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INFLUENZA Limitato Elevato

III.3 V ERSO S TATO C OLONIALE

III.5.1 Il Proto-nazionalismo

La convivenza pacifica e la mescolanza razziale furono le caratteristiche distintive dell’Impero portoghese che negli anni Novanta dell’Ottocento, con amministratori quali Enes, Albuquerque e Costa, riuscì a mascherare con uno sforzo minimo la disuguaglianza e il razzismo dilaganti nelle colonie. Con il tempo però fu palese agli occhi di tutti la precarietà dell’impianto luso- tropicalista. Non erano solo gli africani neri indigeni, bensì anche i mulatti e gli assimilati, ad essere considerati come facenti parte di classi sociali inferiori. I meticci, solitamente figli di una donna nera e un portoghese, costituivano una percentuale troppo bassa per poter riuscire ad avere un ruolo di rilevanza o costituire una vera e propria classe in grado di imporsi all’interno della gerarchia sociale, nonostante possedessero la cittadinanza e crescessero, dopo una prima fase di vita passata con la madre negli spazi a lei riservati, a stretta relazione con il mondo dei bianchi, in ambiente urbano e ricevessero un’educazione portoghese.

Nelle prime due decadi del XX secolo, la natura delle relazioni con l’altro si liberò dalle vesti del conflitto sociale e del contrasto culturale con cui cercava di coprirsi per manifestarsi in maniera crudele in quanto discriminazione razziale. La segregazione in Mozambico iniziò ad essere più evidente, con l’aumento del flusso di portoghesi che seguì lo smantellamento dei poteri locali e la conseguente necessità di consolidare l’«occupazione effettiva» del territorio. […], le posizioni di potere stabilitesi, insieme alla scarsità di europei in generale (specialmente di donne), diedero vita ad una élite a predominanza meticcia con legami familiari, politici, economici o militari con i lignaggi locali più importanti. Per eredità, per le relazioni stabilitesi, per la sua capacità di mediazione o per la sua iniziativa imprenditoriale, questa élite assunse un ruolo di rilievo nel commercio, incluso per il traffico umano, nel trasporto (principalmente nell’organizzazione delle carovane commerciali con l’entroterra), nell’amministrazione pubblica e nelle forze militari di reclutamento nella colonia. Facevano parte di questa élite anche degli africani neri che avevano studiato in scuole di missionari o che erano associati o operativi nelle attività economiche.(trad. mia, CABAÇO, 2009: 121)

I mulatti sembravano essere integrati alla società bianca avendo diritto di possedere terreni, di beneficiare del capitalismo mercantile e costituendo un fascia sociale vicina al potere decisionale avente un’importante grado di influenza e denominati già prima del 1890 come brancos da terra (LOBATO, 1953 in CABAÇO, 2009:122). Durante il XX secolo il Portogallo cercò di rendere il

Mozambico un luogo sempre più attrattivo promovendo il paese come il luogo in cui fosse facile aspirare a condizioni di vita migliori. Si costruì quindi nell’immaginario collettivo l’idea di un Mozambico dai connotati idilliaci spesso definito come la perla dell’Oceano Indiano,98 verso cui si

98Dall’articolo di B

RUGIONI,E.(2015) «Por detrás de tantos nome, o mar Moçambique e o Oceano Índico: discursos,

imaginariários e representações» in Via Atlântica, No. 27, pp. 95-112, emerge che usare l’aggettivo ‘perla’ per la definire e promuovere i paesi colonizzati non fosse qualcosa di relativo solo al caso del Mozambico. La studiosa riporta il caso

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mossero numerosi portoghesi che come gli stessi bianchi-della-terra lottavano per acquisire una migliore posizione economica e sociale. Una lotta impari che favorì i bianchi determinando un peggioramento delle condizioni degli altri lavoratori e che raggiunse il picco più basso con la crisi economica del Portogallo dopo la I Guerra Mondiale, restringendo ulteriormente i limiti di accesso a determinate posizioni di lavoro estendendosi ai mulatti e agli assimilati. Questo determinò però la nascita di una comune esigenza di lotta (HEDGES,1999)che nel 1906 si trasformò nel movimento

per la difesa dei diritti degli africani a cui venne associata la pubblicazione del O Africano, il giornale su cui vennero tracciate le linee programmatiche che successivamente il Grémio Africano de Lourenço

Marques (GALM), avrebbe seguito. Il GALM era un ente ad accesso riservato agli individui

appartenenti alla comunità nativa urbanizzata, sia neri che mulatti (MONDLANE 1975;HEDGES,1999;

