta riguardo il jazz, un’espressione musicale che rappresenta il caos della Prima Guerra Mondiale e che, in generale, rappresenta tutta la violenza nel corso della storia.

Negli stessi anni, Carl Sandburg accompagna le sue poesie suonando la chitarra e nel 1920 pubblica Smoke and Steel, raccolta che comprende il componimento jazz più noto dell’autore, ossia Jazz Fantasia. Questa poesia, in particolare, subisce giudizi negativi da parte della critica che la definisce banale ma che, al tempo stesso, riconosce la comprensione totale di Sandburg del linguaggio jazz. L’autore, infatti, a differenza di Lindsay, è uno dei pochi poeti bianchi a condividere, comprendere e sostenere la musica jazz. Scrive Sascha Feinstein:

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Many critics – too many cite – have focused their attacks on his famous “Jazz Fantasia”, noting what seem to be corny phrases; others ironically dismiss Sandburg’s efforts in favour of Lindsay yet fail to acknowledge that Lindsay hated jazz. Sandburg was, in fact, one of the few white poets of the time to endorse jazz, and he was not alone. (Feinstein 1997: 27)

Oltre a Sandburg, vanno ricordati: DuBose Heyward, autore di Jasbo Brown and Selected

Poems (1925); Mina Loy, autrice di Crab-Angel (1923) e di The Widow’s Jazz (1931) e Hart

Crane, autore che in Marriage of Faustus and Helen cerca di emulare le caratteristiche della musica jazz.

Come anticipato, i maggiori autori della jazz poetry sono afroamericani; essi, in particolare, inglobano il jazz nelle loro poesie dagli anni Venti. Il primo grande poeta jazz è Langston Hughes, autore di numerosissime opere basate sul blues e sul jazz scritte tra gli anni Venti e gli anni Sessanta. La scrittura di Hughes è fonte di ispirazione per molti poeti che, dopo aver letto le sue opere, decidono di cimentarsi nel genere. Tra questi vi è Sterling Brown, protagonista della jazz poetry degli anni Trenta nonché insegnante del premio Nobel Toni Morrison, autrice del celebre romanzo Jazz (1992). L’autore, nel 1932, pubblica Southern Road in cui il blues evoca le difficoltà vissute dagli schiavi neri. L’opera presenta alcune modalità per superare i pregiudizi del razzismo e tra questi vi è il blues in quanto la musica si presenta come possibilità di rinascita. Il genere, inoltre, è fondamentale per gli schiavi neri che riescono a trovare la salvezza suonandolo e cantandolo, così come si legge in Strong Men, ultima poesia di Southern

Road: You sang: Bye and bye

I’m gonna lay down his heaby load… You sang:

Walk togedder, chillen Dontcha git weary…

The strong men keep a-comin’ on

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In molti componimenti, come When De Saints Go Ma’ching In, si ha un particolare uso del ritornello; la poesia citata, ad esempio, presenta versi che si ripetono con leggeri cambiamenti creando una struttura simile a quella dei brani jazz. L’autore, poi, usa la tematica del jazz e del blues per parlare di politica e di ingiustizie sociali; le poesie Cabaret e Hebrew and Anglosaxon, infatti, presentano i pregiudizi razziali contro la comunità afroamericana. Nel complesso, Brown riconosce le differenze tra poesia e musica ed ammette, nelle sue opere, i limiti del linguaggio poetico nel rappresentare l’astrattezza della musica. Nelle sue opere, così, l’autore rende omaggio ai più grandi musicisti jazz e blues, come a Ma Rainey19 nell’omonimo componimento scritto nel 1932.

