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PUBBLICAZIONE NEL REGISTRO DELLE IMPRESE

2. STRUTTURA E CONTENUTO DEGLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE

2.1. PRESUPPOSTI SOGGETT

2.3.2. PUBBLICAZIONE NEL REGISTRO DELLE IMPRESE

Uno degli aspetti caratterizzanti gli accordi di ristrutturazione in questione, che li differenziano rispetto ai c.d. concordati stragiudiziali esclusivamente privatistici ed ai piani di risanamento, è costitutito dalla pubblicità, che caratterizza (fortemente voluto dal legislatore) i primi e non i secondi.

L’art. 182 bis L.F. infatti, pur non regolamentando alcun obbligo informativo specifico per i singoli soggetti partecipanti agli accordi, dispone al comma 1° che la sopracitata documentazione e la relazione del professionista (che analizzeremo in seguito) siano oggetto di deposito in Tribunale, mentre al comma 2° dispone la pubblicazione dell’accordo proposto dall’imprenditore presso il Registro delle Imprese ed il rinvio all’art. 161 L.F. che ha indotto la dottrina a ritenere che nonostante il testo dell’articolo parli genericamente di “domanda”, l’imprenditore debba presentarla sotto forma di ricorso.

Riguardo alla documentazione il c. 2 dell’art. 161 dispone che: “il debitore deve

presentare con il ricorso:

a) una aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa;

b) uno stato analitico ed estimativo delle attività e l’elenco nominativo dei creditori, con indicazione dei rispettivi crediti e della cause di prelazione;

c) l’elenco dei titolari di diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore;

d) il valore dei beni ed i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili”.

Diversi di questi documenti, che devono essere allegati al ricorso, sono ritenuti nella prassi per lo più irrilevanti ai fini del sindacato sugli accordi di ristrutturazione ma possono comunque talvolta essere da appoggio ed offrire informazioni che possono rilevarsi importanti strumenti di valutazione prima per i creditori e poi per il Tribunale.

L’art. 182 bis L.F. non stabilisce se l’accordo debba essere prima depositato in tribunale o prima pubblicato nel Registro delle Imprese, ma è ragionevolmente irrilevante fissare un criterio di priorità temporale producendosi gli effetti solo dalla pubblicazione e per effetti qui si intende sia il decorrere del termine di sessanta giorni relativo alla protezione del patrimonio dell’imprenditore, sia il dies a quo per la proposizione di opposizioni.

Nella prassi risulta evidente che sia nell’interesse dell’imprenditore di effettuare gli adempimenti necessari contestualmente o comunque a brevissima distanza di tempo poiché qualora non chieda subito l’omologazione dell’accordo al Tribunale, rischia che si dilatino i tempi della procedura mentre nello stesso momento scorre il periodo di inibizione delle azioni esecutive e cautelari, correndo il rischio che la protezione di cui può giovarsi sfumi quando ancora l’accordo non è pronto per essere omologato.

Contestualmente il regime pubblicitario costituisce certo anche un aspetto non troppo favorevole per l’imprenditore potendo questo creare allarmismo e produrre riflessi negativi sull’attività d’impresa della società.

Controverso inoltre è l’oggetto che dovrebbe essere iscritto presso il Registro delle Imprese ma in dottrina è ormai prevalente l’orientamento che vede l’accordo e la relazione dell’esperto come un unico documento da depositare unitariamente.

Per ciò che concerne la forma si tratta di precisare che parliamo di una iscrizione e non

di una pubblicazione e che l’autenticazione (art. 2189 c.c.48) è riferita alla domanda di

iscrizione49.

L’iscrizione dell’accordo nel Registro delle Imprese non è assibilabile ad un fatto con fini meramente divulgativi ma assume un rilievo decisivo poiché è ad esso che si connettono gli effetti più rilevanti del procedimento.

L’omologazione si ritiene essere la “condicio iuris”50 per l’esenzione, ma il fatto che

l’efficacia dell’accordo risalga alla sua pubblicazione nel Registro delle Imprese, può giustificare che siano esenti da azione revocatoria anche tutti quegli atti compiuti in                                                                                                                

48 Art. 2189 “…Prima di procedere all’iscrizione, l’ufficio del registro deve accertare l’autenticità della sottoscrizione e il concorso delle condizioni richieste dalla legge per l’iscrizione… “.

