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3.9 TRATTAMENTO

3.9.1 STRATEGIE TERAPEUTICHE IN FASE ACUTA

L’immagine nella pagina successiva raffigura l’algoritmo terapeutico con le varie alternative, in pazienti a cui è stata diagnosticata una TEP acuta, distinguendo la TEP in base alla presenza o meno di shock o ipotensione persistente in due categorie principali e queste ultime in sottocategorie in base alla stratificazione pronostica della patologia.

La TEP ad elevato rischio di mortalità precoce necessita un trattamento immediato, in quanto si associa ad elevato rischio di mortalità ospedaliera, soprattutto nelle prime ore dall’ammissione all’assistenza medica. In questi pazienti, oltre al supporto respiratorio ed emodinamico, è necessario somministrare eparina non- frazionata come prima anticoagulazione, dal momento che le eparine a basso peso molecolare e il fondaparinux non sono stati studiati in questo setting particolare. La terapia riperfusoria primaria è il trattamento di scelta in pazienti con TEP ad alto rischio, in particolare la trombolisi sistemica. In caso di controindicazioni alla fibrinolisi sistemica o allo sviluppo di scompenso emodinamico in caso di suo fallimento, alternative a questo trattamento sono l’embolectomia chirurgica, se un team multidisciplinare comprensivo di chirurgo toracico è disponibile, o la fibrinolisi locale percutanea transcatetere.

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Figura 11 – Algoritmo terapeutico della TEP acuta (da “linee guida ESC 2014”)

La causa principale di morte in pazienti con TEP acuta ad alto rischio è la disfunzione ventricolare destra acuta. La rianimazione fluidica non sembra essere di beneficio in questi casi, potendo peggiorare la funzione del RV causando eccessivo stiramento delle fibre muscolare dei miociti e innescando meccanismi riflessi che inibiscono l’output cardiaco. L’uso di farmaci vasopressori sembra necessario in aggiunta (o mentre si attendono) ai trattamenti definitivi di fibrinolisi locale o sistemica o di embolectomia chirurgica: la norepinefrina (NE) sembra aumentare la funzione ventricolare destra per un effetto diretto inotropo positivo e per una stimolazione degli alfa-periferici che determinano un aumento della pressione sanguigna, che migliorerebbe anche la perfusione coronarica. D’altro canto, aumentando eccessivamente l’indice cardiaco (un parametro che deriva dal rapporto tra la gittata cardiaca in L/min e la superficie corporea in m2) è possibile che si aggravi il mismatch ventilazione-perfusione, dal momento che si attua un ulteriore

49 L’epinefrina (E) sembra racchiudere i benefici della NE e della dobutamina, senza l’effetto di vasodilatazione sistemico di quest’ultima. L’uso di vasodilatatori porterebbe a riduzione delle resistenze polmonari vascolari e della pressione in arteria polmonare, tuttavia un problema legato a questi trattamenti è la mancanza di specificità per i vasi polmonari di questi farmaci. L’inalazione di ossido nitrico (NO) può migliorare lo stato emodinamico e lo scambio di gas nel paziente ad alto rischio. Dati preliminari suggeriscono che l’uso del levosimendan possa aumentare l’accoppiamento tra il ventricolo destro e l’arteria polmonare, riducendo in questa ultima le resistenze vascolari e avendo effetto inotropo positivo [57].

L’ipossiemia e l’ipocapnia sono di frequente riscontro, anche se spesso di modesta entità anche nel paziente con TEP ad alto rischio. La presenza di un forame ovale pervio potrebbe aggravare lo stato ipossico nel momento in cui la pressione atriale destra eccede quella atriale sinistra. L’ipossiemia solitamente recede con la somministrazione di ossigeno; la necessità e l’impiego di ventilazione meccanica se richiesta potrebbe avere delle ripercussioni sull’emodinamica, in quanto la pressione positiva intratoracica riduce il ritorno venoso al cuore destro, potendo peggiorare la sua funzione; di conseguenza dovrebbe essere utilizzata con cautela la pressione positiva di fine espirazione e un basso volume tidale.

