IPERSPLENISMO IPOSPLENISMO
3.5 Protocollo anestesiologico
L’anestesia viene pianificata sulla base delle condizioni cliniche del paziente, anamnesi, patologia, tipo di intervento e grado di rischio formulato. Il fine comune è quello di ridurre al minimo i rischi associati a chirurgia e anestesia, e le relative complicanze postoperatorie mediante cure preventive o modifiche della tecnica chirurgica e/o anestesiologica (Bufalari et al; 2012).
Il protocollo anestesiologico si compone di tre fasi: Premedicazione, Induzione e Mantenimento dell’anestesia.
Premedicazione
Questa fase attraverso l’utilizzo di farmaci preanestetici, permette di attenuare lo stato di ansia e stress del paziente, riducendo al minimo la risposta di quest’ultimo agli stimoli ambientali. Negli animali poco gestibili, consente di eseguire diverse procedure in condizioni di massima sicurezza come il posizionamento di cateteri venosi, tricotomia del campo operatorio.
In particolare la premedicazione deve provvedere a: - Ridurre lo stress e l’ansia e tenere calmo il paziente; - Ottenere una sedazione da media a moderata; - Procurare analgesia prima dell’intervento chirurgico; - Aumentare il rilassamento muscolare;
46 - Inibire vomito e rigurgito;
- Diminuire la secrezione di saliva ed espettorato;
- Ridurre gli effetti collaterali indesiderati di successivi farmaci anestetici; - Ridurre la quantità di farmaco necessaria a indurre incoscienza;
- Favorire un risveglio tranquillo dall’anestesia;
In linea generale per eseguire una premedicazione vengono utilizzati farmaci anticolinergici, sedativi o tranquillanti, analgesici oppioidi in associazione tra loro (Seymour e Gleed, 2003). Nell’intervento di splenectomia, soprattutto nei pazienti affetti da aumento di volume d’organo, va evitato l’utilizzo di derivati fenotiazinici come l’acepromazina, in quanto la marcata vasodilatazione con conseguente sequestro eritrocitario e ingorgo splenico può aggravare la splenomegalia e le condizioni cliniche dell’animale.
Induzione
Questa fase dell’anestesia mira ad ottenere una rapida narcosi del paziente e la progressione a un piano anestesiologico adeguato. L’induzione dell’anestesia può essere eseguita mediante l’utilizzo di farmaci iniettabili o inalatori.
In medicina veterinaria si utilizzano più comunemente farmaci iniettabili, come il propofol, tiopentale e ketamina. Il propofol è considerato il farmaco di elezione per l’induzione, determina effetti assimilabili a quelli dell’induzione barbiturica, quali diminuzione della contrattilità miocardica e vasodilatazione; si presta bene sia per l’induzione che per il mantenimento, ha un on-set rapido in quanto diffonde ampiamente nel sistema nervoso centrale, e inoltre non presentando effetto accumulo nei tessuti determina un rapido risveglio del paziente.
Durante la fase di induzione l’animale viene posizionato correttamente per una rapida e agevole intubazione, viene collegato ad un apparecchio elettrocardiografico di monitoraggio e fornito un supporto di ossigeno.
Il paziente una volta indotto, viene intubato mediante l’introduzione di un tubo endotracheale, in modo tale da fornirgli a secondo delle diverse esigenze ossigeno, gas anestetici, o ventilarlo artificialmente.
47 Mantenimento
Il mantenimento dell’anestesia segue la fase di induzione, ed è ottenuto mediante l’utilizzo di anestetici inalatori. I gas anestetici più utilizzati sono sevoflorano e isoflorano. Quest’ultimo per le sue caratteristiche, rappresenta il migliore agente anestetico inalatorio in commercio; rispetto gli altri anestetici inalatori, provoca una minore depressione cardio-respiratoria, sensibilizza meno il cuore all’azione aritmizzante delle catecolamine, ed essendo metabolizzato a livelli polmonare ed eliminato per via respiratoria, non presenta particolare epatotossicità e nefrotossicità (Steffey, 1999).
Dosi ridotte di oppioidi possono essere utilizzate come supplemento all’agente inalatorio, queste possono essere somministrate come con iniezioni subentranti o mediante infusione continua. Se si utilizzano le iniezioni subentranti, le dosi seguenti devono essere adattate alla farmacocinetica del farmaco e alla risposta del paziente (Seymour et al.,2003).
Monitoraggio
In corso di splenectomia vengono costantemente monitorate le principali funzioni vitali del paziente, in modo da poter intervenire tempestivamente qualora si presentano eventuali complicazioni, e di modificare il piano anestesiologico adattandolo meglio alle condizioni fisiologiche dell’animale. I parametri classici che vengono comunemente monitorati durante tutti gli interventi comprendono:
- Frequenza cardiaca mediante il fonendo-endo collocato in esofago, e ritmo cardiaco valutando il tracciato elettrocardiografico;
- Frequenza respiratoria tramite fonendo-endo;
- Temperatura corporea tramite una sonda endoesofagea;
- Pressione sistolica e diastolica, e relativa pressione media (PAM);
- Saturazione di ossigeno dei tessuti mediante pulsossimetro applicato a livello della lingua; questo apparecchio attraverso il calcolo dell’indice di rifrazione della luce, riporta il valore di saturazione dell’ossigeno e dell’emoglobina. In assenza, questi parametri si possono valutare attraverso l’esame ispettivo delle mucose esplorabili;
48 - Quantità di anestetico inalatorio inspirato ed espirato tramite strumenti da connettere al tracheotubo che riportano i valori dei singoli parametri. Nelle moderne sale operatorie è presente un unico macchinario multiparametrico in grado di rilevare la PO2, la PCO2, l’inspirato e l’espirato di isoflorano e la frequenza respiratoria;
- Produzione urinaria;
Nell’intervento di splenectomia per la possibile insorgenza di aritmie cardiache come extrasistoli ventricolari, CVP (complessi ventricolari prematuri) è importante eseguire una attenta valutazione del tracciato elettrocardiografico. Altri parametri da monitorare costantemente in corso di splenectomia, soprattutto in pazienti emodinamicamente instabili sono la pressione arteriosa invasiva, la temperatura e la produzione urinaria. Per la valutazione della profondità dell’anestesia si considerano, oltre alla frequenza cardiaca e respiratoria, anche i riflessi corneale, pupillare e laringeo (Corletto, 2010). Risveglio
Non viene inserito come fase integrante dell’anestesia, comprende il periodo prossimo alla fine dell’intervento sino al momento di estubazione e risveglio del paziente, con piena coscienza e autonomia. In questa fase l’anestesista alleggerisce progressivamente il piano anestesiologico riducendo il flusso degli alogenati e l’erogazione degli altri farmaci anestetici facendo sempre attenzione a monitorare i segni clinici della profondità della anestesia. Una volta ricomparsi i riflessi principali come il riflesso palpebrale, colpi di tosse, ventilazione spontanea il paziente viene estubato. Durante questa fase, ove è possibile l’animale viene trasferito in un ambiente confortevole, lontano da ogni possibile fonte di stress, dove si continua a monitorare la sua attività ventilatoria, temperatura, produzione urinaria e controllare il dolore postoperatorio.
Nel caso di risvegli euforici o disforici si interverrà farmacologicamente con l’ausilio di sedativi.
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