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CAPITOLO 3: GLI STATI DEL CORNO

3.4 SOMALIA

Per completare il quadro geopolitico del Corno D’Africa è necessario parlare della Repubblica Federale di Somalia.

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Anche la Somalia, come gli stati precedentemente citati ha conosciuto un periodo di dominazione coloniale. Questa era divisa essenzialmente in tre grandi regioni, la ex Somalia italiana, la Somalia inglese, che diedero vita a partire dal 1° luglio 1960 alla Repubblica Somala e la Somalia francese, la quale dal 1977 anno dell’indipendenza è conosciuta come Gibuti.

Figura 23: Divisione della Somalia durante il periodo coloniale – fonte: leonardo.it

Ad oggi la Somalia è riconosciuta dalla comunità internazionale come uno Stato unitario, anche se nella realtà si presenta divisa in tre diverse entità federali e statuali: la Somalia centro-meridionale, lo Stato semiautonomo del Puntland ed il Somaliland, autoproclamatosi repubblica indipendente nel 1991. Dal crollo del regime autoritario di Siad Barre, che è durato dal 1969 al 1990, la situazione è precipitata in una guerra civile che ancora oggi, nonostante qualche segno di stabilità dato dall’elezione l’8 febbraio 2017 di Mohamed Abdullahi Mohamed detto Farmajo come Presidente della Repubblica, si protrae, e che è caratterizzata da un continuo scontro tra centro e periferia per il controllo delle risorse. I tentatavi della comunità internazionale di normalizzare i rapporti interni a questo Stato, nel corso degli anni sono stati molteplici, ma oltre ad avere esito negativo sono stati causa di ulteriori scontri e conflitti.

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Ciò che ha turbato maggiormente l’ordine interno della Somalia, è stata, come per molti stati africani, la conferenza di Berlino del 1884-1885. Le potenze europee avevano deciso di spartire la Somalia in diverse entità territoriali, andandone ad alterare completamente quella che era la struttura politica, sociale ed etnica, con la conseguenza di disperdere il popolo somalo. Tale condizione influenza, ancora oggi, le vicende politiche interne e le relazioni con i Paesi vicini.

L’elemento che rende unico questo stato rispetto a tutti gli altri, è la sua struttura sociale interna, dove il principale modello di organizzazione socio-politica, è quella clanico. A differenza degli altri paesi in cui troviamo la presenza di più gruppi etnici, in Somalia si trova un’unica etnia, e quindi le dinamiche sociali girano intorno alle diverse fazioni claniche presenti.

In questo contesto la decolonizzazione dall’alto, ovvero a partire dalle istituzioni, che venne portata avanti nel periodo post indipendenza, evidenziò subito quanto fosse difficile la costituzione di uno Stato moderno che poggiava le sue fondamenta su un sistema caratterizzato ancora oggi, dalla competizione tra i vari clan. Le principali conseguenze cui portò questo tentativo, furono essenzialmente il portare sul piano politico la competizione clanica, l’interiorizzazione delle dinamiche tribali nelle giovani istituzioni statali e la corruzione del sistema politico. È su queste basi che venne vista con grande speranza l’ascesa di una giunta militare guidata dal generale Siad Barre nel 1969.

Dopo un primo periodo di grande popolarità, raggiunto grazie alla promozione di politiche caratterizzate da un forte impatto sociale, la giunta militare prende una svolta autoritaria. Sostenuta da una ideologia fortemente nazionalista, seguendo quelle che erano state le precedenti politiche coloniali, ovvero privilegiare una stretta cerchia di clan rispetto ad altri, altera ulteriormente i rapporti clanici.

Il regime di Barre rimase stabile fino al 1977, anno della guerra dell’Ogaden contro l’Etiopia, la quale si concluse con la ritirata delle truppe di Mogadiscio. A seguito di questo evento, la maggior parte delle istituzioni statali si indebolì fino a perdere il controllo su intere province del Paese.