49 Fabiani M., op. cit., pag.13. 50 Fabiani M., op. cit., pag.13.

esecuzione degli accordi già dopo la pubblicazione a condizione che sopravvenga l’omologazione.

In dottrina non è mancato anche un orientamento minoritario che prevederebbe la possibilità di interpretare la disposizione come se i singoli accordi raggiunti tra imprenditore e creditori acquistassero efficacia solo con la pubblicazione (o addirittura come se si perfezionassero al momento dell’iscrizione).

Analizzando questa eventualità si è però osservato, come già precedentemente accennato, che la Legge Fallimentare parla di accordo di ristrutturazione (e non di accordi), ed è quindi più logico concludere che l’efficacia dei singoli accordi dipenda dalle scelte di autonomia negoziale delle parti coinvolte, e che la pubblicazione abbia una sua rilevanza esclusivamente per fornire all’accordo nel suo complesso, come fascio

di contratti, l’efficacia di cui necessita51.

In questo caso si fa riferimento in sostanza all’efficacia di cui parla l’art. 182 bis L.F., che sarebbe solamente l’efficacia legale, poiché la c.d. efficacia negoziale dipende dalla volontà dei contraenti stessi e non è escluso che questi, proprio nella loro autonomia, facciano dipendere l’efficacia dalla pubblicazione

2.3.3. RUOLO E POTERI DEL TRIBUNALE

   

La dottrina, interpretando la norma dell’art. 182 bis L.F., ha ritenuto che dovessero innanzitutto essere compiti affidati al Tribunale competente il controllo dell’assoggetabilità dell’imprenditore ricorrente alla procedura in oggetto e che lo stesso si trovi in stato di crisi (quindi controllo dei presupposti soggettivi ed oggettivi), che sia rispettata la soglia minima del 60% dei crediti e che alla domanda sia allegata tutta la documentazione già citata ex art. 161 L.F.

                                                                                                               

51 vedremo in seguito il valore che viene dati ai singoli accordi presi con i creditori nell’ipotesi in cui l’accordo non venga omologato.

La norma non indica niente quanto all’iter processuale e alle modalità attraverso le quali il Tribunale si debba pronunciare sulla omologazione o meno dell’accordo proposto. Quanto al meccanismo delle opposizioni, come noto, il comma 4 dell’art. 182 bis L.F. dispone che entro trenta giorni dalla pubblicazione i creditori e ogni altro soggetto interessato hanno la facoltà di proporre opposizione e tra i soggetti legittimati vengono elencati tutti i creditori dissenzienti, così come gli aderenti, nonché coobbligati, fideiussori e obbligati di regresso.

Non essendo fatta menzione di tutti i motivi che potrebbero essere considerati “tipici” di una opposizione all’accordo di ristrutturazione, si è ritenuto che questo possa basarsi sia su vizi di natura procedurale, (si pensi al mancato deposito in Tribunale del ricorso e della documentazione da allegare) , sia su vizi c.d. di merito, cioè relativi alla documentazione allegata carente od irregolare, o al mancato raggiungimento della soglia di maggioranza del 60% dei crediti prevista per l’omologazione dell’accordo, od ancora una inidoneità del piano elaborato dall’imprenditore ad assicurare un soddisfacimento integrale per i creditori estranei o dissenzienti.

La dottrina ha cercato di colmare le lacune circa il comportamento che il Tribunale dovrebbe in tale caso tenere ritenendo che non sia certamente discutibile la necessità di osservare il principio del contradditorio e quindi conseguentemente portando avanti la tesi secondo la quale il Tribunale competente dovrebbe sicuramente emanare un decreto ed imporre una notifica all’imprenditore di modo tale che questo abbia la possibilità di replicare.