Le opere di Brown lasciano il segno in molti autori e lettori, tra questi vi è Melvin Tolson che può essere considerato un altro nome fondamentale della jazz poetry, genere in cui rientrano molti dei suoi componimenti. In Harlem Gallery, le poesie Lambda e Mu sono quelle maggiormente ispirate al jazz. Nella prima, il personaggio Hideho Heights è un poeta che predica i fondamenti del genere e ne illustra i principali musicisti; nella seconda, invece, l’autore improvvisa un collage di immagini e descrive, in conclusione, il suono di una jazz band che si dilegua come il suono di un piatto della batteria dopo il colpo della bacchetta (Tolson 1965: 76):

With a dissonance from the Weird Sisters,

the jazz diablerie boiled down and away

in the vacuum pan of the Indigo Congo.

Gli anni Cinquanta segnano un cambiamento radicale rispetto alla tradizione; in questi anni, infatti, i poeti non solo scrivono opere sul jazz ma recitano i loro componimenti con un accompagnamento live. Per questo motivo, i poeti jazz ed i musicisti di questi anni si interessano e seguono il modello di Langston Hughes in The Weary Blues (1925), una delle opere più note dell’autore destinata, appunto, ad una performance orale con un accompagnamento musicale. Tra i poeti di questo decennio, Kenneth Rexroth si esibisce inizialmente leggendo componimenti di altri autori come Carl Sandburg e Pablo Neruda. In

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seguito, l’autore si esibisce recitando alcune sue poesie; in Thou Shalt Not Kill, ad esempio, i versi ripetuti quasi come un ritornello permettono di creare un legame con i musicisti che anticipano il ritmo della poesia. Negli stessi anni, Lawrence Ferlinghetti pubblica A Coney

Island of the Mind (1958) e introduce così la seconda sezione:

These seven poems were conceived specifically for jazz accompaniment and as such should be considered as spontaneously spoken “oral message” rather than as poems written for printed page. As a result of continued experimental reading with jazz, they are still in a state of change. (Ferlinghetti 1958: 48)

Le poesie dell’autore, dunque, sono finalizzate esclusivamente alla performance orale attraverso un accompagnamento musicale jazz.

Nel 1959, poi, viene pubblicato un album musicale dal titolo Jazz Canto: An Anthology of

Poetry and Jazz, Vol. 1 in cui è possibile ascoltare poeti e musicisti che eseguono le poesie di

Ferlinghetti, Hughes, Philip Whalen, Lawrence Lipton, Walt Whitman, William Carlos Williams e Dylan Thomas.

Gli anni Cinquanta sono anche il periodo durante il quale poeti prevalentemente bianchi basano le loro poesie sulla musica e sullo stile di Charlie Parker, icona bebop morta prematuramente nel 1955. I poeti di questi anni sono particolarmente colpiti dalla tecnica del sassofonista e dalla sua capacità di estendere la frase musicale attraverso lunghe progressioni di accordi. Robert Creeley, dopo aver ascoltato la musica di Parker per otto anni, pubblica nel 1953 Chasing the

Bird, poesia dal titolo omonimo allo standard jazz del 1947 del sassofonista. Secondo Carroll

Terrell (1984: 130), nel componimento il poeta allude probabilmente allo stile di vita frenetico di Parker quando parla di centinaia di “eyes” che invadono la notte rendendola paranoica ed insonne:

The sun sets unevenly and the people go to bed.

The night has a thousand eyes. the clouds are low, overhead. Every night it is a little bit

25 more difficult, a little

harder. My mind

to me a mangle is. (Creeley 1982: 60)

Nello stesso anno Creeley pubblica The Bird, the Bird, the Bird, poesia nella quale l’inversione della normale sintassi genera un’inaspettata cadenza della voce narrante. Tuttavia, a proposito dello stile di Creeley, Charles Hartman spiega:

Creeley’s poem does not randomly collect interesting bits of speech any more than Parker solo randomly strings together a flurry of notes and arpeggios – though either may seem that way to an unaccustomed audience. (Hartman 1991: 43)

Negli stessi anni, Howard Hart evoca il sassofonista attraverso immagini che riguardano la sua vita musicale e privata. Ad esempio, l’autore pubblica una raccolta di poesie dal titolo Selected

