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Il presidio finalese: gli alloggiamenti e i transiti della «soldatesca»

La cura del presidio è uno dei principali affari dell‟élite finalese, che provvede a sfamare e ricoverare i soldati, traghettarli da una provincia all‟altra dell‟impero, finanziare le opere difensive, procurare e rimontare l‟artiglieria. Ma oltre a costituire un occasione di investimento per i più facoltosi uomini d‟affari del Marchesato, il continuo via vai di soldati e ufficiali rappresenta una fonte di reddito per una larga fascia di persone, che trae profitto dalla vendita al dettaglio, dallo smaltimento dei prodotti della terra e dall‟affitto di beni immobili. Su questo punto tutti i nostri informatori sono concordi. La lista dei «malaffetti» del curato Allegro prosegue così:

Temono gli artisti, i patroni di case e di terre ortili che smantellandosi le fortificazioni [con l‟arrivo dei genovesi] non vi saranno più militari, li quali non havendo casa propria conviene prendino in affitto quelle d‟altri, e non proveduti di dispensa sono astretti comprare il tutto a minuto1.

E pochi mesi più tardi il Governatore genovese Cattaneo De Marini riconosce che la minaccia della «demolizione delle fortezze et abolizione del presidio» è «uno dei più forti motivi che habbia fatto mirar con orrore a questi popoli il passaggio sotto il Dominio della Serenissima Repubblica», e aggiunge che molti finalesi nel corso del XVII secolo hanno approfittato dei continui transiti militari per «affittare le loro case per l‟alloggio delli ufficiali e de‟ soldati, e smaltire con essi li loro vini, ortaglie et altri frutti delle proprie ville»2.

Insomma, la guarnigione spagnola permette ad alcuni di realizzare vere e proprie fortune, e a molti altri di arrotondare i propri introiti. Ma una piazza frequentata da uomini d‟arme ha bisogno anche di ufficiali, e così alcuni maggiorenti locali vanno a ricoprire incarichi militari. Quella delle carriere nell‟esercito è anzi una vera e propria “strategia” della Monarchia, che in questo modo si assicura l‟appoggio del gruppo dirigente finalese, attratto da questo sbocco, a tutti gli effetti nobilitante3. Come accade nel Milanese, i principali notabili del Marchesato si mostrano molto interessati «en acceder a los empleos de oficiales de ejército»4: capitano, tenente e alfiere sono gradi da ostentare in pubblico, che permettono di girare armati per le proprie contrade, e che sanciscono

1 ASG, Marchesato del Finale, 22. Come ha spiegato Antoni Maczak, quanto a «esercito e impegno bellico si

può parlare di una duplice funzione. Da una parte, infatti, costituirono un notevole aggravio per la popolazione, sottraendo tra l‟altro i coscritti alle rispettive famiglie; d‟altra parte, offrirono possibilità di arricchimento ai fornitori dell‟esercito» (A. MACZAK, Lo Stato come protagonista e come impresa: tecniche, strumenti, linguaggio, in M. AYMARD (a cura di), Storia d‟Europa. L‟Età moderna. Secoli XVI-XVIII, Torino, Einaudi, 1995, vol. IV, specie pp. 144-145). E anche Mario Rizzo ha rilevato come «le esigenze logistiche dell‟esercito asburgico causarono sofferenze morali, fisiche ed economiche a molti abitanti della Lombardia», ma «per altri quelle stesse esigenze rappresentarono invece una lucrosa fonte di guadagni»; e a questo proposito ha parlato della creazione di una vera e propria „economia degli alloggiamenti‟ (M. RIZZO, „Rivoluzione dei consumi‟, „state building‟ e „rivoluzione militare‟. La domanda e

l‟offerta di servizi strategici nella Lombardia spagnola, 1535-1659, in Tra vecchi e nuovi equilibri economici. Domanda e offerta di servizi in Italia in età moderna e contemporanea, atti del convegno, Torino, 12-13 novembre

2004; ID., Alloggiamenti militari e riforme fiscali nella Lombardia spagnola fra Cinque e Seicento, Milano, Unicopli, 2001, p. 85)