CABAÇO,2009) che si schierò a favore dei lavoratori, sottolineando come il governo applicasse due

pesi e due misure sulla base di appartenenze razziali. Nel 1917 venne promulgata una nuova legislazione che stabiliva i termini giuridici dell’individuo di razza negra, nella cui categoria rientravano sia i bianchi-della-terra sia gli assimilati. Per evitare ulteriori problemi inoltre, nel 1918 O

Africano venne venduto alla Chiesa Cattolica perdendo così la sua funzione combattiva riacquista

però più in là con l’apertura di un nuovo periodico fondato sempre dai fratelli Albasini, intitolato O

Brado Africano(CABAÇO,2009;FALCONI,2008;HEDGES,1999;MONDLANE 1975;).

In Mozambico O Brado Africano fondata dai fratelli Albasini nel 1916, pur se ancora lontanissima dalla rivendicazione anticoloniale, esprimerà una prima riflessione sulla necessità di integrazione degli elementi culturali africani attraverso la pubblicazione bilingue in portoghese e in Ronga. (FALCONI, 2008:38)

Con un ruolo sempre più marginale, poco legati alle masse e mai totalmente integrati nel mondo dei bianchi, espulsi anche giuridicamente dal potere politico ed economico, i mestiços divennero l’Altro per antonomasia nonostante sarebbero dovuti essere il fondamento della politica coloniale portoghese.

Nel dualismo della società coloniale, la rappresentazione sociale della categoria degli indigeni era presentata come omogenea e stigmatizzata in una classificazione di esclusione sociale evidente. L’esclusione sociale fondata sulla razza però, comune a tutti i modelli coloniali, era espressione della forma secondo cui il colonialismo incorporava all’interno del suo sistema di sfruttamento la popolazione dominata. (CABAÇO, 2009:120)

Nel 1920 venne fondata a Lisbona la Lega Africana, un’organizzazione che provava ad unire quei pochi studenti africani e mulatti che ebbero la possibilità di studiare nella metropoli e a creare una sorta di sinergia tra colonie sottoposte allo stesso regime coloniale (MONDLANE, 1975). Il GALM si

trasformò in Associação Africana in cui però vi rimasero solo i mulatti, in quanto a causa di una non

della Francia con la Costa d’Avorio, degli inglesi con l’Uganda e degli stessi portoghesi nei confronti delle isole di São Tome e Príncipe e probabilmente era legato alle aspettative createsi nei confronti di tali aree.

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totale integrazione tra i componenti (HONWANA, 1985 in CABAÇO, 2009:129) e l’infiltrazione di

membri del governo che provavano a direzionare gli incontri, nel 1923 si distaccò un’ala più radicale composta da soli neri e chiamata Instituto Negrófilo il quale si trasformò Centro Associativo dos Negros de

Moçambique, per pressioni del governo. Si formò inoltre una terza organizzazione conosciuta come Associação dos Naturais de Moçambique, nata come mezzo di difesa dei bianchi mozambicani ma che

successivamente si prodigò per la lotta al razzismo ammettendo altri gruppi etnici (MONDLANE,

1975). L’attività politica che queste tre entità svolsero per il Mozambico fu di enorme importanza in periodo delicato come quello degli anni Trenta, quando la crisi economica mondiale in congiunto al rafforzamento del colonialismo, a causa del regime salazarista, colpì i comparti della società africana. Nel momento in cui le potenze coloniali negoziavano con i movimenti indipendentisti asiatici e africani, il Portogallo si irrigidì sul suo colonialismo e la grande frustrazione per non essere riusciti negli anni a raggiungere i risultati sperati resero la quotidianità delle colonie maggiormente dura. I rapporti con gli indigeni si nutrivano di quella stessa rabbia e gli eccessi di violenza divennero quasi l’ordinarietà (CABAÇO, 2009). Le leggi sullo sfruttamento della popolazione e sul lavoro forzato,

subirono delle alterazioni durante la dittatura che però non mutarono la situazione:99 con la parola