Poems in cui, nell’ultimo “set” dei cinque che compongono la raccolta, compaiono due poesie

ispirate a Charlie Parker. La prima delle due, dal titolo Moonlight on the Ganges, presenta un chiaro riferimento alla vedova del sassofonista, la cui persona viene evocata attraverso l’immagine della neve bianca, riferimento al colore della pelle della donna. L’autore enfatizza il colore della sua pelle per sottolineare il fatto che le donne bianche sono delle “icone” per gli uomini afroamericani. Altri autori, invece, preferiscono evocare Parker imitando il suono jazz del sassofonista attraverso le loro parole. A tal proposito, Bob Kaufman scrive Walking Parker

Home, opera che evoca la spontaneità del jazz e dello stile di Parker attraverso una sintassi non

lineare, una confusione di immagini presentate ed il rifiuto delle forme narrative standard. Gli autori di questi anni, come è possibile notare, non presentano temi legati alla razza o alle sofferenze del popolo afroamericano; fa eccezione però, Langston Hughes e il suo Montage of

a Dream Deffered20 (1951), opera che presenta l’oppressione razziale vissuta dai neri negli Stati

Uniti.

I poeti jazz, come è possibile notare, si ispirano costantemente alla musica jazz e ai suoi musicisti. Se negli anni Cinquanta sono numerosi i poeti cultori di Parker, negli anni Sessanta prevalgono i sostenitori di John Coltrane. Il decennio è ricordato per il movimento per i diritti

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civili degli afroamericani, volto a porre fine alla segregazione razziale e alla discriminazione contro di essi. Tuttavia, sono numerosi gli attentati di questi anni contro la comunità nera americana; è nota, ad esempio, la strage ad opera del Ku Klux Klan avvenuta il 15 settembre 1963 in una chiesa battista di Birmingham nella quale muoiono quattro bambine. Il terribile episodio spinge Coltrane a comporre Alabama, brano musicale rilasciato ufficialmente due mesi dopo la strage avvenuta. Nel 1967, muore prematuramente il sassofonista e questo episodio, visto il suo impegno sociale, rappresenta una profonda perdita per la comunità afroamericana, paragonabile alla morte di Martin Luther King e di Malcom X. Di conseguenza, numerosi poeti neri scrivono componimenti che richiamano la vita e lo stile di Coltrane. Riguardo al rapporto tra la musica del sassofonista e la letteratura, scrive Kimberly Benston:

(…) passages in Trane’s music became so bright and so piercing that the sounds seemed to be words. The thought of giving to words and prosody values equivalent to music is an ancient one, in African and Afro-American as well as Western culture. But with modern black literature, it assumes the force of a specific idea: the notion that black language leads toward music… this belief contains the powerful suggestions that music is the ultimate lexicon, that language, when truly apprehended, aspires to the condition of music and is brought, by the poet’s articulation of black vocality, to the threshold of that condition. (Benston 1997: 772-773)

In questi anni, Amiri Baraka pubblica una raccolta di poesie dal titolo AM/TRAK in cui l’autore ripercorre la vita del sassofonista e paragona il suono “aggressivo” del suo strumento alle vicende politiche di quegli anni. Nell’ultima delle cinque parti dell’opera, Baraka presenta Coltrane come “the sound of the time”, fonte di ispirazione per la sua vita e per i suoi momenti difficili (Feinsten 1997: 121).

Tuttavia, l’approccio di Baraka non è lo stesso di quello di altri poeti dello stesso periodo. Sonia Sanchez, ad esempio, pubblica un “Coltrane poem” ispirato prevalentemente al suono del sassofonista; nel 1970, infatti, l’autrice pubblica We a BaddDD People in cui cerca di ricreare l’equivalente fonetico del suono esplosivo di Coltrane in modo insolito ed originale:

scrEEEccCHHHHH screeeeEEECHHHHHHH

sCReeeSCREEEEEEEECCCHHHHHHHHHHH SCREEEECCCCHHHH SCREEEEEEEECCCHHHHHHHHHHH

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A lovesupremealovesupremealovesupreme for out blk people (Sanchez 1970: 69)

L’opera di Sanchez poi, oltre all’imitazione del suono del sassofono, presenta riferimenti espliciti ad alcuni degli album più noti di Coltrane come My Favorite Things (1961) e A Love

Supreme (1964).

