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3.10.1 GRAVIDANZA

La TEP in gravidanza è la principale causa di mortalità materna nei paesi industrializzati ed il rischio di TEP è maggiore nel periodo post-partum, specie se cesareo; la gravidanza non altera la clinica dell’embolia polmonare, ma un insieme di accorgimenti devono essere presi (ad esempio l’emogasanalisi deve essere fatta necessariamente in posizione seduta o in ortostatismo, in quanto, specie nel terzo trimestre, la pressione parziale dell’ossigeno può risultare minore in posizione supina). Dati sulla validità degli score predittivi clinici in gravidanza necessitano di essere confermati da studi prospettici su larga scala.

DIAGNOSI: più che mai l’iter diagnostico dovrebbe poter portare ad una certezza diagnostica, vista la presenza di tutta una serie di problematiche legate alla gravidanza: il rischio di esposizione del feto alle radiazioni, il rischio di non riconoscere una patologia potenzialmente fatale e il rischio altrettanto elevato di sovrastimare la patologia con i rischi conseguenti legati alla terapia non corretta anticoagulante (impatto sul momento del parto, necessità di contraccezione futura e di tromboprofilassi nelle gravidanze future).

58 L’utilità del dosaggio del D-dimero in gravidanza ha delle limitazioni. Il NPV del D-dimero rimane elevato per poter escludere la diagnosi di EP, anche se i casi di negatività del D-dimero in questa condizione sono numericamente inferiori, visto il normale elevarsi di questo parametro in corso di gravidanza: studi ulteriori sono necessari per validare dei cut-off superiori alla norma di D-dimero in corso di gravidanza. In caso di positività del D-dimero, l’iter diagnostico prevede l’esecuzione di una CUS per identificare una TVP prossimale: in caso di positività l’imaging toracico non è necessario dal momento che è comunque richiesta una terapia anticoagulante, in caso di negatività l’iter diagnostico deve proseguire.

La tabella successiva mostra le dosi di radiazioni ricevute dal feto a seconda della metodica di imaging utilizzata. [79, 80]

Figura 13 - Dosi radioattive ricevute dal feto (da "linee guida ESC 2014")

La scintigrafia polmonare (preferibilmente senza la sequenza ventilatoria) dovrebbe essere preferita, quando possibile, alla TC in quanto risparmia l’esposizione di radiazioni al seno e il piccolo, ma pur sempre significativo, rischio di sviluppare cancro al seno durante la vita della donna [81].

TRATTAMENTO: il trattamento del TEV in gravidanza è basato sull’uso di eparina in quanto non attraversa la placenta e si ritrova nel latte materno a dosi basse e insignificanti; le LMWH, con dose peso-correlata, sono state approvate come trattamento sicuro in gravidanza, eventualmente associando un dosaggio dell’attività anti-Xa in particolari situazioni come peso corporeo ad entrambi gli estremi, alto e basso, o alterazioni della funzione renale, ma solitamente il monitoraggio di routine non è raccomandato. Le UFH non sono controindicate in gravidanza, tuttavia hanno un rischio maggiore di osteoporosi a lungo termine e la loro infusione necessita di monitoraggio dell’aPTT e del PT. I VKA non possono essere utilizzati in gravidanza in quanto determinano un’accertata patologia sul feto, specie nel primo trimestre, oppure anche nel terzo trimestre in cui possono determinare distacco di placenta o emorragia fetale o neonatale; possono inoltre determinare alterazioni del sistema nervoso centrale in qualsiasi momento della gravidanza. I NAO sono controindicati durante la gravidanza.

59 In seguito al parto, l’eparina può essere sostituita dai VKA per una durata di almeno 6 settimane dopo il parto e per una durata complessiva di trattamento di almeno 3 mesi. I VKA possono essere somministrati durante il periodo di allattamento.

3.10.2 CANCRO

Il rischio di TEV in pazienti con malattia neoplastica attiva è più elevato di quello della popolazione generale; nonostante in assoluto i tumori maggiormente associati a TEV siano quello del polmone, del colon e della prostata, il rischio relativo di TEV più elevato si registra nel mieloma multiplo, tumore dello stomaco, tumori cerebrali e del pancreas. In fase metastatica anche i tumori dell’utero, vescica, stomaco e del rene sono associati a rischio elevato di TEV. Pazienti che sono in trattamento con chemioterapia hanno un rischio aumentato di 6 volte di sviluppare TEV.

Tuttavia, una profilassi con anticoagulante non è routinariamente considerata in pazienti neoplastici ed è stato inoltre dimostrato che le LMWH o i VKA non sono efficaci nel prevenire il TEV in pazienti neoplastici portatori di catetere venoso centrale [82].