In pazienti con TEP acuta la terapia anticoagulante è raccomandata, per prevenire una recidiva sintomatica o fatale di TEV e per prevenire la mortalità precoce, intraospedaliera e a 30 giorni dalla diagnosi. La durata minima consigliata della terapia anticoagulante è di 3 mesi. In questo periodo, il trattamento della fase acuta è con anticoagulante per via parenterale, per i primi 5-10 giorni, a cui si sovrappone l’introduzione di un antagonista della vitamina K o di un NAO (rivaroxaban o apixaban) o a cui alternativamente segue l’introduzione di uno tra gli altri NAO (se si sceglie terapia con dabigatran o edoxaban). In caso di rivaroxaban o apixaban il trattamento orale dovrebbe essere iniziato direttamente dopo 1-2 giorni di eparina parenterale con una dose aumentata dell’anticoagulante orale rispettivamente per le prime 3 settimane e per i primi 7 giorni. In alcuni casi può essere decisa un’estensione della terapia anticoagulante oltre i 3 mesi a durata indeterminata per la prevenzione secondaria, decisa sulla base di una rivalutazione periodica del paziente e della condizione clinica del paziente, bilanciando il rischio di recidiva e il rischio, da non sottovalutare, di sanguinamenti maggiori in corso di terapia anticoagulante.

In pazienti con EP ad alto rischio in cui è indicata la terapia riperfusoria primaria, la terapia anticoagulante consigliata è con eparina non frazionata (UFH), così come nei pazienti con IRC severa e obesità, considerando la breve emivita del farmaco, la facilità del monitoraggio (eseguito, anche per l’aggiustamento della dose somministrata, attraverso schemi terapeutici basati sul valore di aPTT) e la possibilità di antagonizzare il suo effetto con solfato di protamina. Qualora possibile, l’eparina frazionata a basso peso molecolare o il fondaparinux sono da preferirsi per il minor rischio di sanguinamento e di trombocitopenia eparino-indotta.

Il trattamento di trombolisi ristabilisce la perfusione più rapidamente della sola eparina non frazionata, portando ad una riduzione delle resistenze vascolari in arteria polmonare, del post-carico ventricolare

50 destro e portando ad un miglioramento della funzione del RV. Più del 90% dei pazienti risponde alla terapia fibrinolitica, come dimostrato da uno studio sul miglioramento ecocardiografico nelle 36 ore successive alla terapia [58]. Il miglioramento in termini di sopravvivenza è più evidente nei primi giorni di trattamento con un beneficio massimo se il trattamento è iniziato entro 48 ore dall’inizio dei sintomi; tuttavia la fibrinolisi può rivestire un ruolo utile anche in pazienti con sintomi da 6-14 giorni [59]. L’eparina non frazionata deve essere sospesa durante il trattamento con streptochinasi o urochinasi, mentre può essere proseguito durante la somministrazione di rtPA (attivatore tissutale del plasminogeno ricombinante). In uno studio epidemiologico sulla mortalità intra-ospedaliera, è risultato che la mortalità attribuita alla EP in pazienti emodinamicamente instabili era inferiore se la terapia con trombolisi era eseguita, rispetto al controllo in cui non era eseguita [60]. In questo setting, molte tra le controindicazioni alla fibrinolisi dovrebbero essere considerate relative in pazienti in pericolo di vita per EP ad alto rischio.