La sconfitta aprì alla crisi degli equilibri interni e dell’identità nazionale che il regime di Barre aveva cercato di costruire negli anni. Iniziarono a svilupparsi i primi fronti di

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opposizione interna, soprattutto in quella che era stata la Somalia britannica, ai quali si aggiunsero una serie di clan, che collaborando, determinarono la caduta di Barre.

Dopo la sua caduta, il leader del clan Hawiye, Ali Mahdi, senza consultare le altre fazioni, si autoproclamò presidente ad interim, dando di fatto via al caos. I così detti “signori della guerra” (capi clan), si spartirono le zone meridionali, appropriandosi dei territori come loro domini personali, mentre regioni quali il Puntland e il Bernadirland dichiararono la propria indipendenza, senza riuscire però ad instaurare delle istituzioni politiche forti e durevoli. L’implosione dello stato somalo era avvenuta davanti agli occhi della comunità internazionale, senza che nessuno stato si impegnasse ad intervenire. Infatti il disinteressamento sovietico nei riguardi dell’area, aveva ridotto l’importanza del Corno nello scacchiere globale, e gli Stati Uniti si convinsero che la situazione potesse risolversi senza un loro coinvolgimento diretto.

Il ventennio successivo fu caratterizzato da un acutizzarsi dei conflitti interni tra i gruppi che avevano sostenuto l’opposizione al regime di Barre. La politica statunitense del non intervento iniziò a vacillare di fronte all’escalation di violenze che coinvolse i civili. Così gli effetti catastrofici che la guerra civile stava avendo sulla popolazione, spinse la comunità internazionale a promuovere tre distinti tentativi di mediazione e aiuto umanitario: l’operazione delle Nazioni Unite denominata UNOSOM-I (1992), la missione congiunta tra l’ONU e gli Stati Uniti conosciuta come Operazione Restore Hope (1993), ed infine la seconda operazione dell’ONU, la UNOSOM II (1993-95).

Gli obiettivi ufficiali delle missioni erano soprattutto di carattere umanitario come per esempio la protezione degli operatori internazionali impegnati nella distribuzione di aiuti. In realtà queste missioni furono utilizzate per cercare di trovare una soluzione alla crisi tramite un percorso di riconciliazione nazionale. Il problema di fondo fu però l’erronea interpretazione, da parte degli attori internazionali, delle cause del conflitto. Infatti tutti erano convinti che alla base della guerra civile somala ci fosse un semplice scontro tra clan e per questo motivo promossero dei negoziati che naufragarono prima di nascere.

Nonostante, come appena detto, le missioni internazionali in terra somala siano state perlopiù fallimentari, hanno contribuito a alla creazione di nuove dinamiche interne, in special modo nella parte centro meridionale del paese. Infatti oltre ad un generale aumento della sicurezza, ciò che ha contribuito in maniera determinante a provocare dei cambiamenti,

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è stata l’ingente fornitura di aiuti umanitari e apparati logistici. In questo modo si è andata a creare, in quel periodo, una nuova classe di imprenditori locali, che in assenza di un’autorità statale riescono ad accumulare ricchezza e stabilire delle nuove reti di mercato, soprattutto verso con la penisola araba.

Mogadiscio alla fine degli anni ’90, diventa il centro di una nuova élite economica che trae la sua forza dal commercio e dal settore dei servizi, un tempo gestiti dal governo. I settori economici che risentono maggiormente della guerra civile sono quelli agricolo e zootecnico, mentre i servizi legati al mercato delle telecomunicazioni e dei trasporti conoscono un periodo di relativa crescita.

