• Non ci sono risultati.

POSSIBILI SCENARI FUTURI

Appare chiaro, dopo quanto trattato nei capitoli precedenti, come lo stretto di Bab el Mandeb sia tra i “choke point” più importanti sia dal punto di vista della sicurezza internazionale che dal punto di vista commerciale.

Questo tratto di mare non rappresenta solamente uno snodo fondamentale per il passaggio di idrocarburi dal Medioriente verso l’Europa e dal Medioriente verso l’Asia, ma assume un’importanza sostanziale come zona cuscinetto tra il Corno d’Africa e la Penisola Arabica. È proprio nelle relazioni tra queste due aree che troviamo descritto il futuro di questa zona. Debellato quasi completamente il fenomeno della pirateria, grazie al contributo di numerose nazioni alla missione a guida europea Atalanta, gli elementi che, al momento, potrebbero rappresentare motivo di instabilità sono: il conflitto yemenita, i rapporti molto tesi tra le monarchie del golfo e l’Iran, la situazione politica interna dell’Egitto e la disputa riguardante la grande diga sul Nilo Azzurro che l’Etiopia ha intenzione di ultimare.

Analizzando quelle che sono le politiche e i progetti futuri di tutti gli attori della zona, stati africani, della penisola arabica e delle grandi potenze internazionali, si intuisce che l’obiettivo condiviso è quello di mantenere quell’equilibrio dinamico e instabile che caratterizza da diversi anni questa zona. Il motivo di questa affermazione lo si può individuare nelle diverse esigenze di tutti gli stati che, sullo stretto di Bab el Mandeb, basano la propria sopravvivenza economica e la propria influenza politica internazionale.

Per l’Arabia Saudita è di fondamentale importanza la stabilità della zona per diversi motivi. Infatti la fondamentale esigenza di questa monarchia del golfo e della casa regnante, è assicurare la propria sopravvivenza. La prima necessità è quella di avviare un progetto di diversificazione degli investimenti, cercando di rendersi sempre più indipendenti dall’esportazione e dalla raffinazione del petrolio. In questo senso va visto il piano “Saudi Vision 2030”, con cui l’Arabia Saudita mira a diventare il principale hub dell’economia, del commercio e del turismo regionale. L’elemento destabilizzante rimane però l’Iran verso cui si è tutelata con la firma dell’accordo con EAU ed Israele, questo perché la confessione islamica sciita, tipica di questo paese, è vista come la corrente più rivoluzionaria e pericolosa per tutto il mondo islamico del Medio Oriente. Infine la monarchia saudita si trova a dover

98

affrontare un’ulteriore prova, ovvero la questione religiosa. Il ramo prevalente di religione islamica del regno, ossia il wahabismo, porta ad identificare la fede religiosa con la casa regnante. Lo stesso non vale, però, per le altre confessioni come per esempio per i “Fratelli musulmani”, i quali propongono oltre ad una rigida osservanza dell’islamismo un elevato grado di trasparenza e moralità nella gestione della vita politico sociale con evidenti ricadute positive sulle condizioni di vita della popolazione. Questo porta, quindi, l’Arabia Saudita in rotta di collisione con Turchia e il Qatar, dove la corrente dei “Fratelli Musulmani” è molto forte.

La stessa esigenza di stabilità la si ritrova anche nelle necessità degli Emirati Arabi Uniti. Quest’ultimi contano proprio sull’equilibrio per continuare a portare avanti la loro politica dei porti e più in generale di diversificazione e indipendenza dal settore petrolifero. Il più grande pericolo, verso cui ha bisogno di tutelarsi, come nel caso dell’Arabia Saudita, è la politica dell’Iran. Proprio per questo motivo sta cercando di rendersi indipendente dallo stretto di Hormuz, unico sbocco al mare che gli permette di inserirsi nei traffici commerciali internazionali e che gli permette di esportare il petrolio, cercando di stabilire diversi check point lungo lo stretto di Bab el Mandeb negli Stati del Corno d’Africa. Le dissidie tra EAU e Qatar e Turchia, non sono a livello religiosa ma riguardano il modo di distribuire le risorse presso la popolazione.