Il trattamento chirurgico di embolectomia si rende necessario solo raramente e necessita di un team multidisciplinare e la disponibilità di un servizio all’avanguardia di chirurgia toracica o cardiochirurgia. L’indicazione principale è la controindicazione assoluta alla terapia medica fibrinolitica o una mancata risposta/fallimento della fibrinolisi; l’indicazione è ristretta in quanto è una procedura che comunque si associa ad elevata mortalità procedura-correlata. [49]

Il trattamento percutaneo catetere-guidato rappresenta un’alternativa in pazienti con controindicazione alla trombolisi sistemica, in cui una trombolisi locale è preferita. L’obiettivo è quello di rimuovere i trombi nelle arterie polmonari principali per ridurre il post-carico ventricolare destro e migliorare i sintomi e la sopravvivenza. Il tasso di miglioramento (che include la stabilizzazione emodinamica, la risoluzione dell’ipossia e l’aumento della sopravvivenza) è stato del 87% in pazienti sottoposti a trombolisi locale catetere-guidata.

I filtri cavali (device con reti a maglie di varie dimensioni) sono solitamente posizionati nella porzione sottorenale della vena cava inferiore o nella porzione sovrarenale (se un trombo è identificato nella vena renale) in pazienti con EP acuta e controindicazioni assolute alla terapia anticoagulante o in pazienti con documentate recidive di TEP in regime di corretta terapia anticoagulante. Studi dimostrano che i filtri cavali possono ridurre la mortalità EP-legata in fase acuta, a fronte però di un rischio aumentato di recidive di TEV. Complicanze legate all’uso di filtri cavali sono comuni, ma raramente fatali; la trombosi nel sito di inserzione si verifica nel 10% dei casi; complicanze tardive sono le recidive di TEV in circa il 20% dei pazienti e l’occlusione della vena cava inferiore nel 22% a 5 anni e nel 33% a 9 anni. [61, 62]

La TEP non ad alto rischio di mortalità precoce si presenta clinicamente senza shock o ipotensione persistente ed è prognosticamente sub-classificata in EP a rischio basso e a rischio intermedio (a sua volta diviso in intermedio-alto e intermedio-basso) attraverso l’utilizzo di score validati, come ad esempio il PESI o il sPESI. Nella maggior parte dei casi, in assenza di instabilità emodinamica, il trattamento di scelta in questi pazienti, in cui raramente è richiesto anche il supporto respiratorio o ancora più raramente il

51 supporto emodinamico, è l’eparina a basso peso molecolare (con dose aggiustata in base al peso corporeo) o il fondaparinux.

Pazienti a basso rischio, Classe I o II PESI e probabilmente pazienti con sPESI uguale a 0, dovrebbero essere considerati arruolabili per la dimissione e per il trattamento a domicilio. Qualora siano effettuati accertamenti ecocardiografici e dosati i biomarkers di sovraccarico ventricolare, devono essere entrambi negativi; pazienti PESI I o II con elevati biomarkers o segni di disfunzione ventricolare destra devono essere considerati a rischio intermedio-basso.

Pazienti a rischio intermedio (classe III o IV PESI o sPESI maggiore o uguale a 1) in cui siano presenti sia una disfunzione ventricolare destra (valutata con ecocardiogramma o TC) e elevazione dei biomarkers di danno cardiaco o sovraccarico ventricolare sono considerati a rischio “intermedio-alto”; in questi pazienti la trombolisi sistemica non è consigliata come primo step terapeutico in quanto si associa ad un rischio elevato di stroke emorragico e a sanguinamenti maggiori non intracranici, tuttavia deve essere considerata in presenza di instabilità emodinamica.

Pazienti normotesi in Classe III o superiore PESI o con un sPESI di almeno 1 con un’accertata disfunzione ventricolare destra o un elevato biomarker di danno cardiaco o sovraccarico ventricolare o con entrambe queste due valutazioni negative, appartengono al gruppo a rischio “intermedio basso”; in questi pazienti è indicata una terapia con anticoagulante; in questi pazienti non è indicata la terapia primaria di riperfusione.