Nonostante i segnali incoraggianti legati all’apertura del mercato somalo, ci sono ancora almeno due aspetti che presentano delle importanti lacune: l’assenza di istituzioni economiche nazionali di riferimento, manca quindi un ente di certificazione delle merci, e la formazione di imprese sviluppatesi attraverso reti di appartenenza politica e clanica. Il tutto accade in un clima se non di aperto conflitto, di insicurezza generale, in cui scontri, omicidi e rapimenti restano diffusi. In questo contesto, i nuovi imprenditori, avendo perso completamente la fiducia verso le istituzioni, iniziano ad organizzarsi costruendo dei propri sistemi di sicurezza posti a salvaguardia dei nuovi interessi economici. Alcuni esempi che dimostrano ciò che è stato appena detto, possono essere il nuovo hub aeroportuale k-50, aperto e protetto da compagnie aeree private, nato come alternativa alla chiusura dell’aeroporto della capitale o come il porto di el-Maan, nato per supplire alla mancanza di un approdo per Mogadiscio.

Accanto allo sviluppo di questa nuova imprenditoria, inizia a svilupparsi la necessità di nuovi apparati governativi che siano in grado di garantire più sicurezza per le nascenti realtà economiche. In questo senso va vista la creazione dei primi tribunali islamici meglio conosciuti con il nome di corti islamiche.

Inizialmente queste avevano il compito di favorire la legalità e fungere da intermediari nei rapporti all’interno dei singoli clan, successivamente alle corti islamiche vengono delegati dall’imprenditoria, poteri e competenze sempre crescenti come la gestione di ospedali, la regolazione dei mercati locali e l’amministrazione di rudimentali sistemi di tassazione.

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In poco tempo riescono ad estendersi in tutta la capitale, forti anche del sostegno militare che deriva dall’attività di reclutamento tra i giovani sbandati, e del sostegno economico dei nuovi imprenditori.

Le potenze internazionali rimangono spettatrici di fronte a queste dinamiche, lasciando di fatto la Somalia al proprio destino. Intorno alla metà degli anni ’90 si fa avanti una nuova chiave interpretativa relativa alla causa del conflitto: l’idea di Stato fallito. Tutto il disordine, i conflitti e le violenze vengono attribuite al collasso dello Stato, presentando in questo modo, la Somalia come elemento catalizzatore di insicurezza, non solo a livello regionale, ma anche a livello globale.

Anche in questo caso, l’interpretazione che viene data ai conflitti somali si rivela non completamente esatta, perché non tiene conto delle diverse strutture statuali alternative emerse dal basso, come il Somaliland. Inoltre un errore ben più grande che viene fatto, è quello di non considerare in maniera concreta, i fattori internazionali come concause del conflitto, essi infatti vengono visti solamente come un fattore di influenza indiretta.

A livello regionale, furono i paesi vicini a portare avanti diverse iniziative di pace, culminate con la conferenza di Gibuti, in seguito alla quale il 25 agosto 2000 l’Assemblea nazionale somala, elegge un Governo Nazionale di Transizione (GNT) con un mandato di tre anni. Nonostante il GNT avesse inizialmente guadagnato il favore di diversi settori sociali del Paese, presto iniziò a trovare le prime opposizioni. Infatti oltre ai signori della guerra, timorosi di perdere i loro vantaggi economici derivanti dal conflitto, anche l’Etiopia contrasta il GNT, soprattutto a causa dei suoi stretti legami con le corti islamiche, e di conseguenza con i Paesi arabi.

A destabilizzare le sorti del progetto di transizione nazionale, ed indebolire le speranze di quanti vedevano vicina la ricostruzione della repubblica somala, furono gli sviluppi in Somaliland, dove nel 2001 venne approvata con voto popolare la nuova Costituzione. Questa prevedeva un sistema politico democratico e multi partitico, con un Presidente dotato di ampi poteri. I motivi per cui venne proclamata l’indipendenza furono principalmente due: la decisione di voler costituire un governo centrale a Mogadiscio e la conseguente paura di rimanere emarginati dalla vita politica del paese, proprio come successe durante il regime di Barre.

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In pochi anni, nonostante il mancato riconoscimento internazionale, i membri del Somali National Movement (SNM), ed i principali esponenti dei clan tribali, istituirono un nuovo governo ed un parlamento, avviando una serie di progetti in campo sociale ed economico. Ad oggi il Somaliland continua a funzionare come uno stato de facto, riuscendo a garantire stabilità e ordine ai propri cittadini, e stabilendo relazioni informali con diversi Paesi, soprattutto Etiopia e Gran Bretagna.