‘indigeno’ continuava ad essere individuato il soggetto di razza o di discendenza negra, nato e cresciuto nelle colonie che non sarebbe mai potuto essere considerato integrato alla nazione né portoghese e che di conseguenza non avrebbe mai potuto godere dei medesimi diritti di chi possedeva la cittadinanza. L’educazione riservata agli indigeni mirava sì ad un’evoluzione culturale tesa verso l’occidentalizzazione, ma nella pratica si riduceva ad un’esclusiva educazione alla sottomissione per lavori di ‘serie b’. Gli africani erano considerati gente oziosa che non era in grado di ricevere incarichi onerosi, l’assimilazione per cui diventava la chance di condurre una vita con qualche privilegio in più. I requisiti richiesti per tale passaggio di status sociale erano: aver compiuto la maggiore età (18 anni), parlare la lingua portoghese e avere un posto di lavoro che potesse permettere il sostentamento proprio e della famiglia a carico; a questo sarebbero dovuti seguire una buona educazione – occidentale – e l’obbligo al servizio militare. Una tale posizione era però sempre passibile di revoca in quanto sopposta a giudizio in qualunque momento dall’amministrazione coloniale.

Dopo l’uscita dalla crisi del ’29 e la fine della II Guerra Mondiale, mossi da intenti di arricchimento facili e veloci, il numero dei coloni in Angola e in Mozambico aumentò considerevolmente. Lisbona si prodigava a promuovere la migrazione verso le colonie, rendendo

99 Ricordiamo la legislazione per gli Indigeni che venne promulgata durante gli anni della dittatura salazarista: il Códígo do Trabalho dos Indigénas nel 1928; l’Acto Colonial nel 1930 che nel 1933 diventa legge costituzionale; l’Estatuto dos Indígenas Portugueses da Guiné, Angola e Moçambique. Nel 1961 invece la condizione di indigeno verrà abolita con la proposta di

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sempre più attraenti le colonie e mettendo a punto dei piani di incentivazione a beneficio di chi vi si trasferiva (CABAÇO, 2009). La logica di Enes prese nuovamente piede e nonostante le pressioni la

questione indigena non venne mai risolta, continuando a voler lasciare i nativi nel loro status tradizionale e a far addirittura regredire il livello di educazione riservato agli assimilati, riducendo l’insegnamento a quello evangelico, concepito per l’indottrinamento di valori quali il rispetto, il timore e la rassegnazione, in un clima di sottomissione e subalternità. Quello che ebbe luogo fino agli inizi del XX secolo potrebbe essere definito come proto-nazionalismo di natura popolare più che intellettuale. Nel 1930 inoltre con l’emanazione dell’Atto Coloniale, si dichiararono tutte le aree colonizzate come estensione del territorio nazionale portoghese e si considerarono tutti gli assimilati come ‘portoghesi in costruzione’, ossia con possibilità di acquisire la cittadinanza. In realtà però,

Se attraverso l’assimilazione, l’indigeno conquistava lo statuto giuridico di cittadino, sul piano sociale costui rimaneva sempre un individuo subalterno, mai visto dal colono come ‘uno di noi’ bensì come ‘quello più civilizzato degli altri’, o colui che, invece di essere stigmatizzato dalla caderneta, era marcato dallo stigma ‘privilegiato’ della licenza di assimilato. (CABAÇO, 2009:118)

In questa decade tutti i lavoratori che risiedevano in Mozambico videro una diminuzione del proprio salario e un notevole aumento delle tasse da pagare, che determinò un peggioramento del costo di vita e delle condizioni sociali. A questo corrispose un più intenso e più violento reclutamento di mano d’opera, per sfruttamento e lavori forzati. In un clima del genere era difficile riunire, coordinare e dirigere un movimento di resistenza dato che essendo state considerate province del Portogallo, la comunicazione nelle aree assoggettate era posta totalmente nelle mani dell’amministrazione coloniale e non lasciava spazio e modo di raggiungere tutte le comunità. Questo però non impedì l’organizzazione di forme di resistenza nonostante non venne data alcuna possibilità ai lavoratori forzati di creare delle associazioni sindacali (HEDGES,1999). Già nei primi

anni del XX secolo, si registrarono sporadici episodi di lotta.

[…] migliaia di lavoratori si rifiutarono di fornire la propria forza lavoro. Altri effettuarono delle interruzioni del lavoro, una riduzione dei ritmi e delle manifestazioni come forme più comuni di rivendicazione delle condizioni a cui avevano diritto. Esempi di ciò furono i blocchi dei lavoratori dipendenti di Beira e di Lourenço Marques (1932). (trad. mia, HEDGES, 1999)

A differenza di individui discendenti da antichi lignaggi tradizionali, i contadini e gli operai non erano sottomessi al potere coloniale ma mancavano del giusto grado di istruzione che gli permettesse di trasformare la rabbia nutrita dai soprusi che quotidianamente si ricevevano in un movimento di liberazione. Fu solo in un secondo momento che la poesia assunse il ruolo di strumento chiarificatore della situazione che il paese stava vivendo e di portavoce di quel disagio, diventando la fucina ispiratrice per la costruzione di un sentimento di appartenenza nazionale, capace di accomunare l’intera popolazione dalla provincia di Cabo Delgado a quella di Lourenço

