Gli effetti del Processo di Barcellona
4.3. La politica finanziaria e monetaria
Negli ultimi anni i paesi MENA hanno cercato di contrastare le pressioni inflazionistiche con rialzi dei tassi. Nonostante le politiche di contenimento dei prezzi attuate, infatti, nel periodo dal 2004 al 2008 il tasso medio dell’inflazione nei paesi era salito al 5,6%, contro il 2,3% del quinquennio precedente; mentre a livello mondiale il tasso è decisamente inferiore ed è rimasto costante negli ultimi decenni, posizionandosi intorno ai 4 punti percentuali. Nonostante la discesa dei tassi d’interesse nominali, i tassi reali 14 Cfr. ibid, p. 30. Export % PIL Import % PIL Saldo commer ciale % PIL Consu mi e famiglie % PIL Consum i pubblici % PIL Investim enti lordi fissi % PIL IDE % PIL Algeria 38 23 15 43 15 24 0,9 Egitto 18 23 -5 76 11 17 3,2 Israele 37 45 -7 58 30 19 6,4 Libano 13 40 -27 79 23 21 3 Libia 38 23 15 52 21 13 1,5 Marocco 33 37 -4 61 20 23 0,5 Siria 40 31 9 58 11 22 5,5 Tunisia 45 49 -4 62 16 25 2,9 Turchia 29 31 -2 67 14 18 0,7 Media Sud Mediterraneo 33,5 37 -3,5 65 17,7 19,9 0,6 Francia 27,5 25 2,5 55 23 20 1,3 Italia 27 26 1 60 19 20 1,1 Spagna 29 31 -2 58 18 25 4,1 Media 28 28,5 0,5 57,6 20 21,6 2,5
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sono saliti in quasi tutti i paesi15. Per quanto riguarda invece il tasso di cambio,
la quasi totalità dei paesi MENA esercita un controllo più o meno stretto delle valute, facilitati soprattutto dal movimento limitato dei capitali nel mercato interno. Tra questi, solamente Israele, new economy nettamente più vicina al profilo occidentale rispetto ai suoi vicini del Medio Oriente, lascia fluttuare liberamente la propria valuta. Negli altri casi, invece, il regime prevalente è la parità fissa tra la propria valuta e il dollaro o un paniere che replica la composizione dei Diritti Speciali di Prelievo (SDR) del FMI. Tale strategia è applicata dalle economie diversificate del Medio Oriente e dalla Libia. La ragione di questa scelta si trova nella volontà dei governi di rendere più stabili i mercati domestici, sia finanziari che reali, a fronte di una situazione politica o economica difficilmente gestibile nel lungo periodo. Oltre alla situazione precaria degli esecutivi e condizioni di crisi in cui si trovano, i PPM devono anche sopperire alle carenze strutturali della propria economia. L’Algeria e gli altri paesi del Nord Africa, infine, attuano un regime di fluttuazione controllata16. In tutti questi paesi, sia quelli con una discreta struttura
produttiva nei settori manifatturiero, turistico e dei servizi, sia quelli che devono promuovere la diversificazione della propria struttura economica, l’applicazione di una politica di cambio più o meno controllata ha il fine di monitorare e tutelare la propria competitività nel mercato estero, cercando al contempo di contenere le spinte inflazionistiche. I paesi che più hanno conosciuto la svalutazione della propria moneta sono stati Egitto (oltre il 50%) e Tunisia, intenzionata però ad adeguare la sua economia all’Accordo di libero
15 In Israele la Banca Centrale è stata la prima, con l’inflazione stabilmente sopra l’obiettivo del 3% ad iniziare un ciclo rialzista. Il tasso di riferimento è salito da 0,50% ad agosto a 1,25% a fine dicembre 2009. Nei paesi con regime di cambio fisso (Giordania e Libano), il consistente indebitamento in valuta ha obbligato la Banca centrale a mantenere un elevato differenziale tra tassi interni e tassi sul dollaro per non mettere in pericolo la tenuta della parità. Nei paesi con esportazioni diversificate nel Nord Africa (Egitto, Marocco e Tunisia), l’inflazione strutturalmente elevata per le rigidità ancora presenti nell’economia (soprattutto in Egitto dove nel 2008 era superiore al 20%, mentre in Tunisia era di poco inferiore al 5%), ha frenato la discesa dei tassi nominali, che stanziano tra il 3, 25% della Tunisia e il 9, 75% dell’Egitto. G. Frigoli, L’evoluzione ciclica e tendenziale dell’economia, in “I Paesi del Sud del Mediterraneo: Crescita e Opportunità di Business nel Contesto delle Relazioni con l’Unione Europea”, cit., pp. 19 e ss.
16 In Tunisia e Marocco, visti gli stretti legami con l’UE, la fluttuazione controllata è stabilita nei confronti di un paniere dove l’euro persa due terzi, mentre in Algeria ed Egitto il regime è riferito al dollaro USA. Ibid., p. 21.
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scambio con l’UE17. Inoltre, l’ammontare degli IDE in questi paesi ha
consentito di ammortizzare la svalutazione delle monete locali.
Come anticipato nei precedenti paragrafi, i paesi esportatori di idrocarburi sono riusciti negli ultimi anni, grazie all’ingente quantità di esportazioni, ad accumulare ingenti riserve in valuta. Al contrario in quasi tutti i paesi non esportatori, ad eccezione di Egitto e Israele, a causa del peggioramento degli scambi dei prodotti agricoli e manifatturieri, unitamente alla sostenuta domanda di beni importati, sono stati registrati ingenti disavanzi sul bilancio interno. Egitto e Israele, invece, hanno beneficiato dei propri progressi nei settori dei servizi e trasferimenti che hanno permesso di mantenere in attivo il bilancio interno.
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Il 1° gennaio 2008 la Tunisia è entrata nella zona di libero scambio dei prodotti industriali con l’UE. L’obiettivo è stato raggiunto a meno di dieci anni dall’entrata in vigore dell’accordo di associazione (1 marzo 1998) ed entro il termine transitorio prestabilito (2010). Primo ad essere stato concluso nell'ambito del Partenariato euro-mediterraneo, il 17 luglio 1995, l’Accordo stabilisce che i prodotti industriali originati in Tunisia sono esportati verso l’UE in franchigia dei diritti di dogana e delle tasse di effetto equivalente, mentre i prodotti industriali originati nei Paesi UE sono importati in Tunisia col beneficio di uno smantellamento dei diritti di dogana e delle tasse equivalenti, attuato secondo uno schema di progressione temporale prestabilita, diviso per prodotti. Le categorie individuate sono quattro: materie prime e attrezzature; prodotti semilavorati; prodotti aventi succedanei fabbricati in Tunisia e considerati competitivi; prodotti industriali “sensibili”, cioè prodotti semilavorati che hanno equivalenti nel Paese o che sono prodotti localmente e in grado di far concorrenza ai prodotti europei. E’ importante richiamare l’attenzione sul fatto che l’Accordo non riguarda le importazioni di perfezionamento fatte dalle società in regime di off-shore. Nel settore agro-alimentare lo smantellamento ha interessato solo la componente industriale, mentre quella agricola è stata esclusa dal processo per consentire da un lato, la salvaguardia dei prodotti locali e dall’altro, una maggiore competitività dello stesso settore industriale. Infine, è stata definita una lista “negativa”, contenente i beni non interessati dallo smantellamento tariffario (annesso 6 dell’Accordo).
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