In pazienti con TEP acuta senza instabilità emodinamica, il trattamento cardine e primo step terapeutico è la terapia con anticoagulante. Lo scopo della terapia anticoagulante non è di trattare l’embolia polmonare, ma la prevenzione delle recidive le quali, soprattutto nelle prime settimane dalla diagnosi, sono molto frequenti e potenzialmente fatali. In tal senso possiamo parlare di profilassi secondaria. La durata standard della terapia anticoagulante è di 3 mesi. Durante la fase acuta il trattamento previsto è con anticoagulante per via parenterale: UFH, LMWH o fondaparinux durante i primi 5-10 giorni. Il trattamento con anticoagulante parenterale è indicato, senza che sia rimandato, nel paziente con probabilità clinica alta e intermedia pre-test, durante lo svolgimento del work-up diagnostico [63].

Successivamente, un’opportunità è intraprendere una terapia sovrapposta con eparina e antagonisti della vitamina K (VKA) per via orale, raggiungendo un INR di 2,5 (tra 2,00 e 3,00). L’eparina viene somministrata per almeno 5 giorni e fino a che l’INR sia tra 2,00 e 3,00 per almeno due giorni consecutivi [64]. Il warfarin può essere iniziato alla dose di 10 mg in pazienti sani e < 60 anni, altrimenti alla dose di 5 mg in pazienti con comorbidità, ospedalizzati o > 60 anni. La dose da somministrare viene rivalutata su base settimanale in base al dosaggio del INR, che deve rimanere stabile tra 2,00 e 3,00. [1]

L’eparina indicata per il trattamento parenterale può essere una LMWH o il fondaparinux. La tabella successiva elenca le LMWH e il fondaparinux, approvati per il trattamento dell’embolia polmonare. Le LMWH non necessitano di un monitoraggio periodico, mentre durante la gravidanza potrebbe essere indicata la misurazione dei livelli di attività anti-Xa. [1] Il fondaparinux è un inibitore selettivo del fattore Xa,

52 somministrato una volta al giorno per via sottocutanea con un dosaggio peso-correlato e non necessita di monitoraggio attivo, come le LMWH. Il fondaparinux è controindicato in pazienti con IRC severa in quanto aumenta il rischio emorragico e, anche in presenza di IRC moderata con ClCr tra 30 e 50 mL/min, il dosaggio deve essere ridotto del 50%. [1]

Figura 12 – LMWH e fondaparinux per il trattamento della TEP acuta (da “linee guida ESC 2014)

Un’alternativa alla combinazione tra eparina e VKA sono i NAO (nuovi anticoagulanti orali/Non-VKA anticoagulanti orali), che possono seguire il trattamento con eparina o sovrapporsi ad esso; può essere somministrato rivaroxaban (15 mg due volte al dì per 3 settimane, seguito dalla posologia 20 mg una volta al dì) [65] oppure apixaban (10 mg due volte al dì per 7 giorni, seguito dalla posologia 5 mg due volte al dì) [66] e la loro somministrazione può essere iniziata già dopo 1-2 giorni di terapia con UFH, LMWH o fondaparinux. In alternativa può essere utilizzato il dabigatran (150 mg due volte al dì o 110 mg due volte al dì in pazienti > 80 anni o in terapia con Verapamil) [67] o edoxaban [68], entrambi da somministrare in seguito al termine della terapia con anticoagulante per via parenterale. I NAO non sono indicati in pazienti con IRC severa, in particolare con ClCr <30 mL/min per rivaroxaban, dabigatran e edoxaban e <25 mL/min per apixaban [65, 66, 68].

Il dabigatran è stato posto a confronto con il warfarin nel trial randomizzato, in doppio-cieco, di non inferiorità “RE-COVER” su 2539 pazienti con TEV acuto, considerando come outcome primario il TEV ricorrente o l’EP fatale in 6 mesi di osservazione e come outcome di sicurezza i sanguinamenti maggiori; il trattamento con enoxaparina/dabigatran (150 mg in bi-somministrazione) si è dimostrato non-inferiore a quello con enoxaparina/warfarin con risultati simili riguardo all’efficacia e nessuna differenza significativa riguardo ai sanguinamenti maggiori, se non per una frequenza minore del numero totale dei sanguinamenti, maggiori e minori, con dabigatran [67].