2 G. ASSERETO-G. BONGIOVANNI, Sotto il felice e dolce dominio cit., p. 50. Un‟«esposizione» degli

Inquisitori di Stato ai Collegi del 22 novembre 1713 ribadisce che «risentono i ben stanti i danni presenti con la diminuzione de loro redditi minorati per la mancanza del presidio», e rivela anche come «i villani avvezzi a supplire a loro bisogni con la vendita de vini a bettolari, che a gara ne aumentavano la valuta, in quest‟anno non hanno ritrovato né ritrovano compratori» proprio per la diminuzione del numero dei soldati (ASG, Marchesato del Finale, 21). La presenza di cospicui apparati militari sortisce effetti positivi anche sull‟economia di molte aree del milanese (si veda in proposito M. RIZZO, Istituzioni militari e strutture socio-economiche in una città di antico regime. La milizia urbana a

Pavia nell‟età spagnola, in C. DONATI (a cura di), Eserciti e carriere cit., pp. 63-89; e ID. Militari e civili nello Stato di Milano durante la seconda metà del Cinquecento. In tema di alloggiamenti militari, in «Clio», XXII, 1987, 4, pp.

563-596).

3 C. PORQUEDDU, Amministrazione centrale e amministrazioni periferiche cit., p. 81 e 88.

4 A. ÁLVAREZ-OSSORIO ALVARIŇO, Gobernadores, agentes y corporaciones: la corte de Madrid y el

una preminenza di fatto accompagnata sovente da una solida base fondiaria e dalla partecipazione alla vita pubblica e alle attività economiche locali. La carica più ambita è quella di capitano di compagnia, «plaza clave, que permetía» l‟«obtención de diversas mercedes reales»5: è il caso di Geronimo Massa e Giuseppe Bergalli, che in occasione di una «muestra» del 16 maggio 1618 risultano a capo di due compagnie di un tercio di fanteria lombarda6; o di Giovanni Giorgio Brunengo, che guida una compagnia del reggimento di fanteria napoletana del principe di Sansevero “esaminata” il 31 luglio 16347. Altri ricevono il comando di compagnie della guarnigione finalese: come Giuseppe Locella, che in un atto del 15 maggio 1691 è qualificato «capitano per Sua Maestà Cattolica di una compagnia di infanteria italiana del tercio dell‟Illustrissimo Signor conte Bonezana al presente di presidio in questo Marchesato»8; mentre un paio di anni dopo (3 febbraio 1693) Giovanni Battista Buraggi ne comanda un‟altra - sempre di fanti italiani – composta da 54 uomini (di cui 4 «enfermos»)9. Prima di loro (8 ottobre 1642) il capitan Giacinto Franchelli di Calizzano riceve in affidamento dal Governatore Juan de Castro una compagnia di fanteria di 100 effettivi, «che si ha da levare in questo Marchesato»10; nei primi due

mesi del 1658 a Finale alloggia la compagnia di Giovanni Agostino Aicardo (che consta di 88 «bocas»)11; e il 17 marzo 1659 il Governatore milanese Fuenseldaña dà il permesso a Giovanni Battista Messea di formarne un‟altra perché «la placa y puestos del Final» ha «necessidad […] de mayor numero de gente»12. Ma la famiglia con maggiori tradizioni militari alle spalle è probabilmente quella dei De Giovanni del Borgo: con un attestato del 31 gennaio 1756 – rilasciato dalla deputazione del Marchesato – si certifica che nel secolo precedente Ferdinando è stato «capitano d‟infanteria della Corona di Spagna», e che suo padre Andrea ha ricoperto la carica di «sergente maggiore di Sua Maestà Cattolica nella città di Cremona»; «detta famiglia» - prosegue il documento - sarebbe «nobile oriunda della città d‟Anversa Fiandra Cattolica, e sempre ha servito nel militare la Corona di Spagna»13. L‟elenco potrebbe proseguire, soprattutto se si tenesse conto anche degli altri ufficiali (oltre che dei capitani). Senza contare che, oltre alle truppe regolari, a guardia delle fortezze sono impiegati anche reparti locali, e alla pari delle compagnie del presidio questa milizia è comandata da notabili finalesi, che approfittano della carica per sottrarsi ai loro obblighi contributivi14.