Quanto al contenuto del giudizio di omologazione, pur in assenza di una specifica indicazione sulle modalità e sull’ambito del controllo che deve essere fatto sull’accordo, in dottrina si riteneva inizialmente che il Tribunale non potesse essere chiamato ad una mera verifica sulla regolare formulazione del ricorso secondo i criteri procedimentali ma che, appoggiandosi sulla relazione del professionista, dovesse porre una sorta di “certificazione di legittimità” sulla correttezza dell’accordo, oltre a verificare il consenso espresso dai creditori e la sua validità, formale e sostanziale (anche se questo veniva visto come una sorta di duplicazione del compito affidato al professionista). Questo orientamento sembrava aver trovato maggior sostegno in dottrina a seguito dell’intervento giurisprudenziale con sentenza del Tribunale di Milano n. 701 del 2008 la quale afferma che il controllo del Tribunale non si può limitare “… alla semplice

verifica dell’avvenuta approvazione del piano secondo la maggioranza richiesta dalla legge, dalla regolarità del ricorso, con particolare riferimento alla concreta attuabilità del piano”52,

Negli ultimi anni però attraverso la prassi si è arrivati a ritenere che il Tribunale in assenza di opposizioni (che in tale caso ne aumenterebbero i doveri di ingerenza) non deve addentrarsi nel controllo della convenienza delle scelte caratterizzanti gli accordi riportati nel piano, che è oggetto di analisi da parte del professionista, in quanto tale tipo di controllo è previsto per legge che sia assolto da quest’ultimo avendone i requisiti e le competenze più specifiche, ma piuttosto si è arrivati a ritenere che il Tribunale debba maggiormente preoccuparsi che la relazione del professionista stesso sia rispondente a tutte le necessità della procedura, che non presenti lacune, senza entrare nel merito. Il Tribunale deve analizzare il metodo utilizzato dal professionista per redigere la propria relazione (non è previsto che nel farlo si avvalga del professionista stesso, ma è consuetudine nella prassi) e comprendere la conclusione formulata ed illustrare ai creditori aderenti, elaborando eventualmente un suo proprio convincimento circa la fattibilità del piano ma che difficilmente può andare in contrasto con quanto disposto dal professionista.

Si ritiene che sia legittimo per il Tribunale avvalersi di collaboratori ed esperti (così come l’imprenditore, comparendo in camera di consiglio può anch’egli fare), ed in casi eccezionali di fronte alla palese insufficienza o inidoneità della relazione del professionista è possibile richiedere integrazioni e chiarimenti.

Infatti tornando all’avvio dell’iter procedurale, a seguito della richiesta di omologazione

si è appurato53 che questo debba portare anche alla nomina di un giudice delegato al

quale affidare il potere di assumere informazioni e di raccogliere in via istruttoria elementi utili, anche con richieste rivolte alle parti, ed inoltre si è affermato in dottrina che qualora si evidenzino carenza od anomalie nella procedura adottata dall’imprenditore, il Tribunale è chiamato a fissare un’udienza di comparizione

                                                                                                               

52 consultabile su www.tribunaledimilano.net

53 con sentenza del Tribunale di Milano del 15.05.2009, consultabile su www.tribunaledimilano.net

dell’imprenditore concedendo, qualora ve ne siano i presupposti, un termine per la

regolarizzazione o integrazione della documentazione54.

Contestualmente, ha però rilevato la dottrina, che una convocazione a comparire dell’imprenditore non sia da ritenersi necessaria nella eventualità che nessuno dei creditori abbia presentato opposizione ed in questo senso la prassi è ormai solita prevedere un accorciamento dei tempi per l’omologazione qualora assieme alla documentazione obbligatoria l’imprenditore presenti un documento che certifica la rinuncia alle opposizione da parte dei creditori (documento che deve essere sottoscritto da ognuno dei creditori).

Contro il decreto del Tribunale di accoglimento o rigetto dell’istanza di omologazione ai sensi del comma 5 dell’art. 182 bis L.F., è ammissibile da parte dell’imprenditore ricorrente o da parte dei creditori opponenti proporre reclamo presso la Corte di Appello, entro quindici giorni dalla pubblicazione del provvedimento nel Registro delle Imprese; niente altro dispone od illustra la norma su quali controlli vengano effettuati dalla Corte di Appello e con quali modalità.

In caso di mancata omologa da parte del Tribunale dell’accordo proposto è possibile procedere con una Istruttoria Fallimentare, se qualche creditore, o il Pubblico Ministero allertato dal medesimo Tribunale fallimentare, presenta l’istanza. In assenza non vi è altro provvedimento che l’archiviazione della procedura.

E’ da sottolineare che usa spesso nella prassi , al fine di facilitare l’utilizzo di tali accordi, che l’impresa presenti contestualmente al piano di ristrutturazione dei debiti anche una proposta di transazione fiscale e previdenziale.

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