53 Il rivaroxaban è stato posto a confronto con il warfarin (rivaroxaban 15 mg per os in bi-somministrazione per 3 settimane, passando poi a 20 mg in monosomministrazione versus enoxaparina/warfarin) nel trial “EINSTEIN-PE” che prevedeva una durata di trattamento variabile da 3 a 6 a 12 mesi in 4832 pazienti con TEP acuta e considerando come outcome primario di efficacia il TEV ricorrente o la TEP fatale e come outcome di sicurezza i sanguinamenti maggiori o i sanguinamenti non-maggiori clinicamente rilevanti; lo studio ha dimostrato la non-inferiorità del rivaroxaban dal punto di vista dell’outcome di efficacia, con frequenze simili di sanguinamenti considerati nell’outcome di sicurezza, salvo per un tasso di sanguinamenti maggiori inferiore con rivaroxaban rispetto al warfarin [65].

L’apixaban è stato posto a confronto con warfarin (apixaban 10 mg in bi-somministrazione per 7 giorni proseguendo con apixaban 5 mg sempre in bi-somministrazione per il restante periodo versus enoxaparina/warfarin) nel trial AMPLIFY durante un periodo di trattamento di 6 mesi in 5395 pazienti con TEP acuta considerando come outcome primario di efficacia il TEV ricorrente o la TEP fatale e come outcome di sicurezza i sanguinamenti maggiori da soli e insieme ai sanguinamenti non maggiori clinicamente rilevanti; lo studio ha dimostrato la non-inferiorità dell’apixaban rispetto al warfarin con una frequenza significativamente minore di sanguinamenti [66].

L’edoxaban è stato posto a confronto con il warfarin nel trial randomizzato in doppio-cieco di non- inferiorità “HOKUSAI-VTE” (LMWH/edoxaban 60 mg in monosomministrazione o 30 mg in monosomministrazione se la ClCr era tra 30 e 50 mL/min o il peso corporeo era <60 Kg versus UFH o enoxaparina/warfarin) in cui 8240 pazienti con TVP e/o TEP acuta erano trattati per un periodo di tempo variabile da 3 a 12 mesi considerando come outcome primario di efficacia il TEV ricorrente o la morte EP- correlata e come outcome primario di sicurezza i sanguinamenti maggiori e non-maggiori clinicamente rilevanti; lo studio ha dimostrato la non-inferiorità dell’edoxaban rispetto al warfarin con una frequenza minore di sanguinamenti maggiori o non maggiori clinicamente rilevanti rispetto al warfarin [68].

Nel paziente oncologico in fase attiva per molto tempo il trattamento di riferimento è stata la terapia con LMWH per periodi più lunghi rispetto a quelli standard dell’anticoagulante orale, ovvero per almeno 6 mesi, eseguendo la terapia a dose piena per il primo mese e riducendo poi al 75% della dose per il restante periodo. [49]

Gli investigatori dello studio “Hokusai-VTE CANCER” in un trial randomizzato, in doppio-cieco, di non inferiorità hanno dimostrato che il trattamento con edoxaban per os era non-inferiore a quello con dalteparina per via sottocutanea considerando come outcome primario composito la ricorrenza di TEV nel periodo di osservazione e i sanguinamenti maggiori nel periodo di 12 mesi successivi all’inizio della terapia indipendentemente dalla sua durata, ottenendo che la terapia con edoxaban si associava a minor ricorrenza di TEV, ma ad un tasso più elevato di sanguinamenti maggiori. In questo studio 1050 pazienti con embolia polmonare acuta sintomatica o di riscontro incidentale erano sottoposti per un periodo di almeno 6 mesi, e fino a 12 mesi, o ad un trattamento con LMWH per 5 giorni seguito da edoxaban 60 mg una volta al dì

54 oppure a dalteparina 200UI pro Kg una volta/die per il primo mese seguita da dalteparina 150 UI pro Kg una volta/die per il restante periodo [69].

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