Preso possesso del feudo, gli spagnoli destinano inizialmente a presidiare le fortificazioni 270 soldati spagnoli15. Ma nei decenni successivi la guarnigione cresce considerevolmente di pari passo con il potenziamento del sistema difensivo del Marchesato: nel 1674 pare che il Borgo e i castelli di S. Giovanni e di Govone siano guardati da 500 uomini, mentre nelle fortezze della Marina ve ne sarebbero ben 1.50016; il 3 febbraio 1693 i soldati a difesa del Marchesato risultano essere in tutto 1.50317; e nel 1706, alla vigilia dell‟occupazione austriaca, la piazza è tenuta da quasi 2.200

5 Ibidem, p. 204.

6 AGS, Estado, Milán y Saboya, 1919. 7 AGS, Estado, Milán y Saboya, 3341. 8 ASS, Notai distrettuali, 1942.

9 ASCF, Camera, 84. Il documento indica che le compagnie presenti nel Marchesato sono in tutto 23. 10 ASG, Marchesato del Finale, 64. In cambio il Franchelli riceve 300 scudi (3 scudi per ogni soldato). 11 ADGG, Carte Alvarado Casado, 102.

12 ADGG, Carte Alvarado Casado, 99. Nella lettera si precisa che anche il fratello Giovanni Andrea è capitano di

compagnia.

13 ASCF, Marchesato, 27.

14 Il 21 settembre 1657 i membri del Consiglio locale decidono infatti di ricorrere al Governatore «acciò vogli

rimediare che li capi di casa sotto pretesto d‟assentarsi nelle compagnie de scelti non restino essenti da tassi da imponersi» (ASCF, Marchesato, 16). Gli «scelti» sono utilizzati anche per le operazioni sul campo: in una lettera senza data diretta a Milano il Governatore Helguero de Alvarado dice di aver ricevuto l‟ordine «de tener prontas las seys companias de scieltos por las noticias que se han tenido de la prevencion del enemigo» (ADGG, Carte Alvarado

Casado, 100). Sull‟ordinamento della milizia locale si veda R. MUSSO, Finale e lo Stato di Milano cit., p. 147.

15 J.L. CANO DE GUARDOQUI, La incorporación del Marquesado del Finale cit., p. 45.

16 Relazione dell‟ing. Gaspare Beretta, riportata in C. COLMUTO ZANELLA–L. RONCAI, I rapporti, cit., p.

128.

militari18. Il numero degli effettivi è però soggetto a grosse oscillazioni: il 20 marzo 1657 il Governatore Helguero de Alvarado comunica al suo “superiore” milanese che i soldati della guarnigione «solo son 600, y los mas de poco serbicio»19; nel febbraio 1668 padre Bernardino Leoni del convento di Noli informa che «nelle fortezze vi è di presente poco presidio», e «alla Marina non eccederà il numero di 250 in 300»20; viceversa una lettera del fiscale diretta a Milano il 3 maggio 1695 parla addirittura di 4.000 soldati (ma forse tiene conto anche delle truppe in transito)21. Di sicuro, le frequenti minacce di invasioni franco-piemontesi costringono i governanti spagnoli a tenere ancor meglio presidiati i forti, e nei periodi di guerra l‟invio di rinforzi dallo Stato di Milano e dagli altri domini della Corona influisce sulla consistenza della guarnigione22; mentre con l‟insediamento degli ufficiali dell‟imperatore e l‟avvio delle trattative per arrivare a una pace europea le preoccupazioni difensive si fanno meno pressanti: l‟informazione presentata ai Collegi il 16 aprile 1709 da Carlo Spinola conta poco più di 700 soldati, sparsi fra i vari castelli23. Tuttavia è lecito nutrire qualche dubbio sull‟attendibilità di queste fonti, il che rende difficile fornire dati precisi24.