Il secondo, frutto della purificazione spirituale e fisica dell’artista, è ritenuto un capolavoro senza tempo. Il musicista dedica l’album a Dio e lo divide in quattro sezioni -

Acknowledgement, Resolution, Pursuance e Psalm – costruite su frasi molto semplici sulle quali

si inseriscono le sue jam. Il suono di Coltrane diventa una vera e propria enunciazione verbale attraverso cui l’autore dichiara “a love supreme” verso Dio. L’ultima sezione, Psalm, è probabilmente quella che esprime meglio l’ispirazione divina dell’opera; questa, infatti, è la “lettura” con il suono del sax dell’omonima poesia scritta dal musicista stesso. La poesia, una sorta di preghiera, compare sul libretto del disco e la sua “lettura musicale” avviene suonando una nota per ogni sillaba delle parole che compongono i versi.

L’album influenza profondamente musicisti e poeti jazz. Tra questi, Michael S. Harper scrive un componimento poetico dal titolo Dear John, Dear Coltrane (1970). La fonte di ispirazione del poeta è esplicita sin dai primi versi dell’opera in cui viene ripetuto quattro volte il titolo dell’album capolavoro del sassofonista. Inoltre, la frase “a love supreme” compare in tutto il componimento di Harper, così come accade nel disco attraverso il basso ostinato.

La poesia ha una struttura simile a quella dell’album, essendo anch’essa divisa in quattro parti che, in questo caso, sono strofe. Se la prima richiama l’infanzia di Coltrane attraverso un sentimento di sofferenza, la seconda descrive la sensazione di sollievo attraverso l’arte. La terza strofa è una sorta di canzone all’interno della poesia in cui ricorre il tema del colore della pelle degli afroamericani. L’ultima strofa, infine, presenta un riferimento alla malattia del sassofonista e alle sofferenze del suo passato, quindi presenta il suo bisogno di purificarsi internamente ed esternamente attraverso la ricerca di spiritualità.

John Coltrane, infine, è stato fonte di ispirazione per altri poeti del periodo, come A. B Spellman che nel 1969 pubblica Did John’s Music Kill Him? e Haki Madhubuti, autore di Don’t Cry,

Scream pubblicato lo stesso anno.

In questo studio, va segnalato che, nel 1968, nasce nel quartiere Est Harlem di New York il gruppo The Last Poets formato da poeti e musicisti afroamericani appartenenti al Movimento dei Diritti Civili. Il gruppo incide vari dischi che sono considerati le prime influenze di ciò che diventerà il genere hip-hop. I brani presentano dei testi scritti da autori di Harlem recitati su una

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basa musicale jazz piuttosto tribale; i musicisti del gruppo, infatti, utilizzano solo strumenti a percussione di origine africana.

Nei decenni successivi, le poesie jazz composte sono prevalentemente degli omaggi ai musicisti deceduti che lasciano un vuoto incolmabile nella vita degli autori. Tra i poeti in questione si pensi a Eugene Perkins, William Matthews e Hayden Carruth.

In conclusione, la jazz poetry unisce due mondi che, seppur apparentemente opposti, sono in realtà complementari. Infatti, se da un lato la poesia jazz si basa sulle caratteristiche peculiari del genere in questione imitandone il ritmo e la tecnica, dall’altro la musica jazz è basata sulla poesia in quanto ne imita il suono delle parole, l’intonazione e la vocalità. Dalla storia della poesia jazz, emerge il contributo fondamentale di un autore che è stato fonte di ispirazione per tutti i poeti dello stesso genere: Langston Hughes. Il prossimo capitolo sarà un approfondimento sulla vita dell’autore, sulle sue influenze, le sue opere ed il suo stile.

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