Il Qatar, al momento è l’unica monarchia tra quelle del Golfo, che sta riuscendo a sviluppare un’economia indipendente dall’estrazione di petrolio e gas. Una testimonianza è l’assegnazione dei mondiali di calcio del 2022, occasione fondamentale per questo paese per sponsorizzare le proprie capacità organizzative, economiche e per attrarre in maniera sempre più massiccia i flussi turistici. Questo è confermato dal fatto che il fondo sovrano qatarino, “Qatar Investment Authority” investe in tutte le attività commerciali ed industriali in Europa e nel mondo, come per esempio la “London Stock Exchange”, Airbus Group, Wolksvagen e Credit Suisse. Anche in questo caso, nonostante i diversi punti di scontro con EAU ed Arabia Saudita, ciò a cui più punta il Qatar è una situazione di stabilità ed equilibrio portando avanti, soprattutto nel Corno d’Africa, politiche all’insegna dell’innovazione verso tutti quei paesi che si dimostrano più sensibili ai miglioramenti economici e non legati strettamente ad aspetti religiosi, come per esempio la Somalia. È importante sottolineare come i rapporti tra Qatar ed Iran siano ben diversi rispetto a quelli delle altre monarchie del golfo. A testimonianza di ciò si può notare come questi due paesi gestiscano insieme il giacimento di gas naturale liquido North Dome/South Pars situato al centro del Golfo Persico.

99

Figura 28: North Dome/South Pars field – fonte: Researchgate.net

La situazione, nello stretto in questione, non rimane solamente all’attenzione delle monarchie del golfo ma anche, ovviamente, delle grandi potenze internazionali come Stati Uniti e, in special modo, Cina.

La Cina ha come principale obiettivo quello di mantenere la stabilità e ancora di più la sicurezza a Bab el Mandeb, in quanto questo “choke point” riveste una grande importanza dal punto di vista militare ed economico. La presenza militare cinese in Gibuti ha lo scopo

100

di garantire la sicurezza dei propri interessi economici. Questi consistono essenzialmente nell’approvvigionamento di petrolio che arriva dalla penisola arabica e la protezione dei check point lungo le coste del Corno d’Africa, fondamentali punti di snodo per la “Nuova Via della Seta”.

Gli Stati Uniti, nonostante la marginale importanza della zona dal punto di vista economico, rimangono sempre presenti e vigili nell’area in quanto ne riconoscono la grande importanza strategica e militare. In questo senso va vista la presenza in questi mari del CTF-151 e gli stretti rapporti che quest’ultimi mantengono con tutte le monarchie del Golfo. L’importanza che gli Stati Uniti danno all’area in questione è testimoniata dalle numerose basi militari che sono situate tra la Penisola Arabica e il Mar Rosso, come per esempio: Camp Lemonnier in Gibuti, la sede del CTF-151 in Qatar, il comando della Quinta Flotta in Baharain e altre basi militari in Kuwait, Arabia Saudita, EAU, Iraq, Giordania e Oman.

Spostandoci sull’altra sponda del Mar Rosso è importante analizzare quali saranno le mosse e le intenzioni dei paesi del Corno d’Africa e dell’Egitto.

Partendo dalla Somalia, quello che si può notare è una tendenza ad una maggiore equilibrio tra il governo centrale e gli Stati federali del Somaliland e Puntland. Avendo arginato tutte le organizzazioni terroristiche islamiche come al-Shaabab, al-Qaeda e l’Isis e neutralizzato il problema della pirateria, la Somalia sta iniziando un percorso che potrebbe portarla ad uscire dalla lista degli “Stati canaglia”. Inoltre del miglioramento delle condizioni interne a questo paese potrebbero beneficiarne anche le nazioni confinanti perché ciò eviterebbe l’infiltrazione di gruppi terroristici all’interno dei propri confini.

L’Eritrea, con l’obiettivo di uscire dall’isolamento internazionale provocato dall’accusa di fornire armamenti ai terroristi somali, ha scelto la via della diplomazia nei rapporti con l’Etiopia, come testimonia l’accordo di pace del settembre 2018 a Gedda. Questa scelta ha lo scopo di migliorare le condizioni economiche e di vita di un paese molto povero con l’obiettivo sia di incrementare i flussi commerciali verso i porti di Massaua e Assab sia i flussi turistici da tutto il mondo. Segno di questo cambiamento di rotta è l’appoggio fornito dall’esercito eritreo a quello etiope nel conflitto nella regione del Tigray.

L’Etiopia, con il primo ministro Abiy Ahmed, ha l’obiettivo di ritornare a ricoprire un ruolo egemone nel continente africano e in maniera particolare nella regione del Corno d’Africa. Questo percorso passa attraverso il superamento di alcune problematiche come la

101

stabilizzazione del fronte interno, lo sfruttamento del Mar Rosso e la realizzazione del progetto della Grande Diga del Rinascimento Etiope.