Il presidio finalese è pagato dalla Tesoreria dello Stato di Milano25. Già nell‟“investitura” del primo Governatore spagnolo don Pedro de Toledo y Añaya il re afferma di aver «comitido y ordenado al conde de Fuentes mi capitano general del […] Estado de Milan que tenga cuidado de hazer proveher de aquel Estado las pagas y las otras cosas necessarias para la sustentacion y defensa del [...] Estado, castillos y tierras del Final»26. E in una lettera del dicembre 1602 il segretario di guerra del Governatore milanese comunica al Toledo che «el conde mi Señor desea tener muy particolar relazion de las rentas de este Estado […] de manera que se pueda saber la renta que tiene en este Estado Su Magestad para ver quanto sera menester proveder cada año»27. I soldi arrivano davvero: il 31 dicembre 1657 il Governatore Alvarado ringrazia il conte di Fuenseldaña per «haver ordenado se libren 1.000 escudos para remediar a la necesidad deste presidio»28; il 2 settembre 1672 il duca di Ossuna informa il Magistrato Ordinario che ogni mese sono destinate «per soccorso della piazza del Finale» 2.642 lire, 13 soldi e 11 denari, «solite pagarsi sempre dalla città di Milano a conto del suo mensuale»29; e il 22 maggio 1692 il tesoriere del Marchesato Giacinto Folco dichiara di fronte al cancelliere camerale di aver fatto depositare in castel Govone - «et ivi nel magazzino numero cinque» - due «casciette», una contenente 2.000 scudi d‟argento e l‟altra 1.000, che sono «l‟istessi denari venuti dal Stato di Milano et da Sua Eccellenza qui rimessi a disposizione di questo Illustrissimo Signor conte don Giovanni Francesco Arese generale dell‟artiglieria»30. Le cose non cambiano neppure con la smobilitazione degli spagnoli: come conferma nel 1709 lo Spinola, «tutti [i] soldi si pagano dalla Camera di Milano, come si paga tutto il resto de soldati, quali per il meno arrivano a 1.500 lire, et alle volte sono 2.000»; e in una relazione elaborata dai finalesi per il duca di

18 1.300 grigioni, 320 spagnoli, 250 lombardi e 300 francesi (R. MUSSO, Finale cit., p. 147).

19 ADGG, Carte Alvarado Casado, 99. Nell‟occasione il Governatore afferma che «de gente son menester […]

por lo menos 2.000 efectibos». Qualche anno prima (13 agosto 1646) le compagnie di stanza nel Marchesato sono in tutto 11 (5 di spagnoli, 4 di italiani e 2 di tedeschi), per un totale di 822 uomini (ADGG, Carte Alvarado Casado, 100).

20 ASG, Marchesato del Finale, 12. 21 ASCF, Camera, 91.

22 Per altri dati sulla consistenza numerica del presidio finalese nel Seicento si veda la tabella riportata in

appendice a D. MAFFI, Alle origini del “camino español” cit., p. 149.

23 ASG, Marchesato del Finale, 20. Secondo lo Spinola in castel Govone «vi sta di continuo un presidio di 200

soldati», castel San Giovanni «non ha che due o tre pezzi d‟artiglieria, con un presidio di soli 25 soldati», e castel Franco è guardato da «500 soldati, […] oltre la solita guardia, che ogni sera vi manda di più».

24 M. RIZZO, Alloggiare in casa d‟altri. Le implicazioni economiche, politiche e fiscali della presenza militare

asburgica nel territorio finalese fra Cinque e Seicento, in P. CALCAGNO (a cura di), Finale fra le potenze di antico regime cit., p. 81.

25 D. MAFFI, Alle origini cit., p. 139.

26 ASM, Feudi imperiali, 282. Il documento è datato 10 ottobre 1604. 27 ASCF, Governatori, 1.

28 ADGG, Carte Alvarado Casado, 100. 29 ASM, Militare parte antica, 326. 30 ASS, Notai distrettuali, 1851.

Savoia nel 1712 si spiega che «il reddito del Marchesato […] s‟impiega per l‟ordinario nella manutenzione degl‟ufficiali e ministri e presidio de castelli, suplendo nel restante il Stato di Milano»31.