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Marques in nome di uno stesso sentimento di sofferenza. Il 27 Febbraio 1932 O Brado Africano pubblica un editoriale di denuncia verso lo stato portoghese di cui si riportano alcuni stralci:

Estamos fartos. Tivemos que vos atuar, que sofrer as terríveis consequências das vossas loucuras, das vossas exigências [...] não podemos aguentar mais os efeitos perniciosos das vossas decisões politicas e administrativas. De agora em diante recusamo-nos a fazer maiores e mais inúteis sacrifícios. [...] Já chega. [...] Queremos ser tratados da mesma maneira que vós. [...] Aspiramos ao nosso ‘estado selvagem’ que todavia, enche as vossas barrigas e as vossas algibeiras. [...] Havemos de aprender a usar o bisturi [...] a gangrena que espalhais entre nós há-de infectar-nos e então já não teremos a força para a acção. (MONDLANE, 1975:128)

Come è possibile leggere non vi è ancora un’esplicita dichiarazione di esigenza di indipendenza ma si è ancora nella fase iniziale, quando i movimenti apparentemente isolati non avevano ancora trovato i giusto strumenti per convogliare le proprie forze e lottare insieme. Questo probabilmente perché l’istituzione dell’Estado Novo di Salazar fosse ancora agli inizi e ancora non era stata messa in atto quella repressione che scatenò definitivamente la nascita di un movimento anticoloniale anche in Mozambico. Alla fine della II Guerra Mondiale però la fragilità degli imperi fascisti venne a galla e in questo particolare momento storico divenne molto più semplice pensare di fare qualcosa e mettere in moto un reale progetto di rivalsa. Dalla minoranza istruita dello strato periurbano si originò un movimento letterario di ‘resistenza culturale’ che provò ad ordinare quelle prime manifestazioni di dissenso in un pensiero uniformato a quello degli altri paesi africani già in lotta (MOROSINI, 1980),

tant’è che negli anni ’50 per cui tra Lisbona e Parigi si riunirono intellettuali provenienti da tutte le colonie africane del Portogallo. «Come in molti paesi che hanno vissuto il dominio coloniale, la letteratura è stata uno strumento fondamentale per la costruzione dell'unità e delle identità nazionali» (FALCONI, 2008:28), ma in Mozambico la stessa subì per lungo tempo significative pressioni

ideologiche e politiche al punto da rendere come autentica solo quella prodotta da scrittori esponenti dal movimento di negritude mozambicano quali ad esempio José Craveirinha e Noêmia de Sousa, mulatti cresciuti nella periferia della capitale Lourenço Marques, nella realtà dei bairros, oppure quei testi a favore della lotta legata ai movimenti di resistenza.

Prima che cominciasse la lotta armata, questa fioritura letteraria era portatrice di un messaggio di protesta e di liberazione che era diretto in primo luogo all’interno del movimento stesso, agli intellettuali africani che erano stati educati alla portoghese – assimilados – nelle grandi città della costa e che dovevano successivamente dirigere il movimento di liberazione. In secondo luogo essa aveva il compito di svegliare l’opinione pubblica europea, aprendo una breccia nel muro di silenzio eretto dal regime fascista portoghese sull’anacronistica e orrendo realtà delle sue colonie. (MOROSINI, 1980:73)

Per convogliare la lotta contadina e quella intellettuale in un’unica direzione, traducendo in un’azione congiunta la forza teorica della piccola minoranza colta e proiettata su scala internazionale, con quella pratica dei movimenti contadini (maggiormente delle aree centrali e del nord del paese), si doveva necessariamente creare un movimento politico. Quello che fino agli inizi del XX secolo

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poteva definirsi sostanzialmente come un proto-nazionalismo di natura popolare più che intellettuale, prese forma e si articolò attraverso la formazione di gruppi politici in cui si discuteva circa l’organizzazione di una lotta al colonialismo. L’azione delle missioni protestanti inoltre fu importante per la creazione di un sentimento identitario capace di affrontare l’oppressione coloniale: i missionari protestanti (anglicani, metodisti e presbiteriani) erano in collisione con la Chiesa Cattolica che continuava ad appoggiare il regime salazarista e a differenza loro stimolavano l’uso di elementi culturali locali nei culti cristiani.