Il rischio di TEV è inoltre 90 volte più elevato nelle prime 6 settimane dopo un intervento per cancro e questo rimane elevato per i 12 mesi successivi.

Circa il 10% dei pazienti con diagnosi di TEP acuta “non provocata” sviluppano un tumore entro 5-10 anni dalla diagnosi, prevalentemente nell’anno o nei due anni successivi; tuttavia le evidenze a favore dello screening per cancro occulto in seguito a TEV non provocato sono inconclusive. Uno studio del 2005 proponeva come approccio più efficace uno screening basato su TC addominale e pelvica, mammografia e citologia su espettorato; tuttavia in un altro studio veniva comparato questo tipo di screening al semplice esame obiettivo clinico e non è stata rilevata una differenza significativa in termini di sopravvivenza a 5 anni [83].

DIAGNOSI: la presenza di malattia neoplastica attiva è considerata tra le voci degli score predittivi clinici pre-test; in questa condizione il D-dimero continua ad avere un valore predittivo negativo elevato per poter escludere la diagnosi di TEP in caso di sua negatività, mentre non è specularmente aumentato in modo specifico in pazienti con cancro: in uno studio si utilizzava o una soglia di D-dimero aggiustata per l’età o un cut-off di 700 microgrammi/L con un incremento dei casi in cui la TEP poteva essere esclusa e con un numero di falsi negativi ritenuto accettabile; nonostante ciò l’uso del D-dimero in questi pazienti deve essere validato da ulteriori studi.

L’uso sempre maggiore della TC ha portato ad un aumento delle diagnosi di embolia polmonare incidentale e asintomatica in pazienti con cancro in corso di follow-up, anche se il loro significato clinico, specie se segmentali o subsegmentali, rimane ancora controverso; tuttavia, visto il rischio elevato di recidiva e di

60 outcome avverso, la tendenza è quella di trattare queste embolie polmonari allo stesso modo di quelle sintomatiche basate su sospetto clinico.

La malattia neoplastica è un fattore di rischio per outcome avverso nella TEP acuta. In un’analisi del registro mondiale RIETE su 35539 pazienti (di cui 6075 con cancro) si valutava la mortalità totale ed EP-correlata in pazienti che avevano ricevuto una diagnosi di TEV sintomatico nei precedenti 3 mesi: i pazienti con TEV, ed in particolare quelli con cancro, hanno un rischio aumentato di recidiva, sanguinamenti maggiori e aumento della mortalità a medio e lungo termine. La mortalità totale in tutta la popolazione RIETE era del 7,9% e del 1,4% quella correlata ad EP: la percentuale di decessi nel gruppo dei pazienti neoplastici era significativamente maggiore (26,4% versus 4,1% nel gruppo dei non neoplastici), in cui la mortalità EP- correlata era del 3%. In questo studio si dimostrava come il cancro attivo fosse il fattore di rischio indipendente più incisivo ed in particolare, tra questi pazienti, l’outcome era peggiore in presenza di immobilità, malattia in stadio avanzato, malattia polmonare cronica, età avanzata e EP come prima manifestazione del TEV [84].

TRATTAMENTO: la terapia di prima linea per l’embolia polmonare cancro-associata dovrebbe essere quella con LMWH somministrate a partire dalla fase acuta (ad eccezione dell’embolia polmonare “ad alto rischio”) per un periodo di 3-6 mesi e con un rischio di recidiva osservato ridotto del 50% in assenza di un aumentato rischio di sanguinamento, in comparazione con la transizione precoce a VKA. Il trattamento anticoagulante in cronico potrebbe consistere nel continuare la terapia con LMWH, nello switch a VKA o nell’interruzione della terapia, basandosi su una rivalutazione periodica del successo della terapia antineoplastica, del rischio di recidiva e del sanguinamento e sulle necessità del paziente. Le evidenze sul trattamento dell’embolia polmonare cancro-correlata con fondaparinux sono limitate.

Un passo avanti nell’impiego dei NAO nel trattamento dell’EP cancro-correlata è stato fatto dallo studio “Hokusai-VTE CANCER” con un trial randomizzato, in doppio-cieco, di non inferiorità in cui si è dimostrato che il trattamento con edoxaban per os era non-inferiore a quello con dalteparina per via sottocutanea considerando come outcome primario composito la ricorrenza di TEV nel periodo di osservazione e i sanguinamenti maggiori nel periodo di 12 mesi successivi all’inizio della terapia indipendentemente dalla sua durata [69].

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