Ma il meccanismo spesso si inceppa: dopo l‟ultima bancarotta del regno di Filippo II e la morte del «re prudente», la Hacienda castigliana non è più in grado di garantire alla Regia Camera milanese l‟afflusso delle ingenti somme ad essa indispensabili; da ciò deriva il cronico stato di emergenza in cui operano gli uffici finanziari del Ducato, sulle cui spalle ricade la completa responsabilità di provvedere alle truppe dislocate sul territorio (e appunto di pagare i presidi «aderenti» allo Stato come quello di Finale)32. Non sempre dunque il soldo arriva in tempo e con regolarità, e questo – come vedremo – dà spesso adito a diserzioni, fughe, ammutinamenti. L‟unico salvagente, in molte circostanze, si rivela il Viceregno di Napoli, che difatti è stato definito dalla recente storiografia la «Castiglia italiana della Corona»33. La Lombardia si trova fin dal Cinquecento nella condizione di dover ricevere «provisiones de guerra» dalla capitale meridionale34, che diventa ben presto la base per il sostegno logistico, militare, economico e

finanziario dello Stato ambrosiano: fra il 1631 e il 1644 Napoli concorre con quasi dodici milioni di ducati al fabbisogno milanese35; e spesso arrivano soldi anche dalla Sicilia, che ad esempio tra il 1620 e il 1650 contribuisce per parte sua per non meno di dieci milioni di scudi36. L‟altra soluzione è quella di ricorrere al credito privato: «dedicare i ricchi carichi d‟argento e d‟oro della Nuova Spagna e del Perù ai mercanti genovesi, che anticipano […] il denaro per le paghe dell‟esercito»37.

Ad ogni modo, per la maggioranza della popolazione del Finale le parole presidio e soldati significano alloggiamenti forzati, soprusi, maltrattamenti, ricatti. Insomma, un dramma sociale quotidiano, fattore di molteplici e non trascurabili disagi. «La maggiore et più sentita gravezza che si provi in questo Stato»38, «la cosa del mundo que mas temen»39. La realtà è sotto gli occhi di tutti, e non la possono negare neppure le alte cariche istituzionali milanesi. I dati riportati nella relazione del luglio 1641 dal Presidente del Magistrato Ordinario Nicolò Leizaldi sono espliciti: a causa del contagio introdotto da alcuni soldati fiorentini alloggiati in passato nel Marchesato sono morte più di 3.000 persone40; solo nell‟ultimo anno si sono ospitati 11.530 soldati, e sono sbarcati «in varie occasioni 5.000 soldati infermi»; inoltre, «dal 1636 in qua», i finalesi hanno speso per gli

31 AST, Paesi, Genova, Riviera di Genova-Finale, mazzo 4.

32 M.C. GIANNINI, Città e contadi dello Stato di Milano nella politica finanziaria del conte di Fuentes (1600-

1610), in E. BRAMBILLA-G. MUTO (a cura di), La Lombardia spagnola cit., p. 191.

33 G. GALASSO, Economia e finanze nel Mezzogiorno tra XVI e XVII secolo, in ID., Alla periferia dell‟Impero

cit., p. 216.

34 M. RIZZO, Porte, chiavi e bastioni cit., pp. 496-507.

35 L. DE ROSA, L‟ultima fase della guerra dei Trent‟anni e la crisi economico-finanziaria e sociale del Regno

(1630-1644), in ID., Il Mezzogiorno spagnolo tra crescita e decadenza, Milano, Il Saggiatore, 1987, p. 188.

36 M. AYMARD, I genovesi e la Sicilia durante la guerra dei Trent‟anni cit., p. 988. 37 F. CHABOD, Lo Stato e la vita religiosa a Milano nell‟epoca di Carlo V cit., pp. 52-53.

38 AGS, Visitas de Italia, 267; citato in M. RIZZO, «La maggiore, et più sentita gravezza, che si provi in questo

Stato». Oneri militari, politica fiscale e corpi contribuenti nella Lombardia spagnola (1550-1620), in La fiscalità nell‟economia europea. Secc. XII-XVIII, XXXIX settimana di studi, Istituto internazionale di Storia economica «F.

Datini», Prato, 22-25 aprile 2007.

39 AGS, Estado, 1254; citato in M. RIZZO, «A forza di denari» e «per buona intelligenza co‟ prencipi». Il

governo di Milano e la Monarchia di Filippo II, in Tra vecchi e nuovi equilibri. Domanda e offerta di servizi in Italia in età moderna e contemporanea, Atti del quinto Convegno Nazionale, Cacucci editore, Bari, 2007, p. 305.