Per quello che riguarda la stabilizzazione interna, l’obiettivo è quello di limitare le spinte autonomiste delle etnie presenti favorendo l’integrazione fra i vari gruppi etnici presenti e cercando di coinvolgerli in maniera sempre maggiore nella gestione del potere. Gli accordi di pace con l’Eritrea hanno l’obiettivo di aprire nuove porti, alternativi a quelli del Gibuti, per il commercio e realizzare un collegamento ferroviario tra Addis Abeba ed Asmara che arriverà a collegare anche la capitale etiope al porto di Massaua. Tale progetto è stato proposto nel settembre del 2019 dal governo italiano a quello etiope. Infine lo sforzo più grande, l’Etiopia, lo sta compiendo nella costruzione della diga sul Nilo Azzurro. La realizzazione e il completamento di tale opera permetterebbero all’Etiopia di produrre energia elettrica senza ricorrere all’utilizzo del petrolio dando così impulso alle attività industriali ed agricole. Se questo progetto costituisce un enorme vantaggio per l’economia etiope dall’altro lato arreca un ingente danno, non tanto al confinante Sudan, quanto all’Egitto. La regolazione, con conseguente diminuzione dell’afflusso dell’acqua del Nilo, ricadrebbe sulla sia sulla produzione di energia elettrica sia sul settore agricolo generando così ingenti danni all’economia egiziana, che proprio sullo sfruttamento del fiume Nilo trova una delle più grandi fonti di sostentamento.

102

La costruzione della diga potrebbe essere questione di alterazione dell’equilibrio tra gli stati coinvolti e l’importanza che questo fatto assume è resa evidente dalla limitazione degli investimenti dell’amministrazione Trump su questo progetto.

L’Egitto, a seguito della primavera araba, non rappresenta più il punto di riferimento per i paesi islamici del Nord Africa. La non florida economia egiziana è sostenuta dai finanziamenti che arrivano dall’Arabia Saudita, dagli Emirati Arabi e dagli Stati Uniti in cambio di una funzione di controllo soprattutto contro i movimenti estremisti politici, religiosi e terroristici. Questo è confermato dal fatto che in Egitto troviamo un regime militare e un eventuale rivolgimento interno a questo paese potrebbe portare a delle situazioni di crisi che destabilizzerebbero l’area. La necessità di dover migliorare la propria situazione economica è testimoniata da un atteggiamento di apertura verso gli investimenti esteri e a conferma di ciò c’è la creazione di aree industriali nelle zone limitrofe al Canale di Suez da parte di Cina e Russia.

La situazione dell’Egitto risulta essere molto delicata, in quanto rappresenta il baluardo, per Stati Uniti e Arabia Saudita, contro l’estremismo islamico sia politico che religioso ed è di fatto il garante della sicurezza dell’attraversamento del Canale di Suez.

103

CONCLUSIONI

Come è ormai appurato dai fatti, la zona del Corno d’Africa allargato alla Penisola Arabica è una delle zone più “calde” e delicate del globo. Gli elementi da tenere in considerazione al fine di monitorare costantemente la zona sono:

• fattori etnici e tribali per la convivenza della popolazione

• influenza dell’islam politico e religioso sulla vita quotidiana degli stati • interessi delle potenze globali nella zona

• debolezza economica e quindi instabilità interna dei paesi africani e dello Yemen e • l’incapacità delle monarchie del Golfo di trovare protocolli diplomatici di dialogo

con i loro partner e competitor.

Tenuto conto di ciò che nel capitolo precedente è stato trattato, è chiaro che l’interesse comune a tutti gli attori è quello di avere una situazione più stabile possibile per continuare a perseguire i propri obiettivi dal punto di vista economico, strategico e militare.

Questo, però, potrebbe essere messo in discussione dalla natura stessa degli attori, in particolar modo quelli africani, che presentano istituzioni deboli ed economie deboli che potrebbero essere facilmente influenzate dall’esterno facendo anche leva sul problema etnico.

Infine per quello che riguarda la sponda araba del Mar Rosso, il fattore di instabilità è costituito dalla politica dell’Arabia Saudita che ha come obiettivo quello di contrastare ciecamente ogni mossa iraniana e qualunque fattore possa mettere in pericolo la loro egemonia, come testimonia l’uccisione del giornalista Adnan Kashoggi.

104

BIBLOGRAFIA E SITOGRAFIA

Federico Donelli, Mondadori edizione 2019. “Le due sponde del Mar Rosso, la politica estera degli Stati mediorientali nel Corno D’Africa”.

Matteo Guglielmo, Il Mulino edizione 2013. “Il Corno d’Africa: Eritrea, Etiopia, Somalia”. www.limesonline.com www.ispionline.com www.analisidifesa.it www.mediterraneansecurity.it www.tpi.it www.geopolitica.info www.insideover.com www.gnosis.aisi.gov.it www.cesi-italia.org

Documenti correlati