Il processo che ha portato alla costruzione di questa regione di fatto indipendente, è stato reso possibile dal successo dei meccanismi di risoluzione dei conflitti interni, in cui il ruolo principale è stato giocato dagli anziani e dalle donne, che hanno operato come intermediari inter-clanici. Inoltre, è stato proprio il disinteresse e l’assenza degli attori internazionali a favorire lo sviluppo istituzionale del Somaliland, costringendolo a risolvere le rivalità interne in modo da rafforzarsi e avviare così un processo di “costruzione statale” dal basso.

Simile all’esperienza del Somaliland è quella della regione nord orientale conosciuta come Puntland ed abitata per la maggior parte dalla popolazione Darood (clan somalo).

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A distanza di pochi anni dalla sua formazione, il Puntland diventò noto come il covo dei signori della guerra e della pirateria somala. Questo aspetto, unito alla politica interna, poco distante da una dittatura militare, non impedì ad alcuni osservatori internazionali di vedere nel Puntalnd un elemento portatore di ordine nella subregione. In questo senso fu fondamentale la figura del leader politico di questa regione, ovvero Abdullahi Yusuf Ahmed, che supportato dall’Etiopia, fu in grado di consolidare il potere nelle proprie mani riuscendo, nel 2004 a diventare presidente del GNT ( governo transizione nazionale). L’agenda politica, federale e non secessionista, gli consentì di supportare gli sforzi internazionali per la formazione di un governo centrale somalo, e di accedere ad una serie di vantaggi, come aiuti economici dall’estero, legittimazione globale e le opportunità economico commerciali. In aggiunta, ad aumentare la rilevanza del Puntland, ci fu la scoperta di grandi riserve di petrolio e gas.

Le sorti del GNT, già messe in pericolo dagli sviluppi politici del Somaliland, vennero definitivamente segnate dalla strategia statunitense della guerra al terrore post 11 settembre. Infatti la Somalia tornò ad essere al centro dell’agenda di sicurezza internazionale in quanto stato fallito, e quindi ambiente congeniale per la proliferazione del terrorismo internazionale. Quello che la comunità internazionale però non sapeva era che, nello stato somalo, i gruppi di radicalismo islamico, tra cui al-Qaeda, trovarono sempre un ambiente inospitale, sia a causa della guerra civile sia perché i somali erano abituati ad un islam più liberale e meno conservatore. Così gli Stati Uniti, con l’obiettivo di stabilire un governo amico in Somalia, supportarono la politica interventista dell’Etiopia soprattutto per prevenire le spinte indipendentiste dell’Ogaden e i movimenti islamisti.

USA ed Etiopia, con l’intento di ridimensionare il ruolo delle corti islamiche, scelsero di supportare il gruppo armato Somalia Reconciliation and Restoration Council (SRRC). Come detto precedentemente, le corti islamiche, erano nate perlopiù come organo di amministrazione, e alla base di queste c’era la comune volontà dei politici locali, dei leader religiosi e degli anziani membri dei clan, di creare aree di ordine e stabilità amministrate mediante l’applicazione della” shari’a”, ovvero la legge islamica.

Nel 2000, nonostante le differenze ideologiche e sociali, le corti islamiche decisero di unirsi dando vita all’Islamic Court Union (ICU). La maggior parte delle corti professava un islam moderato, e solamente poche erano quelle controllate da gruppi radicali come al.Ittihad, al-

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Islamiya e al-Shabaab. Fino a quel momento il ruolo delle milizie jihadiste era rimasto marginale.