40 Il contagio risalirebbe al 1631, quando – per l‟appunto – passa dal Finale una compagnia di fanti toscani diretti

in Germania (vedi R. MUSSO, op. cit., p. 150-151). L‟area dalla quale si sviluppa il morbo è quella della villa di Varigotti, bandita dal Governatore fin dal 30 gennaio 1631 (ASCF, Marchesato, 4). L‟8 settembre il capitano di giustizia riferisce al Governatore di Milano che la peste ha raggiunto il Borgo e «algunas sus villas» (ASM, Feudi

Imperiali, 282); e dal 6 di quello stesso mese (e fino al 12 febbraio dell‟anno successivo) anche il parroco della Marina

Pietro Malvasia annota sui fogli del suo registro «tempore pestilentie» (ADS, Parrocchia di Finalmarina, Finale

Ligure, Battesimi 1623-1643). Per alcuni dati sul numero delle vittime da contagio nel Borgo vedi M. SCARRONE, Documenti sull‟architettura barocca nel savonese: la collegiata di S. Biagio in Finalborgo e la costruzione della parrocchiale di S. Nicolò in Albisola, in «Atti e memorie della Società savonese di storia patria», n.s., XIII, 1979, p.

accampamenti ben 69.000 scudi (qualcosa come 400.000 lire di Genova)41. E poi il territorio finalese è poco adatto a ricevere contingenti di soldati numerosi come quelli che il re ha bisogno di mobilitare per le sue guerre europee. In un memoriale diretto a Milano e datato 26 marzo 1607, l‟oratore Giovanni Vincenzo Bosio richiede il «solievo d‟alloggi», allegando che quelli del Marchesato sono «vilaggi sbaratati, [con] una casa in qua e l‟altra in là molto lontano», e che nel Borgo sono disponibili «dodici case in circa comode», mentre «l‟altre son piccoline de poveri arteggiani che si campano alla giornata»42. Un altro documento finalese, esaminato dal Governatore milanese nell‟agosto 1611, sostiene che in occasione del «passato alloggiamento de soldati fatto in quel Marchesato si è visto per isperienza di quanto danno e rovina sia stato a quelli huomini»; l‟arrivo delle truppe del re «non solamente ha consumato le poche loro facoltà, essendo in grandissima parte agricoltori e che habitano in piccolissime case, anzi tuguri senza utensili, e que‟ pochi vivissimi; […] ma anco ha caosato la perdita de habitanti, che per disaggi patiti per detto alloggiamento e altri disgusti havuti sono morti»43. E il 13 aprile 1642 i sindaci locali, «esausti e consumati dalli alloggiamenti, […] a segno tale che non hanno forza né possibilità di sostener tanto carico», propongono di utilizzare «l‟hospitale o sia quartiero nuovamente fabbricato» alla Marina in modo da liberare gli abitanti del Marchesato dall‟obbligo di ospitare i soldati44.

Di sicuro si tratta di fonti indiscutibilmente di parte, che richiedono un severo vaglio critico, e che rientrano perfettamente nella dialettica tipica delle rimostranze di natura fiscale45: nella fattispecie, spesso si ha l‟impressione di trovarsi di fronte a memoriali un po‟ barocchi, gonfiati ad arte dai loro autori per convincere i “padroni” spagnoli a deviare i flussi su altri scali46. Ma in verità sono gli stessi ufficiali ispano-milanesi a denunciare le scarse capacità ricettive del Finale: a pochi anni dall‟insediamento della guarnigione (1607) l‟avvocato fiscale non nasconde affatto «l‟impossibilità de questi villaggi [di alloggiare i soldati], esendo tanto miserabili e poveri che non hanno la maggior parte di loro modo di dormire se non nella paglia»47; e intorno alla metà del secolo - forse il periodo più caldo sul fronte degli alloggiamenti - l‟allora Governatore marchese di Velada ammette che

far alogiamento in detto Marchesato è di maggior danno di quello si può splicar [spiegare], et anco resta incommodissimo alla gente di guerra che alloggiarno sempre malamente, come puono far fede il detto Governatore [di Finale] et gli stesi che vi hanno alogiato48.

Finale viene utilizzato per acquartierare le truppe in transito fin dal Cinquecento (quando il re