Ciò che contribuì alla radicalizzazione di molti giovani somali, furono le scelte statunitensi di appoggiare l’intervento militare etiope, di supportare la guerriglia portata avanti dall’SRRC e di imporre il blocco internazionale della principale banca somala, lasciando così la maggior parte della popolazione in pessime condizioni economiche e sociali. Anche in questo caso, l’ennesimo tentativo di risoluzione del conflitto dall’esterno non fece altro che andare ad inasprire la situazione. Tra il 2005 e il 2007 l’ICU consolidò il proprio controllo nella Somalia centro meridionale, riuscendo anche nel difficile compito di ridurre la pirateria. Di fondamentale importanza per l’ICU furono i legami economici instaurati con il Golfo, che consentirono il ripristino delle principali infrastrutture come porti, aeroporti, strade.

A determinare la fine dell’esperienza delle corti islamiche furono, sia il contesto internazionale, sia alcuni errori commessi dai leader dell’ICU, lasciando che si creassero delle spaccature interne tra le fazioni moderate e quelle più radicali, in particolare al- Shabaab. Un ulteriore errore fu quello di proclamare il “jihad”, ovvero la guerra santa, contro l’Etiopia. In questo modo l’ICU entrò nella lista nera statunitense.

Nel dicembre del 2006 l’Etiopia, preoccupata dal rischio di una imminente caduta del GNT, decise di intervenire militarmente. Con il supporto di USA e Gran Bretagna, l’esercito etiope conquistò rapidamente Mogadiscio disperdendo le forze dell’ICU, le quali riorganizzatesi intorno ad al-Shabaab, diedero vita alla guerriglia e agli attacchi terroristici.

Iniziarono degli anni difficili per la Somalia, infatti l’iniziativa etiope promossa a livello internazionale come parte integrante della guerra al terrore, trasformò lo stato somalo in un focolaio del terrorismo, attirando combattenti jihadisti e generando una forte legame ideologico tra i gruppi radicali locali e la rete qaedista globale.

Dopo due anni di sanguinosi conflitti, nel 2008 presso Gibuti, i rappresentanti moderati dell’ICU e del GNT avviarono i negoziati. Questi si conclusero con l’accordo sul ritiro dell’esercito etiope, il riconoscimento da parte dell’ICU del governo GNT e il dispiegamento di truppe AMISOM per garantire la sicurezza durante il complicato percorso di transizione.

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Il GNT però, non riuscì a tradurre la vittoria militare in vittoria politica, e ben presto si trovò a dover affrontare nuovamente l’opposizione di al-Shabbab e di altri gruppi di opposizione, i quali si unirono nell’Alliance for the Re-liberation of Somalia (ARS).

L’ARS, nonostante venisse etichettata dall’Etiopia come un’organizzazione terrorista, nella realtà era composta da esponenti dell’Islam moderato, dai leader di alcuni clan e da signori della guerra, con la presenza di un numero ristretto di gruppi radicali. Ciò che teneva unite queste fazioni, nonostante la diversa estrazione, furono da una parte il sostegno dell’Eritrea e dei Paesi Arabi, dall’altra il forte sentimento anti etiope.

Nel 2012, grazie alla nuova agenda del Presidente Obama, e grazie alla posizione moderate assunte dall’ARS, finì il periodo del governo di transizione con la formazione del Federal Government of Somalia, che oggi ha come presidente Mohamed Abdullahi Mohamed detto “Farmajo”.

Nonostante l’istituzione del FGS abbia avviato la Somalia verso una maggiore stabilità, le incertezze continuano a dominare lo scenario politico interno. Il governo centrale somalo rimane fragile, ben lontano dal raggiungere un riconoscimento legittimo sul fronte interno e da uno sviluppo accettabile delle istituzioni. La sicurezza nel paese rimane strettamente dipendente dai contingenti militari stranieri, così come l’economia continua a reggersi sulle donazioni occidentali. La guerra contro al-Shabaab ha fatto sì che i gruppi radicali siano stati confinati a poche sacche di resistenza, presenti perlopiù in zone lontane dai centri del paese. Infine la Somalia, appare costantemente esposta alle dinamiche subregionali, soprattutto a causa delle difficili relazioni con l’Etiopia, e i legami di diversi settori della società con l’Eritrea e il Kenya.

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CAPITOLO 4: INFLUENZA DELLE POTENZE GLOBALI,

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